Non solo Trump. Le sfide all’ordine internazionale liberale secondo Ikenberry
25 maggio 2017
In che condizioni di salute è l’ordine internazionale liberale? A rispondere, in un seminario organizzato dalla LUISS School of Government, è stato John Ikenberry, uno dei massimi teorici delle relazioni internazionali. La risposta dello studioso è articolata e non può che fondarsi – ha osservato il professore di Politics and International Affairs all’Università di Princeton – sulla rilettura di classici della disciplina come l’americano Hans Morgenthau (1904-1980) o il britannico Edward Hallett Carr (1892-1982). Dopo sconvolgimenti inattesi come la Brexit e l’elezione dell’outsider Donald Trump negli Stati Uniti – per rimanere soltanto ad alcuni eventi spartiacque del 2016 – Ikenberry consiglia a se stesso e ai colleghi una dose di “umiltà”. Difficile prevedere cosa accadrà di qui ai prossimi anni, tuttavia è lecito chiedersi: «Il progetto anglo-americano di un ordine internazionale liberale, progetto durato circa due secoli, sta per avere fine?» Soltanto venti anni fa dominava infatti “il trionfalismo” sull’avanzata della democrazia, sulla prosperità generata dalla globalizzazione, sulle organizzazioni internazionali come Nato e Organizzazione mondiale del commercio che si espandevano. Adesso il trionfalismo si è spento, complici alcuni episodi puntuali che Ikenberry ha elencato: la crisi finanziaria del 2008, la riscossa dei governi di Russia e Cina sul piano domestico e non solo, la ventata neo autoritaria che accomuna realtà diverse come l’Ungheria e il Venezuela, la crisi dell’Europa (che lo studioso definisce “bastione silente” dell’internazionalismo), e poi l’elezione di Trump che fa avvicinare “l’implosione degli Stati Uniti, paese leader dell’ordine internazionale”. Precisa dunque il professore di Princeton: “Trump è al tempo stesso conseguenza e causa” della crisi in corso.
Cosa sappiamo davvero della democrazia liberale
La crisi dell’ordine internazionale liberale nato nel secondo Dopoguerra è temporanea, oppure è dovuta a un problema che nasce negli Stati Uniti o è ancora più profonda perché lo stesso liberalismo – per tutta una serie di ragioni – ha gettato i semi della propria sconfitta? Secondo Ikenberry, “la liberal democrazia ha ancora un futuro”, innanzitutto per la sua “capacità di apprendimento e di auto-correzione”, poi perché “non esiste alternativa percorribile rispetto all’ordine internazionale liberale”, trovandoci di fronte a problemi troppo grandi e interconnessi per poter essere gestiti dai piccoli Stati nazione. Lo studioso di Princeton si è soffermato su quel che di certo sappiamo a proposito della democrazia liberale e della sua prosecuzione naturale nelle relazioni internazionali.
- Lo sviluppo della democrazia è un processo lento e laborioso.
- Le democrazie che hanno prosperato più delle altre sono le democrazie liberali, cioè quelle con un sistema di pesi e contrappesi e con alcuni diritti garantiti anche a fronte dei possibili eccessi delle maggioranze (libertà d’espressione, libertà di stampa, libertà di culto…)
- Non sappiamo perché alcuni paesi diventano democratici, ma sappiamo per esempio che una democrazia con un livello di reddito medio abbastanza elevato difficilmente torna a essere un’autocrazia, come dimostrano gli studi di Adam Przeworski che però rischiano di essere in parte smentiti da casi come quello della Turchia contemporanea.
- Le democrazie hanno bisogno di un ordine internazionale a loro congeniale per fiorire al meglio.
- Le democrazie liberali, nella storia recente, hanno avuto una capacità unica di costruire un ordine internazionale altrettanto liberale.
Perché l’ordine internazionale liberale è entrato in crisi
Perché dunque l’ordine internazionale liberale è entrato in crisi? C’è una possibile spiegazione “economica”: l’aumento della diseguaglianza e la stagnazione dei redditi della classe media hanno ingenerato desiderio di chiusura al mondo esterno, sfiducia nelle élite e un elevato grado di sospetto verso tutto quello che sa di internazionalismo.
Poi c’è una possibile spiegazione “politica”: la crisi nasce dall’erosione della fiducia pubblica nelle élite politiche e dell’informazione, dal declino dei partiti politici, e dalla perdita di idealismo rispetto alle virtù e ai valori della democrazia.
Infine una spiegazione “internazionale”. Da una parte abbiamo assistito negli ultimi due decenni a una “transizione” del potere globale verso nuove potenze emergenti, un cambiamento radicale rispetto a un ordine internazionale liberale che era nato negli anni 40 del secolo scorso in seno all’Occidente. Dall’altra abbiamo di fronte problemi di interdipendenza estremamente complessi da risolvere (dalla proliferazione nucleare alle pandemie, passando per le migrazioni e la finanza). Fino a un certo momento storico l’ordine internazionale liberale è stato “associato al progresso del mondo occidentale”, poi da un certo punto in poi è stato visto invece da buona parte delle popolazioni “come una piattaforma riservata ai globetrotter del capitalismo”. E questo anche perché – ha concluso Ikenberry – “il neoliberismo” ha cavalcato e preso il sopravvento sull’ordine internazionale liberale, annacquandone il “carattere socialdemocratico” e interrompendo un ciclo di “politica progressista” che a fasi alterne durava da due secoli e non mancava di legare il progresso economico, civile e politico sul fronte domestico a paralleli passi in avanti nell’arena internazionale.
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