Lusso e sostenibilità: una nuova prospettiva
19 luglio 2017
“Lusso” e “sostenibilità” sono stati per anni, forse solo per superficialità, ritenuti concettualmente distanti. Molto distanti. Anzi, a dirla tutta, il milieu sociale e tecnico nel quale i due termini hanno trovato legittimazione e diffusione sembravano essere addirittura agli antipodi se non in contrapposizione. Nei mercati di consumo, infatti, il lusso implica unicità, prestigio, distinzione edonistica al limite della frivolezza e dell’ostentazione, del distacco se non della ricchezza; mentre la sostenibilità, sia essa di natura ambientale, etica, economica o sociale implica sobrietà, eticità, altruismo o quantomeno solidarietà, sincronica e diacronica (le generazioni future).
A dispetto della presupposta, e spesso dimostrata, incompatibilità tra lusso e sostenibilità, il volume Sustainable Luxury Brands – a firma di Cesare Amatulli, Matteo De Angelis, Michele Costabile, e Gianluigi Guido, edito da Palgrave Macmillan – muove dalle recenti evidenze aneddotiche che testimoniano una crescente attenzione da parte di imprese e consumatori del lusso verso i temi della sostenibilità e della responsabilità sociale e avanza l’idea che lusso e sostenibilità siano due mondi molto più vicini, compatibili e di certo convergenti fino alla sovrapposizione di quanto molti, inclusi diversi luxury manager, non credano. E tale prossimità, o quantomeno crescente compatibilità, deriva dal fatto che il lusso presenta caratteristiche che lo rendono, per usare un’etichetta spesso presente nel volume, “inherently sustainable” e quindi naturalmente idoneo ad apportare molteplici benefici a diverse categorie di stakeholder: dai consumatori ai dipendenti fino all’ambiente e alle comunità di riferimento. E ciò in misura molto maggiore rispetto alla gran parte dei business “mass market” che oggi conosciamo.
In particolare, tra la caratteristiche di “sostenibilità instrinseca” del lusso si annoverano non solo l’elevata qualità tecnica che in media contraddistingue i beni di lusso e che presenta oggettivi benefici per i consumatori, ma anche la durevolezza tipica di molti prodotti di lusso, con benefici diretti e indiretti per i consumatori (in termini di ridotta spesa media nel lungo termine e di riduzione del tempo e dello sforzo profuso alla ricerca di nuovi prodotti) e per le risorse ambientali. Non secondaria è, poi, la congenita limitazione delle unità di prodotto realizzate, con benefici anzitutto per l’ambiente e le comunità su cui le aziende insistono; spesso combinato con l’utilizzo di manodopera artigianale, che aumenta la possibilità di dare continuità a lavori e capacità tradizionali e realizzano di fatto processi di patrimonializzazione culturale se non anche artistica. Ne consegue, infine, la tendenza da parte delle aziende del lusso a corrispondere salari più elevati rispetto alla media con tutto ciò che ne consegue per il benessere diffuso nelle comunità di riferimento.
Tali argomentazioni, presentate e discusse nel volume, sono corroborate da interviste con alcuni top manager delle imprese del lusso e dalla descrizione, nell’ultimo capitolo, di alcuni risultati empirici delle ricerche condotte dagli autori, pubblicate e in corso di pubblicazione su alcune prestigiose riviste accademiche internazionali.
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