Dalle banche al debito. Perché le idee di Schäuble non cureranno l’Eurozona. Un paper della SEP

27 ottobre 2017
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Il falco tedesco e Parmenide: un incontro impossibile?

Dopo otto anni, Wolfgang Schäuble non sarà più ministro delle Finanze nel prossimo governo di Angela Merkel in Germania. Allievo di Helmut Kohl e noto per essere un politico coriaceo e resistente anche nel fisico (è sopravvissuto a un attentato nel 1990), Schaüble è stato recentemente eletto Presidente del Bundestag (il Parlamento tedesco). Nonostante un’attività politica pluridecennale (è stato eletto al Parlamento per la prima volta nel 1972), la sua immagine in Europa è diventata sempre più legata al rigore e all’austerità, specialmente nei confronti dei Paesi mediterranei: durante le trattative per il salvataggio della Grecia, le sue richieste in cambio della concessione dei prestiti gli valsero il soprannome di “falco”.

Parmenide era invece un filosofo greco attivo intorno al 500 a.C. nella città di Elea in Magna Grecia. Centrale nel suo pensiero era la riflessione sul tema dell’essere in quanto essere. Parmenide riteneva, secondo una formulazione celebre del suo poema Sulla Natura, che “l’essere è e non può non essere”: per lui l’essere significava esistere. Ma Parmenide non aveva fatto i conti con Schäuble. Duemilacinquecento anni dopo il nostro filosofo, infatti, il potente ex ministro delle Finanze sembra essere l’autore di quello che è stato chiamato un non-documento (Non-paper for paving the way towards a Stability Union), fatto circolare durante l’ultimo incontro dell’Ecofin, il consiglio “Economia e finanza” responsabile della politica economica, la fiscalità e la regolamentazione dei servizi finanziari dell’Unione Europea, composto dai Ministri dell’economia e delle finanze degli Stati membri. Qualunque sia la genesi del non-documento, esso chiaramente esprime la posizione del governo tedesco attuale circa i possibili sviluppi futuri dell’Eurozona: si tratta pertanto di un punto di partenza imprescindibile per i leader politici italiani, i quali sono chiamati a decidere se e cosa accettare di quanto il non-documento propone ed eventualmente a formulare controproposte. Ignorarlo, invece, ci escluderebbe dal tavolo delle trattative, costringendoci alla fine a dover fare i conti con decisioni prese da altri e forse dannose per i nostri interessi.

Continuando il dibattito tra economisti italiani (da una parte) e francesi e tedeschi (dall’altra) sulle politiche economiche e fiscali future dell’Unione, la LUISS School of European Political Economy pubblica ora una risposta al non-documento, dal titolo “Il non-documento di Schäuble: elementi per una discussione” a firma di Angelo Baglioni (Università Cattolica Milano) e Massimo Bordignon (Università Cattolica Milano e membro dello European Fiscal Board). Gli autori, che considerano il non-documento come la “piattaforma negoziale tedesca” per la riforma dell’area monetaria comune europea, esaminano il significato e le conseguenze delle proposte in esso avanzate, non esitando a denunciare l’inaccettabilità di alcune di esse e proponendo una serie di alternative.

Il non-documento appare agli occhi di Bagioni e Bordignon come «una riproduzione di ben noti nein» al bilancio comune e alla mutualizzazione dei debiti, anche nelle sue forme più “ammorbidite” (come l’introduzione di una capacità fiscale condivisa a livello europeo e di safe bonds europei). Ma, a parte questa pars destruens, il non-documento indica anche proposte nuove, che gli autori esaminano criticamente.

 

Il Fondo Monetario Europeo

La prima proposta di Schäuble prevede la trasformazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (un fondo per i paesi dell’eurozona che perdono l’accesso ai mercati finanziari, condizionato però in base all’accettazione di precise riforme da parte dei paesi stessi) in un Fondo Monetario Europeo che abbia il compito di prevenire le crisi e monitorare l’applicazione del Patto di stabilità e crescita. Gli autori si dicono favorevoli a questa trasformazione: un Fondo Monetario Europeo sarebbe uno strumento più duttile rispetto al Meccanismo di Stabilità – cui i paesi accedono solo in condizioni disperate – introducendo forme di sostegno in itinere che lo renderebbero più utile. Resterebbe solo il problema di definire una governance del Fondo Monetario, che dovrebbe essere in grado di decidere in autonomia quando, se e a che condizioni supportare un paese.

