Perché non riusciamo a rallegrarci se la diseguaglianza mondiale è in calo. Lezioni morali da Adam Smith
17 novembre 2017
Se finite lo stipendio alle quarta settimana del mese, se non sapete che vacanza potrete permettervi quest’anno, se volete cambiare il vostro smartphone ma il nuovo modello è veramente troppo caro, potete andare qui: http://www.globalrichlist.com/ Inserite il vostro reddito netto – oppure, se cambiate i parametri, la vostra ricchezza netta (tenendo conto, per esempio, dell’affitto della casa di nonna, che vi arriva tutti i mesi, o dei frutti dell’investimento dei risparmi) –, e vedrete. Vedrete che, quale che sia la vostra situazione, se state leggendo queste parole probabilmente siete all’interno del decile più alto a livello mondiale, in termini di reddito o ricchezza. Se andate un po’ più giù nella pagina, il sito vi dice anche quanto guadagnate all’ora. E poi vi spiega che un cittadino, ad esempio, dello Zimbabwe in un’ora guadagna 0,44 euro.
Contenti? Adesso sapete di essere molto più ricchi di quel che credevate. Ma sapete anche qualcosa di più – sapete che la diseguaglianza, a livello mondiale, è molto più pronunciata di quanto potreste aver pensato. Ma non è finita qui. Se passiamo dalla geografia alla storia, vediamo che quel cittadino dello Zimbabwe se la passa molto meglio dei suoi genitori o dei suoi nonni, probabilmente. E sicuramente oggi se la passano molto meglio i cinesi e gli indiani. Se c’è qualcuno che ha guadagnato dalla globalizzazione, in realtà, sono proprio loro: la globalizzazione ha dato vita a una classe media globale – ha reso possibile a molte più persone nel mondo di vivere a livelli decenti. Ma (e qui arriva ancora una volta un aspetto imprevisto) la globalizzazione ha avuto anche altre due conseguenze: la classe media storica, diciamo così (cioè la classe media dell’occidente industriale avanzato, quell’occidente che grazie all’ascesa delle classi medie nel XVIII secolo è diventato quel che è), sta molto peggio di prima, cioè si è impoverita. E, questa è la seconda conseguenza, c’è però una ristrettissima minoranza di super-ricchi che è diventata ancor più ricca di prima.
Se i primi due fatti – l’estensione enorme della diseguaglianza globale e il miglioramento in termini assoluti delle condizioni dei più poveri – sono sorprendenti e si bilanciano fra loro, le due ulteriori conseguenze della globalizzazione sono più difficili da inquadrare e da giudicare. Se state leggendo queste parole fate probabilmente parte della classe media che se la passa peggio di prima. E questo spiega, per esempio, perché vedere quanto siete ricchi rispetto agli altri potrebbe non avervi reso così felici – forse ha solo aggiunto un leggero senso di colpa al vostro fastidio per non riuscire a concedervi alcune piccole gioie materiali cui ritenete di aver diritto. D’altra parte, non è affatto detto che ciò che conta, per sentire adeguato il proprio livello di vita, sia un confronto così ampio – col resto del mondo. Forse conta di più il confronto col proprio mondo sociale. Un paio di secoli fa, così scriveva Adam Smith nella Ricchezza delle nazioni (1776):
[…] a rigore, una camicia non è necessaria a vivere. Penso che i greci e i romani abbiano vissuto assai confortevolmente, pur senza avere camicie. Ma oggi, nella maggior parte dell’Europa, un lavoratore a giornata si vergognerebbe di apparire in pubblico senza camicia, e se lo facesse questo manifesterebbe quel grado disgraziato di povertà a cui si presume nessuno arrivi senza comportarsi estremamente male. Allo stesso modo in Inghilterra il costume ha reso necessari per la vita scarpe di cuoio. La più povera fra le persone per bene di ciascun sesso si vergognerebbe di apparire in pubblico senza scarpe.
E, per ragioni simili, è probabile che vi faccia arrabbiare di più l’estrema ricchezza di un ristrettismo numero di miliardari che l’estrema povertà di alcuni miliardi di esseri umani.
È solo da pochi anni che possiamo avere dati scientifici esatti sulla diseguaglianza globale – grazie alla potenza di calcolo dei computer, ma anche per il consolidarsi della legislazione tributaria e finanziaria in molti paesi (parecchi dati, infatti, provengono dalle dichiarazioni dei redditi e dai controlli bancari). E c’è tutta una letteratura che aiuta a farsi un’idea dell’andamento e le cause della disuguaglianza globale. A partire da Thomas Piketty, che con il suo Il capitale nel XXI secolo (2014) ha dato notorietà ampia al tema, sino al recente volume di Branco Milanovic (che terrà una lecture alla LUISS venerdì 17 novembre), tradotto da LUISS University Press con il titolo Ingiustizia globale. Migrazioni, disuguaglianze e il futuro della classe media. A Milanovic si deve il quadro con cui ho iniziato – una nuova classe media mondiale guadagna dalla globalizzazione, insieme a pochi ricchissimi, e la classe media storica ci perde.
I dati aiutano molto, ma a livello morale perplessità rimangono. Se ci premesse veramente diminuire la diseguaglianza, dovremmo essere contenti del fatto che molte persone nel mondo abbiano un livello assoluto di reddito più alto rispetto a prima. La diseguaglianza consiste in due fatti: ci sono persone più povere di altre, e queste persone sono molte. Con la globalizzazione, ci sono persone meno povere di prima, e queste persone sono moltissime – di più delle persone che sono rimaste povere o si sono impoverite rispetto a prima. La classe media globale è molto più estesa della classe media occidentale. Il guadagno dei primi compensa largamente le perdite dei secondi. E il guadagno dei pochi ricchi è affare di una ristrettissima minoranza.
Eppure non siamo contenti. Anche nei più altruisti di noi il miglioramento delle condizioni dei poveri del mondo non basta a compensare il peggioramento delle nostre condizioni, rispetto alle nostre aspirazioni. E la ricchezza esagerata dei pochi miliardari ci fa sempre infuriare. Che abbia ragione Smith? Che la vera rilevanza morale dell’eguaglianza sia sempre locale? Che l’eguaglianza non sia che una forma raffinata di invidia?
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