Liberté, fraternité, gentrification: cosa ci insegna il voto francese
23 giugno 2017
I risultati delle elezioni francesi sono arrivati, e il loro messaggio è forte e chiaro. Emmanuel Macron ha ottenuto una larga maggioranza che gli consentirà di attuare un’agenda in qualche modo controversa. E se il risultato delle elezioni presidenziali poteva essere soggetto a varie interpretazioni (pressoché qualsiasi candidato avrebbe vinto contro Marine Le Pen), non ci sono dubbi circa il fatto che il voto per il parlamento ha dato mandato esplicito al presidente Macron.
Il successo della République en marche era atteso fin dallo scorso maggio, dal momento che in Francia gli elettori tendono a confermare il voto per il presidente nelle successive elezioni parlamentari. Tuttavia, se si prende una prospettiva di lungo periodo, è possibile cogliere meglio la straordinarietà del risultato del nuovo partito del presidente.
Solo un anno fa il movimento non esisteva e, nel giro di pochi mesi, Macron ha sapientemente sfruttato l’insoddisfazione degli elettori verso i partiti tradizionali per cambiare lo scenario politico. Quale che sia il destino che attende questa presidenza, il sistema politico francese è stato disarticolato per sempre.
I commenti che hanno fatto seguito al voto si sono concentrati su due temi principali, la partecipazione e il ruolo chiave giocato dalla regola di maggioranza nel conferire a Macron i pieni poteri.
Il voto è stato effettivamente caratterizzato da un’altissima percentuale di astenuti. Più della metà degli aventi diritto al voto, il 57,4%, ha scelto di non recarsi alle urne. L’opposizione si è attaccata ai risultati per contestare la legittimità del presidente, un’interpretazione che tuttavia pare infondata: benché sia vero che, mediamente, ogni membro del parlamento è stato scelto dal 22% degli elettori, in una democrazia chi sceglie di non votare sceglie di delegare ad altri, che in virtù di questa delega esprimono le loro preferenze.
In particolare, al primo turno – che ha registrato una partecipazione solo marginalmente più alta -, la “offerta politica” era piuttosto variegata, e chi si è astenuto non può che rimproverare se stesso per un risultato che non apprezza. Il che non vuol dire che la disaffezione non sia un problema serio. Ma è un problema che riguarda l’intero sistema politico.
Il secondo punto molto discusso è la forte distorsione indotta dalla regola di maggioranza. La France Insoumise, il partito della sinistra radicale, ha raccolto più voti dei socialisti, ma la metà dei parlamentari. Fatto ancor più impressionante, En Marche e i suoi alleati hanno il 60% dei seggi, con il 20% dei voti al primo turno, mentre il Front National, con pochi voti in meno, non va oltre gli otto seggi (l’1,4% dell’assemblea).
Si tratta però di un problema annoso. È cosa nota che nell’eterno dilemma tra rappresentanza e governabilità, il sistema francese dà un peso molto maggiore alla seconda, e i perversi risultati delle elezioni non sono che l’ovvia conseguenza di tale scelta. Si discute peraltro di una (limitata) correzione del sistema in senso proporzionale, uno dei punti del programma del candidato Macron.
Mentre ci si accapigliava su questi argomenti, fondamentalmente già noti e stradiscussi, un risultato molto più interessante delle elezioni è passato quasi inosservato. Molti hanno sottolineato il grande rinnovamento e la diversità dell’Assemblée: il 75% dei membri del parlamento sono esordienti. L’età media è inferiore a 48 anni, e più vicina alla media della popolazione (41) di quanto non sia mai stata. Last but not least, il parlamento del 2017 ha 224 donne elette, il 38,8% dell’assemblea, molte di più delle 155 (26,8%) del precedente mandato.
Il rinnovamento, tuttavia, è molto più apparente che sostanziale; soprattutto, in una dimensione essenziale, il nuovo parlamento è molto meno diversificato del suo predecessore. Il numero di membri provenienti dalla società civile, è vero, è aumentato, e ci sono meno politici di professione. Il loro posto, però, è stato preso da “colletti bianchi”, liberi professionisti e dirigenti – i membri cioè di quelle che l’INSEE, l’istituto di statistica nazionale, chiama le “classi superiori” -, mentre “colletti blu” e pensionati sono molto meno presenti in parlamento di quanto non siano nella società francese E anche se questa caratteristica era già propria dell’Assemblée uscita dalle elezioni del 2012, l’emersione di En Marche ha accelerato la “gentrificazione” del parlamento. Il 57% dei nuovi membri del Parlamento viene dalle classi superiori, che rappresentano il 18% della popolazione. Insomma, il nuovo parlamento è certo più rappresentativo della società francese se guardiamo alla composizione per età e genere, ma rappresenta un passo indietro dal punto di vista della composizione socio-economica. E quelli che sono meno rappresentati sono proprio coloro che sono stati colpiti più duramente dalla crisi.
Questo è potenzialmente un serio problema per il programma riformista di Macron: che le sue riforme portino benefici è tutto da dimostrare. Ma qualunque sia l’effetto globale, non c’è dubbio che, come qualunque cambiamento strutturale, lasceranno indietro qualcuno. L’equità, o “crescita inclusiva”, come va di moda chiamarla oggi, richiederà una qualche ridistribuzione dei vantaggi eventuali delle riforme, senza la quale l’adesione della maggioranza al programma verrà meno. Ma sarà capace, un parlamento in cui le classi superiori sono sovrarappresentate, di proteggere i perdenti di ieri e di oggi? Se la risposta sarà negativa, il confronto politico si sposterà nelle piazze – un campo nel quale in passato i francesi si sono dimostrati piuttosto forti.
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