L’umanità sta diventando più intelligente? Un estratto da “Il re nero” di Leif Wenar

10 agosto 2017
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Pubblichiamo un estratto dal libro Il re nero di Leif Wenar edito da LUISS University Press (per l’originale © Oxford University Press 2016. Riprodotto per gentile concessione).

Una versione semplificata della legge di Moore dice che la potenza dei processori dei computer raddoppia ogni due anni. […] Cosa succede se proviamo a guardare all’umanità intera come a una singola intelligenza, come un’azienda o una nazione? L’umanità sta diventando più intelligente, sempre più in grado di affrontare i problemi che dovrà affrontare? Se potessimo fare un test di intelligenza all’umanità, forse noteremmo un quoziente intellettivo in costante crescita nei decenni, ma forse no. Non c’è alcuna legge naturale che ci assicuri che la linea sul grafico continui ad andare verso l’alto. Persino un numero maggiore e più capace di individui potrebbe formare un gruppo molto meno intelligente, se questi individui fossero meno bravi a lavorare insieme: il cervello dell’uomo di Neanderthal aveva più neuroni del moderno cervello umano, ma i nostri neuroni si sono “combinati” in modo tale da renderci più intelligenti.

La capacità umana di creare connessione sarà la principale discriminante circa la traiettoria dell’intelligenza di specie. Un secondo fattore importante sarà la qualità delle istituzioni internazionali: le regole, i network e gli organismi che coordineranno (o non riusciranno a coordinare) le relazioni oltreconfine. Queste istituzioni influenzeranno molto le capacità umane a livello di specie, e proprio a questo proposito potremmo trovarci ad affrontare una delle più affascinanti crisi scaturite dalla nostra capacità di invenzione.

Le istituzioni internazionali con cui abbiamo familiarità oggi hanno avuto ampiamente successo nel raggiungere gli scopi che si erano prefissati coloro che le fondarono, subito dopo la seconda guerra mondiale: crescere economicamente ed evitare guerre future. Nonostante tutte le crisi e le catastrofi avvenute nel periodo dopo la fine della guerra, coloro che concepirono l’attuale assetto internazionale sarebbero stati soddisfatti se avessero visto il futuro che è ormai il nostro passato. Eppure il successo porta spesso con sé nuove sfide, e diverse problematiche di oggi non sono altro che gli effetti collaterali dei progressi fatti nell’ambito dell’ordine istituzionale del dopoguerra.

Ad esempio, il sistema successivo alla guerra era pensato per fermare le guerre di conquista rinforzando i confini. Questo sistema ha funzionato bene, e la norma anti-conquista, ora parte integrante dell’assetto internazionale, ha contribuito a ridurre notevolmente il numero di conflitti armati. Tuttavia, un effetto collaterale di questo successo è stato congelare alcuni paesi in una situazione di fallimento. All’epoca della sua indipendenza nel 1960, la gigantesca Repubblica Democratica del Congo non aveva pressoché alcuna possibilità di funzionare come entità politica ben governata. All’epoca del trattato di Westfalia, prima o poi sarebbe stata conquistata e divisa da sovrani in grado di controllare meglio il suo territorio.

A causa della moderna regola “anti-conquista”, tuttavia, la Repubblica Democratica del Congo è sopravvissuta in uno stato di malattia semi-comatoso, mentre malviventi, milizie e i paesi vicini la dissanguavano, al punto da renderla ancora più debole. Questo non vuol dire che il mondo dovrebbe revocare la sua regola anti-conquista – una regola che il mondo ha appreso solo dopo secoli di guerre territoriali. Significa piuttosto che dovremmo raddoppiare i nostri sforzi per contrastarne le conseguenze indesiderate.

