Cosa vuol dire la Brexit per il made in Italy. Numeri e previsioni
11 ottobre 2017
“Il ritorno del protezionismo e il dopo Brexit”, s’intitolava il seminario organizzato ieri alla dalla LUISS School of Government e da ALSoG nell’ambito delle attività del Master in management e politiche delle pubbliche amministrazioni MAMA, incontro a cui ha partecipato fra l’altro Jill Morris, ambasciatrice del Regno Unito in Italia.
Di seguito pubblichiamo stralci dell’intervento di Roberta Marracino, Executive Director e Responsabile Studi SACE, società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti che si occupa di servizi assicurativi e finanziari per export e internazionalizzazione.
Ad oggi l’export italiano verso il Regno Unito vale 22,5 miliardi di euro, su un interscambio (somma di importazioni e esportazioni, ndr) tra Regno Unito e Unione europea che vale oltre 400 miliardi di euro. Il Regno Unito è il nostro quarto mercato di destinazione delle esportazioni, mentre l’Italia – vista da Londra – è l’ottavo principale paese fornitore (soprattutto per i settori agrobusiness, food, made in Italy dunque e meccanica).
L’Italia ha un avanzo commerciale di 11,5 miliardi di euro verso il Regno Unito, pari al 22,3% dell’avanzo commerciale complessivo italiano. Nel settore dei servizi, invece, il nostro paese segna un disavanzo di 1,2 miliardi di euro.
Alla luce di questi dati, possiamo dire che – se non teniamo conto di paesi come i Paesi Bassi e il Belgio che sono tipici hub logistici con i loro porti per merci in transito verso il resto del mondo – l’Italia, dopo la Germania, è il paese con il maggiore avanzo commerciale verso il Regno Unito. Roma ha dunque tutto l’interesse a mantenere relazioni economiche quanto più possibile aperte con Londra.
I settori della meccanica strumentale e del Made in Italy tradizionale sono quelli che più contribuiscono all’avanzo commerciale italiano, come dimostrano i dati Istat qui di seguito.
Ci sono vari scenari per le future relazioni commerciali fra Regno Unito e Unione europea (e dunque Italia). Si va dalla relazione più stretta, sul modello di quella esistente con la Norvegia, alla relazione più lasca, regolata dalle sole norme dell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO).
Le regole del WTO potrebbero essere applicate in mancanza di un accordo tra Ue e Regno Unito, e avrebbero un impatto particolarmente negativo sui paesi con forti avanzi commerciali, come Italia e Germania.
Nell’ipotesi di relazioni commerciali regolate dal solo WTO, il 30% del nostro export si vedrebbe applicato un dazio doganale superiore all’8%. Questo inasprimento colpirebbe soprattutto i beni tipici del made in Italy: le tariffe medie arriverebbero all’11% infatti per food e moda, al 9,1% per le sole scarpe e così via. Ai dazi si aggiungeranno anche nuove barriere non tariffarie che causeranno tempi più lunghi di sdoganamento.
Già nel breve termine, comunque, le importazioni inglesi promettono di calare, in ragione di uno scenario che si presenta piuttosto incerto, in assenza di dettagli sui meccanismi di uscita e sui tempi associati. Lo scenario più probabile ad oggi è che le nuove relazioni fra Regno Unito e Ue vengano definite da un FTA (Free trade agreement). Tra marzo 2019 e la ratifica del FTA, sarà in vigore un “interim” o “transitional” agreement che preservi di fatto lo status quo. Di conseguenza, fino al 2019 è difficile che l’impatto di Brexit si manifesti nella sua interezza.
Detto ciò, da qui al 2019 SACE già prevede 4,1 miliardi di euro di export italiano in meno alla volta del Regno Unito, che sui 22,5 miliardi di esportazioni attuali è una quantità non indifferente.
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