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Alla ricerca della crescita. Cosa muove davvero i migranti in Europa

La libertà di movimento è uno dei quattro pilastri del progetto europeo: eppure, solo poco più del 3% dei cittadini europei lavora in un paese diverso da quello in cui è nato. Si tratta di una popolazione sempre più istruita – secondo i dati OECD, il 41% ha un livello di istruzione terziaria – e in grado di contribuire alla società della conoscenza e alla competizione internazionale.

Nel saggio “Economic freedom as a magnet for intra-EU28 migration” (nella raccolta 21st Century Migrations: Fluxes, Policies and Politics [1], curata da Raffaele De Mucci e Silvia Cavasola per LUISS University Press), Rosamaria Bitetti e Ornella Darova cercano di capire quali sono i motivi che spingono gli expat europei a scegliere un paese invece che un altro. Nella teoria economica, vengono tradizionalmente individuati alcuni “magneti”, forze che attraggono i migranti volontari (perché coloro che scappano da guerre e dittature non sono nella condizione di scegliere altrettanto liberamente in quale paese risiedere).

In letteratura ci sono tre modelli principali per capire questi magneti: ci sono modelli costruiti sui network, per cui è la vicinanza culturale o geografica, affinità storiche e l’esistenza di un ampio numero di migranti ad attirare nuovi flussi migratori. Ci sono poi modelli di migrazione trainata da condizioni economiche, in cui ciò che spinge alla migrazione è la differenza fra i il reddito (o altre condizioni economiche, come PIL, salario medio e disoccupazione) nel paese di partenza e in quello di arrivo. Ci sono infine modelli basati sul magnete del welfare: l’idea è qui che i migranti vadano dove lo stato è più generoso nell’offrire welfare.

Sebbene tutte queste ipotesi siano studiate e rispettate nella letteratura, è principalmente quella del magnete del welfare che ha più impatto nella discussione pubblica, sui giornali e nelle dichiarazioni di politici che vorrebbero contrastare l’immigrazione. Nell’articolo Bitetti e Darova aggiungono un’ulteriore variabile: la qualità delle istituzioni, misurata attraverso un indice di libertà economica elaborato dal Fraser Institute, l’Economic Freedom of the World Annual Report [2]. Controllando per variabili economiche (PIL e disoccupazione), di affinità (linguistica e geografica), e per la spesa pubblica a finalità sociali, risulta che la libertà economica ha una capacità significativa di attrarre migranti volontari.

Per capire, un punto percentuale in più nell’indice Economic Freedom of the World del Fraser Institute ha lo stesso effetto magnete di un aumento della spesa sociale del 15,98%: i migranti europei si spostano quindi non verso i posti in cui saranno più aiutati, in cui assorbiranno più risorse, ma là dove avranno più opportunità di crescere. Non solo nei posti dove c’è al momento maggiore ricchezza, e più possibilità di lavoro dipendente, ma in quei mercati, più aperti e concorrenziali, in cui è più facile essere imprenditori e contribuire alla crescita economica.