Welfare state, scale sociali e american dream. Come il premio di cittadinanza influenza le migrazioni
3 agosto 2017
Anteprima dal libro Ingiustizia globale. Migrazioni, disuguaglianze e il futuro della classe media, in libreria a settembre 2017.
Riprodotto per gentile concessione dell’Autore
L’esistenza del premio di cittadinanza ha importanti implicazioni per i fenomeni migratori: individui originari di paesi poveri hanno l’opportunità di raddoppiare o triplicare o aumentare di dieci volte il loro reddito reale trasferendosi in un paese ricco. Ma il fatto che il premio vari in funzione della posizione che un individuo occupa nella distribuzione di reddito porta con sé altre implicazioni. Se un individuo considera due paesi con lo stesso reddito medio come possibile destinazione, la sua decisione (unicamente sulla base di criteri economici) su dove migrare sarà anche influenzata dall’aspettativa riguardante dove possa finire nella distribuzione di reddito del paese di destinazione, e quindi su quanto disuguale sia la distribuzione di reddito di tale paese. Supponiamo che la Svezia e gli Stati Uniti abbiano lo stesso reddito medio. Se un potenziale migrante si aspetta di finire in fondo alla distribuzione del reddito del paese di destinazione, allora dovrebbe migrare in Svezia piuttosto che negli Stati Uniti: i poveri in Svezia sono più abbienti rispetto alla media di quanto non lo siano negli Stati Uniti, e il premio di cittadinanza, valutato per gli strati più bassi della distribuzione, è maggiore. Alla conclusione opposta si approda se tale individuo si aspetta di inserirsi nella parte alta della distribuzione del paese di destinazione: allora dovrebbe migrare negli Stati Uniti.
Quest’ultimo risultato ha spiacevoli implicazioni per paesi ricchi che sono più egualitari: tenderanno ad attirare migranti meno qualificati che in genere si aspettano di trovarsi negli strati più bassi delle distribuzioni di reddito dei paesi di destinazione. In tal modo, avere un welfare state nazionale più sviluppato potrebbe sortire l’effetto perverso di attirare migranti meno qualificati e che contribuiscono meno. Dobbiamo tuttavia tenere in considerazione un altro elemento, persino in questo quadro ovviamente molto abbozzato: quanta mobilità sociale c’è nel paese di destinazione. Paesi più disuguali con una forte mobilità sociale tenderanno, a parità di presupposti, ad attirare migranti più qualificati che si aspettano poter finire tra gli strati più alti delle distribuzioni di reddito dei paesi di destinazione. La capacità di risalire la scala sociale era precisamente l’immagine, e potrebbe essere stata la realtà, degli Stati Uniti nel Diciannovesimo secolo e forse per gran parte del Ventesimo. Ma è possibile che questa terza caratteristica attrattiva degli Stati Uniti (oltre a un reddito medio più elevato e una distribuzione di reddito più disuguale) stia perdendo parte del suo lustro, dal momento che, secondo alcuni studi, la mobilità inter-generazionale è adesso più bassa negli Stati Uniti che nell’Europa del nord.
Alcuni paesi con welfare state molto sviluppati possono cercare di isolarsi dagli effetti “negativi” che comporta l’attirare in maniera sproporzionata migranti poco qualificati. Un modo, come avviene in Canada, nel Regno Unito e in Australia, è quello di accettare migranti “qualificati”, individui con alti livelli di istruzione o qualche caratteristica speciale che li rende attraenti per il paese destinatario (per esempio, grandi capacità atletiche o artistiche). Altri paesi cercano di attirare migranti ricchi. In questo caso, si acquista il permesso di residenza e in definitiva di cittadinanza: un individuo ha bisogno di investire una certa somma di denaro (che potrebbe variare da un paio di centinaia di migliaia fino a diversi milioni di dollari) in un’azienda o proprietà immobiliare. Gli Stati Uniti sono uno dei paesi che adotta questo approccio, accordando la green card ai migranti che investono $1 milione nelle aziende statunitensi (o $500.000 in aziende situate in aree rurali o ad elevato tasso di disoccupazione).
Un numero di paesi in Europa permette agli stranieri di risiedere nel loro paese, e così viaggiare senza visto dentro l’area Schengen, in cambio di un investimento immobiliare. Entrambi tali filtri, istruzione e denaro, dovrebbero migliorare il bacino di immigranti che un paese riceve, e in definitiva contribuire alla produzione economica di un paese e riuscire a mantenere il suo welfare state minimizzando il numero di migranti che dipendono dai trasferimenti sociali. Dal punto di vista dei singoli paesi, sono strategie intelligenti. Il problema sorge da una prospettiva globale, perché questo approccio alle migrazioni è fortemente discriminatorio. A una serie di “discriminazioni” dovute alla rendita di cittadinanza, ne aggiungiamo un’altra dovuta al fatto che tale rendita può essere goduta anche da chi pur non essendo stato abbastanza fortunato da nascere in un paese ricco, ha abilità o ricchezze eccezionali. Corriamo il rischio che tali politiche abbiano l’effetto che il mondo povero, e in questo caso ho in mente soprattutto l’Africa, diventi anche più povero perché i loro cittadini più istruiti e più ricchi se ne vanno.
Tutti questi problemi chiariscono sia la complessità delle questioni nell’era della globalizzazione, sia la necessità di pensare ai problemi da una prospettiva globale invece che unicamente dal punto di vista delle singole nazioni e delle loro popolazioni.
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