Quo vadis, Europa? L’Unione tra ambizioni ridotte e la creazione di beni pubblici
24 gennaio 2017
Il prossimo 25 marzo ricorrerà il sessantesimo anniversario della fondazione della Comunità Economica Europea. Eppure, il giorno in cui verrà commemorata la firma del Trattato di Roma, rischia di essere un infelice compleanno per il Vecchio Continente. Come evidenziato dalla lettera del presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che ha preceduto il vertice di Bratislava nello scorso settembre, la strada verso «un’unione ancora più salda», prescritta già dal Trattato di Roma, è stata interrotta.
In un paper presentato alla conferenza Europe 2017: Make It or Break It?, Sergio Fabbrini e Marcello Messori, insieme a Franco Bruni, propongono una possibile ricetta per invertire le sorti dell’Unione che potrebbero, altrimenti, sembrare già segnate: concentrare gli sforzi politico-economici nella creazione di beni pubblici europei, da “agganciare” a risorse controllate dall’UE o dall’eurozona. Una politica da intraprendere immediatamente, che aiuterebbe l’Unione a dimostrare l’infondatezza del messaggio populista secondo il quale “l’integrazione europea è un progetto fallito”.
La creazione di beni pubblici, infatti, sarebbe di supporto alla crescita e potrebbe favorire la convergenza tra stati centrali e periferici, ponendo fine ai trend dell’euroscetticismo. Il peggioramento della situazione geopolitica a livello globale, con fenomeni quali il voto sulla Brexit e l’elezione di Trump, sembra aver gettato ombre sulle fortune di politiche continentali già in crisi. Migliorare la coesione dell’Unione sarebbe un importante passo in avanti per risolvere i problemi istituzionali e di governance che sono oggi di ostacolo a un’effettiva integrazione.
L’Italia, nella situazione delicata eppure importante in cui si trova, ha la possibilità – o la responsabilità – di contribuire alle azioni a breve termine, e di rilanciare un dibattito costruttivo sugli interventi da intraprendere nel lungo periodo, anche come modo per celebrare adeguatamente i sessant’anni dalla firma del Trattato di Roma.
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