 

La sorveglianza fiscale

Piace meno a Baglioni e Bordignon, invece, la seconda proposta del non-documento, che vuole attribuire al nuovo Fondo anche il compito di sorveglianza fiscale: «La ragione per respingere tale sorveglianza non è per consentire ai vari paesi di violare allegramente i patti o di inventarsi sempre e nuove ragioni di flessibilità, con buona pace degli appetiti nostrani. È piuttosto perché l’idea di attribuire ad un organismo puramente tecnico la sorveglianza fiscale continua a coltivare l’illusione, cara all’approccio ordo-liberale tedesco […], che esistano regole fiscali che possano essere applicate in modo automatico e senza discrezione». Del resto, osservano gli autori, il Patto di stabilità è stato più volte modificato proprio perché un’attuazione automatica delle regole avrebbe condotto a effetti economicamente controproducenti. In altre parole, è difficile immaginare un accordo tale che possa prevedere ex-ante tutte le possibili circostanze e congiunture in modo da eliminare del tutto una componente di discrezionalità: «Un organismo tecnico, quasi per definizione, non può essere discrezionale perché manca della legittimità politica per poter svolgere questo ruolo».

La proposta del non-documento mette in luce però un problema di fatto, vale a dire che l’applicazione delle regole fiscali non può essere condizionata dalla discrezionalità di convenienze politiche, che minerebbero la fiducia tra i paesi membri – anche se troppo spesso si pensa che siano solo i Paesi mediterranei a cadere in tentazione: «È inaccettabile che le regole vengano piegate in funzione della importanza relativa dei paesi membri – come accadde per esempio nel 2004, quando Germania e Francia, con il supporto dell’Italia, riuscirono a evitare le sanzioni del Patto invocate dalla Commissione». Occorre pertanto trovare una combinazione ottimale tra giudizio tecnico e discrezionalità politica, che tenga presente come, a fronte di un giudizio tecnico espresso pubblicamente, diventi difficile per la politica compiere scelte a esso contrarie senza dover poi pagare «il costo politico di una decisione in conflitto con i suggerimenti di organismi tecnici indipendenti, sia nazionali che europei».

La sorveglianza delle regole fiscali da parte della Commissione e le relative raccomandazioni ai singoli paesi su aspetti fiscali ed economici, inoltre, sono «l’unico vero strumento a disposizione delle istituzioni europee per introdurre un minimo di convergenza nelle politiche economiche dei paesi membri». È dunque un ruolo importante, che non può essere sacrificato in nome della generale insoddisfazione dei paesi del nord Europa nei confronti della Commissione, accusata di troppo lassismo, come neanche di quella dei paesi del Sud, che viceversa ne denunciano l’eccessivo rigore.

 

Ridurre i rischi. Ma come?

 Il non-documento ribadisce un mantra della strategia negoziale tedesca: prima ridurre i rischi, poi condividerli. In questo c’è un evidente e non trascurabile fondamento economico ma, sottolineano gli autori, ciò non deve diventare un alibi di Berlino per rinviare qualsiasi condivisione dei rischi, imponendo nel frattempo vincoli e controlli sempre più stretti sia alla finanza pubblica che al settore bancario. È necessario che il governo italiano abbia una strategia precisa in merito: «Bisogna essere molto chiari su quali sono le riforme di riduzioni dei rischi considerate accettabili e quali invece vanno respinte. Bisogna anche essere realistici nel proporre forme di condivisione dei rischi che siano politicamente accettabili».

