Su banche e debito in Europa, errare è umano ma perseverare è diabolico. L’appello dei professori della LUISS SEP
12 ottobre 2017
Un appello al presidente francese Emmanuel Macron e alla cancelliera tedesca Angela Merkel per porre rimedio alle “significative fragilità” che continuano a caratterizzare l’Eurozona pure in questa fase di indiscutibile ripresa. E’ quello che hanno firmato lo scorso 29 settembre sulle pagine del giornale francese Le Monde e del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung alcuni fra gli economisti francesi e tedeschi più autorevoli in circolazione. Da Jean Pisani-Ferry (Hertie School di Berlino e Sciences Po di Parigi) a Lars Feld (Università di Friburgo, Consiglio tedesco degli esperti economici), da Philippe Martin (Sciences Po, Consiglio francese per l’Analisi economica) a Marcel Fratzscher (Centro studi DIW di Berlino e Università Humboldt University), soltanto per citarne alcuni. Per questi pensatori, l’attuale crescita economica nel Vecchio continente (a) è troppo dipendente dalla politica monetaria della Banca centrale europea, (b) continua a essere caratterizzata da una forte accumulazione di debito pubblico, (c) è affidata a autorità comuni europee che hanno strumenti spuntati per far avanzare politiche comuni. Un problema ulteriore, stavolta di prospettiva politica, è che le leadership di Parigi e Berlino – al netto della retorica – continuano ad avere visioni differenti su varie ipotesi di riforma: budget comune dell’area euro, sviluppo di Esm (European stability mechanism) ed Efm (Fondo monetario europeo), più in generale sugli strumenti europei di stabilizzazione e condivisione dei rischi.
Che fare, dunque? Per i firmatari della lettera aperta, si tratta di procedere più speditamente sull’integrazione del mercato dei capitali, anche attraverso una assicurazione europea sui depositi bancari (tassello mancante del progetto di Unione bancaria in fieri), ma ponendo innanzitutto paletti importanti alla esposizione delle banche commerciali nazionali rispetto al debito sovrano dei rispettivi paesi. Soltanto così la Germania potrà accettare una crescente condivisione dei rischi, visto che il divieto di bail-out per gli Stati e l’obbligo di bail-in per le banche diventano più credibili soltanto se si rompe il circolo vizioso fra debiti sovrani e istituti di credito. Allo stesso tempo la Francia dovrà accettare una maggiore disciplina di mercato rispetto ai conti pubblici, barattando la possibilità di fare nuovo deficit con la creazione di titoli di debito pubblico nazionali che possano essere più facilmente ristrutturati nel caso in cui un paese – in ragione della fragilità del proprio bilancio pubblico – perda l’accesso al mercato dei capitali.
Proposte senza dubbio radicali, alle quali adesso hanno risposto – sempre sulla Faz e su Le Monde – alcuni dei più autorevoli economisti della SEP, la School of European Political Economy della LUISS: Carlo Bastasin, Pierpaolo Benigno, Marcello Messori, Stefano Micossi, Franco Passacantando, Fabrizio Saccomanni e Gianni Toniolo. I quali – nella loro lettera aperta che qui potete leggere in italiano e qui in tutte le altre lingue – si dicono d’accordo sul fatto che “una riflessione sul futuro dell’euro-area da parte degli economisti” sia “doverosa e benvenuta. (…) Tuttavia, per essere efficace, ogni soluzione presuppone l’identificazione di una combinazione equilibrata di misure intese a ridurre i rischi e di altre intese a condividerli, in modo da rassicurare risparmiatori e investitori contro il ritorno di shock esogeni che colpiscano i paesi meno solidi mettendo in pericolo la tenuta dell’unione monetaria”.
Per quanto riguarda il meccanismo di ristrutturazione dei debiti, scrivono gli economisti italiani, bisognerebbe ricordarsi degli errori che la leadership franco-tedesca già commise sul punto nel celebre vertice di Deauville del 2010: “Ciò che gli economisti francesi e tedeschi non colgono, quando resuscitano i timori che i debiti sovrani non vengano onorati, è che l’introduzione di meccanismi ex-ante o automatici di ristrutturazione dei debiti pubblici renderebbe ancora più difficile per i mercati distinguere tra rischi di liquidità e rischi di insolvenza. Anziché rafforzare la disciplina di mercato, questi meccanismi spingerebbero gli investitori a una fuga a cascata attraverso una spirale di paure che si auto-alimenterebbe. Come dicevano i latini: ‘Errare è umano, ma perseverare è diabolico’”.
Anche la seconda proposta degli economisti franco-tedeschi – l’introduzione di diversi coefficienti di rischio nel calcolo dei requisiti del capitale delle banche per i titoli sovrani nazionali da esse detenute – è definita “controproducente”. “Non è un caso che sia stata respinta da tutti i paesi al di fuori dell’euro nei negoziati in corso presso il Financial Stability Board – osservano i professori della SEP – In effetti, anziché rendere le banche più solide e prevenire il contagio, questa misura potrebbe accentuare la frammentazione finanziaria. Infatti, in assenza di un meccanismo di sostegno fiscale adeguato a contrastare gravi crisi di liquidità e di un titolo sicuro per gestire la liquidità da parte delle banche, queste ultime dovrebbero sopportare costi di raccolta e di rifinanziamento inevitabilmente allineati a quelli dei titoli sovrani del loro paese. Così, uno specifico coefficiente di rischio sui diversi titoli sovrani finirebbe per approfondire la frammentazione del sistema finanziario europeo e per di più rafforzerebbe il legame perverso tra debito pubblico e bilanci bancari, privando le banche degli strumenti necessari per gestire la loro liquidità”.
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