Così il crowdfunding rafforza le start-up (rendendole più innovative)
8 novembre 2017
Anche le idee di business più brillanti hanno un costo di realizzazione che può diventare l’ostacolo principale alla loro stessa realizzazione: problema ben noto alle start-up che spesso devono impegnarsi nella ricerca di finanziamenti, anche più di quanto non facciano altre tipologie di imprese. Una forma di finanziamento sempre più utilizzata da questo tipo di aziende è il crowdfunding, strumento collaborativo di raccolta fondi “dal basso” che mette in contatto – attraverso il web – aziende appena costituite, progetti innovativi o iniziative di vario genere con tutti coloro che possono decidere di finanziarli. Il crowdfunding si colloca all’interno del paradigma dell’innovazione aperta (Open Innovation), cioè l’innovazione aziendale che fa tesoro – in maniera sistematica – di collaborazione, idee e risorse esterne rispetto al perimetro societario classicamente inteso. Lo studio Crowd Equity Investors: An Underutilized Asset for Open Innovation in Start-ups – appena pubblicato sulla California Management Review a firma di Francesca Di Pietro (LUISS), Andrea Prencipe (LUISS) e Ann Majchrzak (University of Southern California) – analizza il fenomeno del crowdfunding e dimostra che il network di investitori generato nel corso di campagne di equity crowdfunding contribuisce in maniera significativa al successo delle start-up.
Non solo risorse finanziarie, ma anche conoscenze e network
Gli autori della ricerca analizzano il percorso di 60 nuove aziende innovative europee, rilevando che attraverso le campagne di crowdfunding queste start-up acquisiscono dalla folla (crowd), oltre alle risorse finanziarie, anche maggiori conoscenze relative al prodotto offerto, alla strategia da adottare e al mercato di riferimento, nonché connessioni (network) con i maggiori protagonisti del mercato in cui le start-up operano (fornitori, potenziali partner, investitori, e così via). A due anni dalla raccolta di fondi, le start-up che si rivolgono alla folla, o crowd, risultano di maggior successo rispetto alle start-up che non interagiscono in questo modo.
Altri fattori che giocano un ruolo importante sono l’età delle start-up e il settore di appartenenza. Le start-up in fase embrionale (meno di due anni) ottengono maggiori benefici in termini di input relativi al prodotto, alla strategia e al mercato. In fasi più avanzate, invece, si avvantaggiano principalmente del network degli investitori. Per quanto riguarda il settore, “le start-up orientate al cliente (B2C) risultano ottenere maggiori benefici dal coinvolgimento del crowd durante la fase di sviluppo del prodotto, mentre le start-up dedite al commercio interaziendale (B2B) nelle fasi successive”.
I vantaggi per crescita e occupazione
Lo studio dimostra che l’apporto del crowd attraverso le piattaforme di equity-funding può “facilitare l’ingresso di un’idea innovativa nel mercato e il suo successo finanziario”. Le start-up ottengono infatti vantaggi di diverso tipo dalle attività di crowdfunding, in particolare attraverso piattaforme di equity funding come Crowdcube e Seedrs nel Regno Unito, Symbid in Olanda, FoundedByMe in Svezia, Wiseed in Francia e Seedmatch in Germania. Vantaggi che, come si è visto, riguardano tanto le conoscenze necessarie all’avviamento e al mantenimento del business, quanto la creazione di una rete di contatti strategici. Lo studio fornisce inoltre agli imprenditori alcune linee guida nella scelta della migliore forma di crowdfunding – Kickstarter (reward) vs. equity crowdfunding –, tenendo in considerazione il valore aggiunto che il crowd è in grado di fornire, e istruisce i gestori delle piattaforme sulle potenzialità del loro prodotto e sugli strumenti da utilizzare per facilitare l’interazione tra il crowd e l’imprenditore.
Idee da tenere a mente, specie perché, come ricordano en passant gli autori del paper, “le start-up sono un driver fondamentale dello sviluppo economico e dell’evoluzione industriale. Esse generano occupazione anche in periodi di recessione. Basti dire che negli Stati Uniti, dalla metà degli anni 80 a oggi, le sole start-up hanno creato circa il 20% di tutti i nuovi posti di lavoro”. L’Europa farebbe bene a ricordarlo.
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