«Sei andato a scuola, sai contare?» – chiedeva Luigi Lo Cascio nei panni di Peppino Impastato a suo fratello Giovanni, in una delle scene più famose del film “I cento passi”. Quello che gli proponeva di contare erano i passi che separavano casa loro da quella del loro zio, “Tano”, boss del paese e membro di una cosca mafiosa. Peppino Impastato chiedeva al fratello di quantificare, di dargli un numero su quanto la mafia fosse vicina a loro.
Nella ricerca dal titolo The cost of illegality: a research programme, Antonio La Spina, Giacomo di Gennaro (Università Federico II di Napoli) e il loro team di progetto, hanno cercato di quantificare il cosiddetto “costo del crimine“. Gli studi di settore ci dicono che è possibile inquadrare in una scala di valori economica le attività della criminalità organizzata, fissando dei parametri ben precisi.
Bisogna partire dalla definizione di costo di un crimine, che in questo caso di divide in tre principali fattispecie: i costi relativi alla prevenzione degli atti criminali, come assicurazioni, messa in sicurezza dei luoghi di abitazione e lavoro, cambiamento delle abitudini per la paura di una minaccia; quelli che risultano effettivamente derivanti da un crimine, come la riparazione di una porta o di una serratura scassinata, l’impatto emotivo, la salute fisica e mentale di chi subisce un crimine; il terzo di tipo di costo è quello di ‘risposta al crimine’, ed è rappresentato dalle azioni della polizia, dei magistrati, degli avvocati, del sistema penitenziario e dei servizi sociali.
Proseguimento di un primo lavoro di ricerca svolto in Sicilia, questo studio si concentra sul territorio campano, in particolare sulle città e le province di Napoli e Caserta e sul fenomeno estorsivo messo in atto dalle organizzazioni camorristiche.
Attraverso un innovativo software di analisi è stato possibile ricavare dati molto interessanti. In particolare, mettendo sotto la lente d’ingrandimento le sole attività estorsive, il team di ricercatori ha rilevato che esso incide negativamente sulle due province per approssimativamente il 2% del PIL.
Un metodo analitico che può sicuramente nei suoi sviluppi successivi rendersi utile per le forze in campo nel combattere i fenomeni di questo tipo.