La grande utopia. Prime considerazioni sul reddito di cittadinanza

19 maggio 2017
Editoriale Open Society
FacebookFacebook MessengerTwitterLinkedInWhatsAppEmail

L’editoriale per Open di Michel Martone, tratto da un articolo di prossima pubblicazione, in cui l’autore presenta alcune riflessioni sul reddito di cittadinanza, un argomento dal peso sempre maggiore nel dibattito politico italiano e internazionale.

1.

Per secoli il reddito di cittadinanza ha rappresentato una grande utopia. Sin dalla sua prima formulazione del 1797 ad opera del filosofo Thomas Paine, è stato oggetto delle teorizzazioni dei grandi pensatori.

Nel corso dei secoli, infatti, filosofi ed economisti come Thomas Spence, John Stuart Mill, Charles Fourier lo hanno posto al centro delle loro ricostruzioni. Ma anche grandi economisti come Bertrand Russel, nel suo Socialismo, anarchismo sindacalismo e James Meade in Agathotopia, per finire con l’elaborazione dei più recenti economisti quali Friedrich von Hayek James Tobin e John Kenneth Galbrait.

Si tratta di opere visionarie, che avanzavano ricostruzioni inevitabilmente diverse del reddito di cittadinanza, ma tutte accomunate dal fatto che questa grande utopia avrebbe consentito di superare antiche e ideologiche contrapposizioni.

Secondo alcuni avrebbe consentito di stemperare la contrapposizione tra comunismo ed economia di mercato, secondo altri, quella tra ricchi e poveri, per altri quella tra padroni e lavoratori.

Secondo altri ancora, a seguito dell’introduzione del reddito di cittadinanza non avrebbe più senso la distinzione tra i sistemi di previdenza sociali fondati sul sistema bismarckiano e quelli invece di ispirazione beveridgiana.

2.

Ovviamente tutte queste ricostruzioni, proprio perché visionarie, avevano alla base una diversa definizione di reddito di cittadinanza.

Non è questa la sede per ripercorrerle tutte, in quanto ormai la definizione più diffusa è quella fornita dal BIEN, l’associazione internazionale per la diffusione del reddito di cittadinanza (c.d. basicincome), ai sensi della quale il reddito di cittadinanza è “quel reddito erogato in modo incondizionato a tutti, su base individuale, senza verifica delle condizioni economiche o richieste di disponibilità a lavorare”. Si tratta dunque di una misura che va distinta dal reddito minimo che a dire il vero esiste in tutta Europa tranne Italia e Grecia. Il reddito minimo consiste in un’integrazione del reddito per i nuclei familiari in condizioni di indigenza economica e a maggior rischio di esclusione sociale.

In altri termini, per poter produrre il massimo degli effetti benefici sulla società il reddito di cittadinanza dovrebbe essere riconosciuto a tutti i cittadini, dai più benestanti ai meno fortunati, a prescindere dalla condizione soggettiva del beneficiario, sia esso lavoratore, disoccupato volontario o involontario, o inabile al lavoro.

Secondo questa ricostruzione, il reddito di cittadinanza assicurerebbe a tutti la sicurezza sociale senza introdurre un disincentivo a lavorare, in quanto ogni reddito aggiuntivo percepito, ancorché assoggettato a tassazione, migliorerebbe comunque le condizioni di vita del cittadino.

Sulla scorta di questa elaborazione, nel corso degli ultimi decenni, il reddito di cittadinanza ha ricevuto una rinnovata attenzione, tanto che in alcuni Paesi si sono cominciate a sperimentare le prime applicazioni pratiche.

La prima sperimentazione del reddito di cittadinanza risale al 1982, quando si è deciso di destinare le rendite del petrolio all’istituzione in Alaska di un fondo di cui sono beneficiari tutti i cittadini residenti ufficialmente in Alaska da almeno sei mesi (ad oggi circa 650.000 persone), a prescindere dall’età e dagli anni di residenza nello Stato.

In altri Paesi si è invece tentata la sperimentazione di un reddito di cittadinanza mensile e non su base annua. Il governo finlandese, ad esempio, ha avviato proprio in questi mesi un programma sperimentale in cui 2.000 cittadini disoccupati tra i 25 e i 58 anni riceveranno una somma garantita di 560 euro al mese per i prossimi due anni.

La città di Utrecht, in Olanda, dovrebbe erogare, a partire dal 2017, un reddito di circa 1.200 euro in favore di 250 cittadini, scelti in base all’appartenenza a diversi gruppi di età e di ceto sociale.

Nella regione francese dell’Aquitania, sono stati avviati dei progetti per fornire il reddito minimo francese in via incondizionata. Ed ancora, in Catalogna il 70% della popolazione si è dichiarata favorevole alla proposta del movimento Podemos di un reddito mensile pari a 650 euro finanziato da un contributo a carico del 20% più ricco della popolazione.