Per quanto riguarda il settore bancario, uno dei principali fattori di preoccupazione – segnalato su LUISS Open anche da Daniel Gros – è l’esposizione troppo significativa delle banche nazionali verso il settore pubblico domestico. Una soluzione potrebbe consistere nel porre un limite al portafoglio di titoli pubblici del proprio paese che una banca può detenere. Ma il settore bancario in Italia ha anche altri problemi, relativi ai ritardi nella gestione dello stock di crediti deteriorati, con strumenti quali la garanzia GACS e il Fondo Atlante rivelatisi del tutto insufficienti: anche in questo caso è necessaria una strategia chiara, che stabilisca l’istituzione di una bad bank nazionale o iniziative di agevolazione delle operazioni di mercato.

Interventi di questo tipo (limite alla detenzione di titoli pubblici e riduzione dello stock di crediti deteriorati) sono, secondo Baglioni e Bordignon, la necessaria «contropartita al completamento dell’Unione bancaria. Su questo fronte, finora i tedeschi hanno ottenuto l’accentramento della vigilanza presso la BCE e l’introduzione del bail-in […] che addossa buona parte dei costi di una crisi bancaria agli stakeholders locali (azionisti e creditori). Il terzo pilastro dell’Unione bancaria, l’assicurazione europea dei depositi, non è mai arrivato. La Commissione si è di fatto arresa di fronte all’opposizione tedesca». Una resa non accettabile, secondo gli autori, che richiedono invece l’introduzione, con la dovuta gradualità, di un fondo di assicurazione comune europeo.

 

Un bail-in dei titoli pubblici?

L’ultima proposta del non-documento tedesco prevede di dotare il nuovo Fondo Monetario della possibilità di imporre la ristrutturazione del debito pubblico di un paese, con una sorta di bail-in applicato ai titoli pubblici. Ma, osservano gli autori, una clausola simile avrebbe un effetto destabilizzante e potrebbe indurre attacchi speculativi nei confronti di un paese che anche solo considerasse l’eventualità di accedere all’assistenza del Fondo: «Essa causerebbe automaticamente un aumento del premio al rischio per i paesi ad alto debito, facendone aumentare il costo del finanziamento e dunque rendendo più probabile il rischio di una crisi finanziaria. Del resto, si tratta di uno scenario che abbiamo già vissuto; la semplice dichiarazione congiunta di Angela Merkel e dell’allora Presidente francese, Nicholas Sarkozy, sulla spiaggia di Deauville nell’ottobre del 2010, sulla necessità di coinvolgere il settore privato nelle perdite indotte dal default di un paese, determinò immediatamente un forte inasprimento del premio di rischio sui titoli greci e per contagio su tutti i titoli della periferia, provocando la crisi dell’euro nel 2011-12».

Certo, se il perseguimento di un’unione bancaria e l’assicurazione europea dei depositi vanno decisamente attuati, maggiore cautela è necessaria quanto alla condivisione dei debiti pubblici, che non incontrerebbe affatto il favore dell’elettorato tedesco. Strumenti volti a tal fine sarebbero prematuri e controproducenti perché aumenterebbero la percezione da parte dei paesi più solidi che sia in corso un tentativo di scaricare su di loro il costo del debito dei paesi più deboli. Ma ciò non deve esimere l’Italia da un impegno serio per la riduzione del debito, sia attraverso dismissioni patrimoniali che con il controllo dei conti, approfittando della ripresa economica e di tassi di interesse che dovrebbero restare bassi ancora per qualche tempo (a questo si aggiunga il fatto che parte consistente del debito, circa il 16%, resterà ancora a lungo in portafoglio alla Banca d’Italia), con l’obiettivo di raggiungere una situazione in cui l’avanzo primario finanzi la parte del costo del debito non coperta dalla crescita economica. Ciò rassicurerebbe mercati e partner e metterebbe l’Italia in una posizione strategicamente più credibile per contribuire a evoluzioni future «più ragionevoli e meno conflittuali» dell’euro area e dell’Unione stessa.

Il non-documento di Schauble: elementi per una discussione

L'autore

La LUISS School of European Political Economy è dedicata allo studio e alla ricerca degli affari europei. Ha anche un’offerta didattica che consiste in diversi corsi di livello master, tra cui il Master in European Economic Governance

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