L’impatto del turismo (e della sua crisi) sull’economia italiana
18 agosto 2017
Pubblichiamo un estratto dal libro Il turismo fra diritto internazionale, europeo e italiano, a cura di Carmela Decaro e Giovanni Piccirilli, di prossima pubblicazione per LUISS University Press.
L’Italia possiede notoriamente un immenso patrimonio storico, artistico e culturale che colloca il nostro Paese al vertice di numerose classifiche internazionali. Sono note le straordinarie potenzialità derivanti dalla varietà e bellezza naturale e paesaggistica del territorio, tali da spingere il settore turistico italiano a contribuire per una parte importante al PIL nazionale, stimabile in una percentuale compresa tra il 10 e il 12%.
Ciononostante, lo stesso settore turistico è, da anni, in grave difficoltà. Molteplici indicatori internazionali testimoniano questa situazione di rallentamento – se non di vera e propria flessione, specie in relazione ad altri Paesi – che colpisce un settore così strategico per l’economia nazionale.
Il quadro del decennio passato, e dunque prima degli effetti della crisi economica internazionale, già presentava indicatori più che preoccupanti. Studi di lungo periodo come le elaborazioni della Banca d’Italia (2013), sulla base di dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, mostrano come tra il 1982 e il 2010 l’Italia abbia perso quasi metà della sua quota di mercato turistico sul piano mondiale, scendendo dal 7,9% al 4,1%4. In senso analogo, il Fondo monetario internazionale registrava la perdita di competitività del settore turistico italiano in termini di quote di mercato, numero di visitatori e spesa media dei turisti rispetto agli stessi indicatori registrati in ulteriori Paesi dell’area mediterranea. Sempre nello stesso arco temporale, indagini approfondite registravano fattori di criticità come la grande frammentazione e la tendenza atavica al nanismo delle iniziative economiche nel settore, elementi che già allora non potevano costituire una solida base per positive prospettive di sviluppo.
Le ragioni di questo calo sembrano doversi individuare non solo nella parallela ascesa di mercati turistici dei paesi emergenti a partire dalla Cina e dalla Turchia, quest’ultima, ovviamente, prima che la successione di attentati e il golpe del 2016 portassero all’alto grado di insicurezza e di repressione delle libertà democratiche, fino alla proclamazione dello stato di emergenza nel luglio 2016 e ancora perdurante al maggio 2017. Ciò che è cambiato sono anche e soprattutto le modalità di fruizione dei servizi turistici da parte dei viaggiatori stranieri in Italia. La durata media dei viaggi internazionali diretti in Italia è scesa da 5,1 giorni del 1997 a 4,3 giorni del 2011, solo in parte compensata da un aumento dell’1,1% della spesa media pro capite giornaliera attualizzata (passata da 85,6 a 94,4 €). Nello specifico, pur avendo a lungo resistito alla contrazione degli arrivi internazionali che hanno caratterizzato negli ultimi anni gli altri comparti (primo fra tutto il balneare), anche il turismo nelle città d’arte comincia a mostrare segni di sofferenza, e, soprattutto, a rendere sempre più esplicita l’incapacità di svincolarsi dal percorso “obbligato” Venezia-Firenze-Roma, che cattura circa l’80% dei flussi, tagliando fuori – tra l’altro – completamente il Mezzogiorno.
Più in generale, le cause della progressiva perdita di competitività dell’Italia nel settore turistico, secondo l’analisi effettuata dal Fondo Monetario internazionale, sono di tipo essenzialmente strutturale, andando dalla scarsa capacità di attrazione degli investimenti esteri alle non indifferenti restrizioni alla proprietà straniera, fino al basso livello di professionalità dei dipendenti del settore. Non mancano altresì richiami alla inadeguatezza infrastrutturale (specie della rete ferroviaria e delle strutture portuali), fino a giungere alla mancanza di politiche governative specifiche per la emersione del turismo tra le priorità dell’economia nazionale.
Anche nel piano interno, uno studio dell’Istituto Nazionale delle Ricerche turistiche dell’ottobre 2009 confermava come i principali fattori che possono incidere sfavorevolmente sul turismo in Italia fossero, tra gli altri, l’inadeguatezza del sistema informativo e dei servizi al turista, la valutazione negativa del rapporto qualità-prezzo e la mancanza di infrastrutture turistiche. Infine, ostacoli normativi e burocratici sono fattori ulteriori che incidono negativamente sul settore turistico in relazione alla capacità della legislazione nazionale di attrarre imprese.
Tuttavia, può segnalarsi qualche significativo elemento di miglioramento: la rilevazione della situazione italiana effettuata all’interno del rapporto Doing Business, annualmente elaborato della World Bank, ha visto l’Italia migliorare dal 78° posto del 2010 (ultima tra i paesi OCSE e) al 45° posto del 2016, registrando quindi un esito positivo degli ampi sforzi riformatori effettuati nell’ultimo quinquennio.
Più specificamente nel settore turistico è da segnalarsi il netto miglioramento della posizione italiana nel Travel & Tourism Competitiveness Report predisposto dal World Economic Forum, che nel 2009 inseriva l’Italia soltanto al 28° posto (su un totale di 133 Paesi) nella classifica relativa alla competitività turistica, e dunque in una posizione di gran lunga peggiore rispetto a competitor diretti, come Francia, Spagna e Grecia, ma superata finanche da Paesi come l’Estonia o il Lussemburgo, e che tuttavia nel periodo più recente vede l’Italia attestarsi all’8° posto nell’omologo rapporto 2017 (su un totale aggiornato a 136 Paesi).
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