Queste sperimentazioni hanno avuto un tale impatto sull’immaginario politico dei popoli da indurre, il 5 giugno 2016, a chiamare i cittadini svizzeri ad un referendum ad iniziativa popolare per approvare una modifica della Costituzione federale ai fini dell’introduzione un reddito di base per tutti i cittadini. Al voto ha partecipato il 46% degli aventi diritto, con un netto 77% dei votanti contrari all’iniziativa.

Se da un lato si è trattato di una sconfitta per i sostenitori del reddito di cittadinanza, dall’altro è stata una grande vittoria, dal momento che il tema è stato posto all’attenzione di un intero Paese.

3.

Anche in Italia negli ultimi anni il reddito di cittadinanza ha assunto una rinnovata rilevanza nel dibattito politico, a causa della necessità di contrastare il crescere delle disuguaglianze e della povertà.

Negli ultimi 10 anni, infatti, gli individui che versano in condizioni di povertà assoluta sono più che raddoppiati, passando da poco meno di 2 milioni nel 2005 ai 4,6 milioni di oggi (il 7,6% della popolazione italiana): un aumento del 149,61%. Includendo anche le persone in povertà relativa, i poveri salgono a 8,3 milioni, il 13,7% della popolazione.

Ancora, da dati ISTAT, il 28,7% dei residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale.   Un divario che è destinato ad allargarsi, come testimonia il fatto che dal 2009 al 2014 il reddito delle famiglie più povere è calato maggiormente rispetto a quelle più ricche.

A fronte di questi dati tutti i partiti hanno avanzato le proprie soluzioni, ma piuttosto che prevedere l’introduzione di un reddito di cittadinanza fanno piuttosto riferimento ad un reddito minimo.

Così, il Movimento 5 Stelle ha depositato in data 29 ottobre 2013 una proposta di legge che, a discapito della sua intitolazione, ha proposto piuttosto un reddito minimo, ovvero rivolto solo a certi soggetti, quelli a maggior rischio di esclusione sociale, e non incondizionatamente a tutti, come teorizzato dal BIEN.

Secondo questa proposta, come si legge nell’art. 2, il reddito di cittadinanza consisterebbe “nell’insieme delle misure volte al sostegno del reddito per tutti i soggetti residenti nel territorio nazionale che hanno un reddito inferiore alla soglia di rischio di povertà”. Ai sensi dell’art. 4, avrebbero diritto al trattamento tutti i soggetti ultradiciottenni in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione Europea, ovvero di Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con l’Italia.

L’ammontare massimo del contributo sarebbe pari alla soglia di povertà relativa UE, corrispondente per il beneficiario senza familiari a carico a 780 euro e complessivi 9.360 euro annui. Il contributo sarebbe infatti pari alla differenza tra la soglia di povertà e tutti i redditi percepiti in Italia o all’estero dall’istante e dai suoi familiari, con esclusione dei trattamenti pensionistici e dei sostegni alla formazione.

Per i soggetti tra i 18 e i 25 anni, sarebbe richiesto però il possesso di una qualifica o diploma professionale riconosciuto e utilizzabile a livello nazionale e dell’Unione europea, o di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado utile per l’inserimento nel mondo del lavoro, ovvero la frequenza di un corso o percorso di istruzione o di formazione per il conseguimento di uno dei predetti titoli o qualifiche. Tuttavia, in questo modo la norma escluderebbe dal suo ambito di applicazione soggetti particolarmente a rischio come i giovani che non vanno oltre la licenza media.

Questo reddito di cittadinanza verrebbe erogato senza limiti di tempo fino al perdurare della condizione di povertà e sarebbe esente da imposta.

I beneficiari sarebbero obbligati al rendersi disponibili al lavoro ovvero a seguire un percorso formativo. Avrebbero inoltre l’obbligo di comunicare tempestivamente agli enti preposti ogni variazione della situazione reddituale, patrimoniale, lavorativa, familiare che comporti la perdita del diritto a percepire il reddito di cittadinanza o che comporti la modifica dell’entità dell’ammontare del reddito di cittadinanza percepito. Dall’inosservanza di tali obblighi deriverebbe la decadenza dal contributo.

Il disegno di legge prevede in favore di chi trova autonomamente un’occupazione, un premio pari a due mensilità del reddito di cittadinanza percepito, oltre ad un incentivo per le imprese che dovessero assumere soggetti beneficiari del contributo.

Infine, sarebbero previsti una serie di contributi integrativi volti al pagamento delle tasse scolastiche ed universitarie e dei libri scolastici, dell’affitto e dei servizi sociali e sanitari.

