Lotta all’inquinamento e sicurezza energetica: perché la Cina sta diventando una potenza delle rinnovabili
31 maggio 2017
Le più grandi emissioni di gas serra al mondo sono quelle della Cina, e questo paese è il più grande costruttore di centrali elettriche alimentate a carbone. Questa non è tuttavia che parte della verità, visto che la Cina è impegnata in un enorme sforzo di industrializzazione che mira, nel volgere di pochi anni, a conseguire risultati che hanno richiesto decenni di sforzi a Europa, Stati Uniti e Giappone. L’altra metà della storia dice inoltre che la Cina sta costruendo un sistema energetico e industriale “verde” al cui cospetto quello di qualsiasi altro paese impallidisce.
La storia è raccontata da tre grafici, come sottolineato nell’ultimo contributo firmato da Hao Tan e da chi scrive (‘China’s Continuing Green Shift in the Electric Power Sector: Evidence from 2016’, Asia Pacific Journal: Japan Focus, May 2017). Il primo grafico mostra come l’investimento cinese nelle energie rinnovabili (da acqua, vento e sole) ha attualmente superato un terzo della capacità dell’intero Paese, ed è in costante crescita
Figura 1. Cina: Andamento delle fonti di energia generate da acqua, vento e sole (1990-2016) Fonte: Mathews and Tan (2017)
Il grafico mostra che la Cina ha aumentato la sua capacità di generazione elettrica da fonti rinnovabili dal 20% del 2007 al 34% del 2017: un miglioramento del 14% in dieci anni, che rappresenta un enorme cambiamento in un sistema vasto come quello che produce energia elettrica in Cina, il più grande del mondo. Se il trend proseguisse, e tutto lascia presupporre che sarà così, nel giro di dieci anni – tra il 2025 e il 2030 – la Cina sarebbe il principale paese industrializzato al mondo dotato di un sistema elettrico “più verde che nero”.
Il secondo grafico mostra che la Cina è di gran lunga il principale costruttore al mondo di sistemi energetici verdi avendo prodotto, alla fine del 2016, 558 miliardi di watt di capacità di generazione da fonti rinnovabili – ossia più di mezzo trilione di watt – rispetto ai soli 202 gigawatt prodotti dagli Stati Uniti, ai 97 della Germania e a quelli, via via più bassi, di qualsiasi altro paese.
Figura 2. La capacità di generazione della Cina da fonti rinnovabili paragonata a quella di altri importanti paesi industrializzati (2016). Fonte: Mathews and Tan (2017)
Nel terzo grafico, passo in rassegna i recenti investimenti cinesi nell’energia verde, paragonandoli a quelli dell’Unione Europea. Nel 2016, la società di consulenze londinese E3G ha pubblicato un grafico che mostrava il gap crescente tra la Cina e l’UE. Nel 2015, la Cina ha investito più di 110 miliardi di dollari in energia pulita, a fronte di soli 40 miliardi investiti dall’UE – 2,5 volte di più.
Gli investimenti cinesi hanno sorpassato quelli dell’UE nel 2013, e da allora si sono consolidati ogni anno, mentre gli investimenti dell’UE sono effettivamente diminuiti. Anche l’investimento pro-capite da parte della Cina ha superato, nel 2015, quello dell’UE, mentre gli investimenti cinesi in energia pulita hanno raggiunto, in termini di proporzioni sul PIL, l’1% contro lo 0,3% scarso dell’UE.
Figura 3. Investimenti in energia pulita, Cina e Unione Europea a confronto, 2005 – 2015. Fonte: E3G
Quindi, se la Cina sta davvero diventando la maggiore superpotenza mondiale dell’energia verde – e tutto sembra indicare che sia così -, allora sorge spontanea una domanda: a cosa è dovuto tale fenomeno? Senza dubbio, le preoccupazioni relative al cambiamento climatico sono uno dei fattori, ed è notevole che la Cina sia stata tra i primi a firmare per la riduzione delle emissioni di carbonio in occasione dell’accordo di Parigi del 2015, e sia ora tra i più strenui sostenitori dell’accordo stesso mentre, sul fronte statunitense, l’interesse e l’impegno sono in declino sotto l’amministrazione Trump.
Ma benché la costruzione da parte della Cina di un sistema energetico verde su così vasta scala sia il più importante contributo mondiale nel contenere la minaccia del cambiamento climatico, non è tuttavia questa la principale motivazione cinese. Nel mio ultimo libro, Global Green Shift, sostengo che la Cina affronta oggi questioni ancor più pressanti, e che sono queste a rappresentare la vera spinta del “cambiamento verde”: per prima cosa, gli urgenti e gravissimi problemi di inquinamento che soffocano l’aria, l’acqua e il terreno cinesi.
La “svolta verde” della produzione energetica, e di conseguenza dell’industria, dei settori industriale, dei trasporti e abitativo, è il mezzo più efficace per ridurre l’inquinamento e i suoi effetti sulla salute umana. Il secondo, altrettanto efficace, stimolo è il problema della sicurezza energetica. In qualità di più grande potenza produttrice di energia al mondo e più grande consumatore mondiale di carbone, la Cina ha tutti gli incentivi per ridurre la propria dipendenza dalle importazioni di combustibile fossile, con il terribile impatto che esse hanno sui bilanci e le possibilità che portino la Cina a rimanere invischiata in grovigli geopolitici che potrebbero condurre a guerre, rivoluzioni o atti terroristici (o tutte e tre le cose).
Il mondo è uscito da un secolo di guerre petrolifere, e se la Cina e l’India e altri paesi di recente industrializzazione dovessero intraprendere un cammino di totale dipendenza dal carbon fossile, questo vorrebbe dire un altro secolo di guerre ancor più sanguinose e disastri ecologici, senza contare l’impatto che carbone e gas avrebbero su geopolitica e salute.
Tutti gli indizi, dunque, sembrano puntare al fatto che la Cina abbia fatto l’attento calcolo secondo il quale il modo migliore per evitare i limiti geopolitici imposti dai combustibili fossili sia intraprendere una strategia globale di energia sostenibile.
Che tale strategia aumenti la sicurezza energetica, dal momento che ogni paese può mettere a punto i propri dispositivi per le energie rinnovabili, non è una questione di poco conto; nel far ciò, inoltre, costruisce una piattaforma di esportazione per il futuro. Tali questioni non si limitano alla Cina: le dinamiche industriali di questa strategia, la concorrenza capitalistica e le opportunità imprenditoriali offerte dalla svolta verde globale dovrebbero essere al centro degli interessi di qualsiasi business school o centro di studio delle scienze sociali.
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