Lo stesso vale per le istituzioni globali del commercio e della finanza. Con l’eccezione degli Stati Uniti, le maggiori economie mondiali uscirono con gravi danni dalla seconda guerra mondiale. Anche in Gran Bretagna, che pure era tra i vincitori, cibo e carburante furono razionati per anni. Le donne dell’Inghilterra settentrionale ricordano ancora di quando riparavano le scarpe danneggiate con il cartone, e un anziano gallese potrebbe raccontare di essere cresciuto così affamato che ogni mattina, prima dell’alba, saltava la staccionata di qualche allevatore per succhiare un po’ di latte direttamente dalle mammelle di una mucca. Il mondo aveva bisogno di crescita e, in parte, la ottenne grazie alle istituzioni di Bretton Woods, progettate nel 1944 da John Maynard Keynes, Henry Morgenthau e Harry Dexter White, e in seguito rimaneggiate molte volte.

Questo sistema globale di commercio e finanza ebbe un successo spettacolare nell’accelerare la crescita. In effetti, produzione e consumo si sono espansi al punto che, oggi, minacciano l’ambiente: questo è il sistema che vomita gli stessi fumi che danneggiano il clima. (L’accordo originario per il “commercio mondiale”, raggiunto nel 1947, aveva lo scopo di “sviluppare il pieno uso delle risorse mondiali”. Nella nostra epoca, di certo sostituiremmo l’aggettivo “pieno” con “prudente”). Una storia parallela di crescita nell’economia del dopoguerra è stato lo straordinario ingrandirsi delle grandi compagnie: alcune di queste persone artificiali sono ora così gigantesche da far paura ai loro stessi creatori. Alla fine, sono tutte situazioni difficili dovute al nostro successo istituzionale.

Il sistema internazionale ha lentamente iniziato ad affrontare alcuni degli effetti collaterali delle sue conquiste. L’attività di peacekeeping è migliorata e ora riduce in modo sostanziale il rischio di conflitti armati all’interno dei paesi. Gli organismi internazionali stanno diventando gradualmente più inclusivi, come si è visto nel passaggio da G7 a G20. Le reti transgovernative per affrontare problemi di natura varia, da quelli ambientali a quelli del sistema bancario, stanno diventando più robuste. Sopra di esse esistono i “metanetwork” quali il Financial Stability Board; sotto di esse, gli organismi privati di tecnocrati come l’International Accounting Standard Board. Esistono anche ibridi pubblico-privati, come il Fondo internazionale per la lotta a AIDS, tubercolosi e malaria, e schiere di organizzazioni della società civile che ritengono gli Stati responsabili della governance (e a volte offrono servizi al loro posto). […] Le norme relative ai diritti umani nel mondo degli affari si stanno consolidando a loro volta.

Eppure le vecchie, familiari istituzioni dell’ordine internazionale sono bloccate e sembrano diventare sempre meno funzionali. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite concede ancora potere di veto a solo cinque paesi tra quelli vincitori della seconda guerra mondiale. Le istituzioni finanziare internazionali sono ancora principalmente al servizio dell’Occidente. La WTO sembra sforzarsi per avere capacità di movimento. Le nuove potenze emergenti, statali e non, avanzano richieste a cui le vecchie strutture fanno resistenza. Si tratta ancora una volta di una crisi scaturita dalle nostre invenzioni: le istituzioni che aiutavano l’espansione di pace e prosperità sono ingessate al punto da non riuscire a star dietro ai loro stessi risultati, e dilapidano grandi potenzialità intellettuali per far stare le relazioni internazionali entro vecchi schemi. Avere a che fare con cambiamento climatico, instabilità finanziaria, proliferazione del nucleare, terrorismo, pandemie e disuguaglianza equivarrà a reinventare le istituzioni del dopoguerra. Se nel ventunesimo secolo dovesse esserci una nuova apocalisse, il suo cavaliere potrebbe chiamarsi Paralisi.

L'autore

Leif Wenar è professore di Philosophy and Law al King’s College di Londra e fondatore di Clean Trade, una campagna apolitica a sostegno dei diritti umani nell’approvvigionamento delle risorse


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