In un’audizione alla Camera, il presidente L’ISTAT ha presentato una stima di massima delle risorse che richiederebbe l’approvazione del disegno di legge, pari a un totale di circa 15,5 miliardi di euro all’anno. Ma per la sua copertura, il disegno di legge prevede misure generiche e di difficile realizzazione ed in particolare, tagli alle spese militari, la soppressione di alcuni enti pubblici non economici, l’eliminazione dell’esenzione dal pagamento delle imposte sugli immobili di proprietà della Chiesa, eccezion fatta per i luoghi di culto e la riduzione delle indennità spettanti ai membri del Parlamento. Misure queste di ardua realizzazione e che difficilmente basterebbero alla copertura del progetto. Ad oggi, il d.d.l. risulta in corso di esame in commissione.

4.

A ben vedere anche le altre forza politiche, piuttosto che far riferimento ad un reddito di cittadinanza, hanno richiesto l’attuazione di un reddito minimo.

Andando con ordine, in data 10 aprile 2013 è stata presentata una proposta di legge su iniziativa di ventuno deputati del Partito Democratico al fine di istituire in via sperimentale un c.d. “reddito minimo di cittadinanza attiva”. Potenziali beneficiari sarebbero tutti i cittadini italiani o di Stati membri appartenenti all’Unione Europea e residenti in Italia da almeno tre anni, nonché gli stranieri e apolidi soggiornanti in Italia da almeno tre anni con valido permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Neanche questa forma di intervento sarebbe però incondizionata, in quanto la sua erogazione è subordinata al possesso di una serie di requisiti, quali avere un’età compresa tra i 18 anni e l’età pensionabile ed essere disoccupati, inoccupati e disponibili a lavorare o a frequentare corsi di formazione professionale. L’importo ammonterebbe a 500 euro mensili, aumentati di un terzo per ogni componente del nucleo familiare a carico. La durata è fissata a un anno, rinnovabile per un altro anno. Allo stato, la proposta risulta assegnata alle Commissioni riunite XI Lavoro e XII Affari Sociali.

Successivamente, in data 19 maggio 2015, è stato depositato, sempre ad iniziativa di alcuni deputati del Partito Democratico, un disegno di legge volto all’introduzione di una misura universale di contrasto alla povertà denominata reddito minimo.

Rispetto alla prima proposta concepita dal PD, questa forma di reddito minimo è sempre stabilita in €500 al mese, ma in favore di ciascun nucleo familiare e non di ciascun beneficiario. Il disegno di legge, inoltre, irrigidisce i requisiti economici per l’ammissione alla prestazione. Il costo simulato ammonterebbe a 1,7 miliardi di euro.

Su iniziativa di Sinistra Ecologia e Libertà, inoltre, è in discussione al Parlamento un disegno di legge sull’introduzione di un “reddito minimo garantito”. Questo beneficio ammonterebbe a 600 euro mensili destinati ad aumentare in considerazione del carico familiare del beneficiario: 1.000 euro per un familiare a carico e 1.330 per due. Per l’accesso al trattamento occorre il possesso di alcuni requisiti quali la residenza in Italia per due anni e l’iscrizione alle liste di collocamento dei Centri per l’impiego. Per i beneficiari sono inoltre previsti alcuni vantaggi indiretti, quali la circolazione gratuita sui trasporti pubblici locali e regionali, la gratuità dei libri scolastici e aiuti per affitto, energia elettrica e gas. Il costo del reddito minimo garantito dovrebbe superare i 23, 5 miliardi di euro.

5.

La crescente attenzione politica manifestata nei confronti del reddito minimo è culminata nell’approvazione, il 9 marzo 2017, di un’importante legge delega al Governo per il contrasto della povertà, che prevede in particolare, l’introduzione di un reddito di inclusione sociale.

Tale reddito di inclusione deve individuare, nelle intenzioni della legge delega, il livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale.

Il beneficio è subordinato alla prova dei mezzi mediante il modulo Isee e sull’adesione ad un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà.

In vista dell’attuazione della legge delega, il 14 aprile 2017 il Governo ha siglato un memorandum con l’Alleanza contro la povertà in Italia, in cui vengono illustrati alcuni dei punti che dovrà contenere la nuova disciplina.

In particolare, si è indicata come soglia al di sotto della quale poter richiedere l’accesso al servizio, la soglia Isee inferiore a 6.000, ben al di sopra di quella sperimentata per il sostegno all’inclusione attiva e in posizione intermedia rispetto alla Social Card ed Asdi.

Per ragioni di equità, l’importo dell’intervento sarà differenziato in base al reddito, come risultato della differenza tra il reddito disponibile del nucleo familiare e la soglia di riferimento della parte reddituale dell’Isee (c.d. Isr). L’erogazione dovrà coprire il 70% della differenza così calcolata e l’importo non potrà comunque essere inferiore a quello dell’assegno sociale erogato in favore degli ultrasessantacinquenni, fissato per il 2017 ad €.485 (€.5.824 annui).

