“È diventato un Dio”. Google, il machine learning e la macchina che ha imparato da sola a sconfiggerci
7 luglio 2017
Nel 1997, a New York, il campione del mondo di scacchi in carica Garry Kasparov perse in un incontro ufficiale contro Deep Blue, un programma realizzato da IBM. Dopo la vittoria di Deep Blue negli scacchi, rimaneva un solo gioco in cui i computer non riuscivano a battere gli umani: il Go, un gioco cinese tradizionale vecchio di 3000 anni, estremamente popolare in Cina, Giappone e Corea del Sud.
Il Go ha regole più semplici rispetto agli scacchi, ma le mosse possibili in ogni istante sono molte di più, e questo ha impedito la realizzazione di programmi in grado di giocare al livello dei maestri. Per venti anni il Go è stato l’unico gioco in cui l’intuizione umana – l‘abilità dei maestri di Go di valutare situazioni a colpo d’occhio – era superiore alla capacità dei programmatori di catturare l’essenza del gioco e trasformarla in un programma.
A maggio di quest’anno però Ke Jie, il campione del mondo di Go, ha perso contro AlphaGo, una intelligenza artificiale realizzata da Google. “Non si mette bene per l’umanità” è stato il commento di Paul Mozur nel suo articolo per il New York Times.
Sono passati solo venti anni tra queste due partite, ma in realtà abbiamo assistito ad un cambiamento tecnologico epocale. Deep Blue era stato programmato nel modo classico, quello che viene chiamato “programmazione imperativa”, riassumibile sinteticamente in: noi (i programmatori) diamo istruzioni, il computer le esegue. Google invece ha usato tecniche di machine learning per sviluppare AlphaGo, una intelligenza artificiale. Nel machine learning non serve programmare, servono esempi da mostrare al computer, in maniera che possa imparare da questi. Google ha mostrato milioni di partite di Go ad AlphaGo, che ha così imparato a giocare a Go.
Lo scorso anno Alpha Go ha iniziato battendo il campione della Corea del Sud, Lee Sedol. Ke Jie, il diciannovenne cinese campione del mondo in carica, non è sembrato spaventato, al punto da commentare su un social media: “AlphaGo sarà anche in grado di battere Lee Sedol, ma non me!”. Qualche mese dopo però Ke Jie ha perso tre partite online contro un avversario di cui non era nota l’identità. Il misterioso avversario ha vinto complessivamente 60 partite online contro maestri di go, senza perdere mai un incontro. Poco dopo Google ne ha svelato l’identità: l’imbattibile giocatore online era AlphaGo.
A quel punto Ke Jie ha accettato di affrontare AlphaGo in un match ufficiale. Poco prima del match Ke Jie ha scritto su Weibo (un social media cinese simile a Twitter) che aveva “una mossa a sorpresa” con la quale poteva battere AlphaGo. Sfortunatamente, AlphaGo non era più lo stesso programma contro cui lui aveva perso. Era migliorato. Come? Hanno fatto giocare ad AlphaGo milioni di partite contro se stesso, e poi hanno usato queste partite come esempi da cui AlphaGo ha imparato. AlphaGo è diventato il suo stesso insegnante. Questo è machine learning: non diciamo più al computer cosa deve fare, mostriamo esempi da cui imparare. Le macchine prima imparano da noi, e dopo imparano da se stesse.
C’è un famoso racconto di fantascienza di Fredric Brown, scritto nel 1964, intitolato “la risposta”. In questo racconto viene costruito un supercomputer in grado di rispondere a qualsiasi domanda. Non appena il computer viene acceso, la prima domanda che gli viene rivolta è quella che da sempre affligge il genere umano: “Esiste Dio?”. La risposta è: “Adesso sì”.
Ke Jie dopo la partita ha dichiarato: “Quando ho perso nelle partite online, AlphaGo sembrava umano. Adesso, invece, è diventato un Dio del Go”.
Non si mette bene per l’umanità.
Maggiori dettagli su AlphaGo e sulle partite disputate contro Ke Jie si possono trovare nel blog di DeepMind, la società di Google che ha creato AlphaGo.
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