Al fine di evitare che l’erogazione del trattamento disincentivi la ricerca di un posto di lavoro, è stato stabilito che tale differenza non debba essere necessariamente coperta per l’intero ma anche solo per una parte.

L’importo del contributo non dovrebbe essere cumulabile con tutte le altre prestazioni assistenziali eventualmente percepite dal nucleo beneficiario, ma solo con alcune quali l’indennità di accompagnamento e altre prestazioni di natura analoga. Il Ministero del Lavoro si è comunque impegnato ad introdurre dei meccanismi per evitare la trappola della povertà, prevedendo di continuare ad erogare il sostegno economico ai beneficiari anche dopo un’eventuale incremento del reddito al di sopra delle soglie di riferimento, con modalità e tempistiche ancora da definire.

Il Governo si è inoltre impegnato ad istituire una struttura tecnica permanente che affianchi le amministrazioni nella realizzazione del reddito di inclusione sociale, occupandosi di assistenza tecnica e informativa al cittadino ed alle amministrazioni locali.

Entro la fine dell’anno, il Ministero del Lavoro dovrà presentare un piano di monitoraggio per verificare l’applicazione del reddito di inclusione sociale su tutto il territorio nazionale. Il piano dovrà definire le modalità operative per la raccolta dei dati e i soggetti coinvolti e gli indicatori qualitativi e quantitativi per la verifica dell’attuazione del reddito di inclusione sociale.

6.

Se da un lato il reddito di inclusione sociale, per gli stringenti requisiti e l’esiguità delle risorse stanziate, rappresenta una misura meno ambiziosa rispetto ai progetti pendenti in Parlamento, dall’altro rappresenta pur sempre un primo passo fondamentale per colmare il divario con gli altri paesi europei. Tutti i paesi europei, al di fuori dell’Italia e della Grecia, infatti, si sono dotati di una forma di reddito minimo. Dal già citato revenu de solidaritè active, o R.S.A. francese, all’Arbeitslosengeld II tedesco, rilasciato a tutti coloro di età compresa tra i 16 e i 65 anni, che non hanno un lavoro o appartengono a fasce di basso reddito.

A questo proposito, l’Unione Europea con la Risoluzione del Parlamento Europeo in ordine al “pilastro europeo dei diritti sociali” del 19 gennaio 2017 ha espressamente sottolineato che il reddito minimo è fondamentale per la realizzazione di un “modello sociale europeo”.

Al di là di questa importantissima affermazione di principio sulla necessità di un reddito minimo in tutti i paesi europei, in seno all’Unione Europea si è poi aperto un importante dibattito sul più ampio tema dell’introduzione di un reddito di cittadinanza a livello continentale.

L’introduzione di un reddito di cittadinanza finanziato dall’Unione Europea per tutti i cittadini degli stati membri rappresenterebbe una straordinaria opportunità per ridare un senso sociale all’Unione, per molteplici ragioni.

Accanto alle dichiarazioni dei politici Non mancano indicazioni di carattere istituzionale come da ultimo suggerito dal progetto di relazione recante raccomandazioni alla Commissione concernenti  norme di diritto civile sulla robotica.

La relazione, infatti, dopo aver promosso alcuni importanti provvedimenti per adeguare l’ordinamento dell’unione europea alla avvento della robotica in particolare in tema di status giuridico, diritto di proprietà intellettuale e sicurezza dei dati delle nuove tecnologie, ha richiamato l’attenzione della Commissione sulla possibile perdita di posti di lavoro nei diversi campi a seguito dell’avvento del rivoluzione 4.0 e della progressiva diffusione robotica.

Come rimedio, la relazione ha ritenuto che “debba essere seriamente presa in considerazione l’introduzione di un reddito di base generale, e invita tutti gli Stati membri a procedere in tal senso”. Questo reddito minimo, secondo la relazione, dovrebbe essere finanziato mediante l’introduzione di una tassazione specifica sui robot e le nuove tecnologie.

Questa idea, che ha avuto alcune prime sperimentazioni nella Silicon Valley e di recente è stata patrocinata da Bill Gates e Elon Musk è stata rigettata dal Parlamento Europeo, ma è probabile, se non inevitabile, che nei prossimi anni torni al centro del dibattito politico.

Per assicurare la sopravvivenza dei nostri sistemi di welfare in un mondo nel quale il lavoro dell’uomo è progressivamente sostituito dai robot, non ci si potrà esimere dal confrontarsi con la grande utopia liberale del reddito di cittadinanza e dell’universalizzazione dei diritti.

La grande utopia. Prime considerazioni sul reddito di cittadinanza

L'autore

Michel Martone è Professore ordinario di Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali.  È stato Vice Ministro del Lavoro nel Governo Monti, nonché Visiting Fellow presso la School of Industrial and Labor Relations dell’Università di Cornell (New York)


Website
Newsletter