Docs in Progress / 2. Ecco come imprese private e operatori pubblici possono innovare (di più) coinvolgendo la “folla”

5 dicembre 2017
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Per la Rubrica “Docs in Progress”, LUISS Open ha incontrato Francesco Cappa, dottorando in Management presso la LUISS, per discutere della sua ricerca.

 

Qual è l’oggetto della tua ricerca di dottorato?

In senso ampio, il coinvolgimento della “folla”, o “crowd” in inglese, nei processi di Ricerca e Sviluppo (R&S) pubblici e privati. Nello specifico, parto dal presupposto che negli anni 80 ci fosse un’idea di un processo di Ricerca e Sviluppo che era chiaramente definito e lineare, un processo che iniziava con la scienza e la ricerca e terminava con prodotti e servizi vendibili, ma che si svolgeva interamente dentro i confini dell’organizzazione che conduceva tale ricerca. Alcuni studi più recenti, invece, hanno messo in luce che i processi di Ricerca e Sviluppo implicano un processo sociale più complesso, nel quale le interazioni fra molteplici attori giocano un ruolo centrale. E’ stato dimostrato per esempio – da studiosi come Henry Chesbrough, oppure Chiara Franzoni e Henry Sauermann – che gli attori esterni ai confini dell’organizzazione aziendale sono cruciali per la produzione e la condivisione di conoscenze. Di conseguenza le organizzazioni cercano sempre più spesso di coinvolgere entità esterne ai confini societari, come altre società, fornitori ed università. Tuttavia, recentemente si coinvolgono sempre più spesso anche singoli individui che interagiscono online, la cosiddetta “folla” appunto. I cittadini e i consumatori, per intenderci, non sono più considerati solamente come fornitori di informazioni sui loro bisogni e gusti ma possono contribuire in maniera diretta allo svolgimento di alcune ricerche e allo sviluppo di nuove idee necessarie per risolvere problemi aziendali. Tale coinvolgimento di singoli individui consente di approfittare di quella che gli studiosi anglosassoni chiamano “crowd wisdom”, cioè la saggezza diffusa nella folla. Folla che è sempre più semplice raggiungere, in maniera efficace, grazie al rapido sviluppo dell’information technology. Quello che sto tentando di capire con la mia ricerca – al fianco di professori e ricercatori come Luca Giustiniano, Raffaele Oriani e Michele Pinelli – è come sia possibile accrescere le motivazioni della “folla” a contribuire a processi di ricerca, e se effettivamente tale coinvolgimento della folla sia positivo per la performance delle aziende private che vi ricorrono.

In che modo stai conducendo la tua ricerca?

Mi sono focalizzato su due tipologie di coinvolgimento di “crowd” per progetti di ricerca: la “citizen science”, che come suggerisce l’espressione è rivolta a tutti i cittadini senza particolari requisiti di conoscenza e ha come obiettivo la raccolta e l’analisi di grosse quantità di dati; e il “crowdsourcing”, attraverso il quale le aziende cercano nuove idee di prodotti innovativi e soluzioni a nuovi problemi rivolgendosi alla folla per lo più costituita da esperti appassionati.

Se è vero che i progressi della tecnologia dell’informazione consentono a molte più persone di partecipare ai progetti di “citizen science”, specialmente attraverso il Web, allo stesso tempo queste persone diventano l’obiettivo di un numero crescente di stimoli online e di progetti anche in competizione fra loro per tentare di accaparrarsi l’attenzione degli individui. Esempi recenti di progetti di citizen science sono eBird, OPen Air Laboratories, e Forest-Watchers, in cui i cittadini aiutano i ricercatori a monitorare gli uccelli, l’inquinamento atmosferico e la deforestazione globale. Tali progetti di citizen science – come anche Brooklyn Atlantis che ho esaminato e nell’ambito del quale i cittadini sono chiamati a segnalare i punti più inquinati di un canale a New York taggando le immagini prese automaticamente da un robot marino [immagine seguente] – hanno bisogno di raccogliere ed analizzare quanti più dati possibili.

 

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Da una parte quindi sto cercando di rispondere a una domanda che è dirimente nel campo della “citizen science”: come è possibile aumentare le motivazioni a contribuire in progetti di simili? In un articolo pubblicato su di una rivista internazionale, abbiamo evidenziato come, sebbene tali interazioni con la folla avvengano sempre più online, la possibilità di avere una interazione face-to-face con i ricercatori aumenti le motivazioni dei citizen scientists. Inoltre stiamo attualmente studiando, mediante sondaggi e misurazioni elettroencefalografiche, se piccoli incentivi, come denaro o ringraziamenti pubblici sui social network, siano in grado di motivare i citizen scientists.

Infine sto analizzando gli effetti del coinvolgimento della “folla” sulla performance aziendale. Sempre più aziende fanno uso del crowdsourcing come supporto all’innovazione e alla soluzione di problemi. Ad esempio la Fiat con il progetto “Fiat Mio”, condotto nel 2010 dalla Casa automobilistica di Torino, ha raccolto 11.000 idee per una nuova ipotetica vettura, con il coinvolgimento di 17.000 utenti. Perché il cosiddetto “crowdsourcing” ha svariati vantaggi, innanzitutto la possibilità di attingere a un bacino di capacità ed expertise più ampio di quello meramente aziendale, ma implica anche alcuni costi. Per esempio quelli economici o in termini di risorse umane da sostenere per raggiungere e coinvolgere utilmente individui al di fuori del perimetro aziendale. Ciò che mi sono chiesto dunque è: in che condizioni il “crowdsourcing” migliora la performance di un’azienda?

A chi consiglieresti di leggere il tuo lavoro per trarne idee e possibilmente beneficio?

I risultati dei mie studi forniscono indicazioni utili a chi voglia influenzare in maniera positiva la partecipazione dei cittadini-scienziati a progetti di ricerca pubblica che coinvolgano l’utilizzo di molti dati. Il ricorso a esperienze face-to-face con i ricercatori e/o meccanismi premiali permettono di aumentare le motivazioni dei partecipanti. Questo risultato può avvantaggiare gli scienziati stessi che guidano un progetto di ricerca perché li mette in condizione di portare avanti le ricerche più velocemente e a minor costo; i partecipanti perché potranno accrescere le loro conoscenze e partecipare attivamente in progetti di ricerca; e in generale la società in termini di sviluppo di beni pubblici.

Inoltre la mia ricerca intende fornire alcune indicazioni utili per le imprese private che svolgono attività di Ricerca e Sviluppo. Dimostro per esempio che le società che hanno un brand più forte e riconoscibile riusciranno in media a ottenere benefici maggiori dal crowdsourcing. Un’ampia base di consumatori che sia leale, attiva e fiduciosa può infatti contribuire in maniera più significativa a progetti di ricerca che facciano leva sulla folla. Società con un marchio o brand più radicato sono dunque in grado di estrarre un maggiore valore aggiunto dal coinvolgimento della folla, attraendo un numero  superiore di contributi e idee a partire dai quali è possibile valorizzare anche intuizioni con grandi potenzialità di crescita economica.

 

Se sei un giovane ricercatore o una giovane ricercatrice della LUISS e vuoi segnalarci un tuo lavoro scientifico, leggi qui come fare. Aiuterai altri colleghi a conoscere meglio il tuo lavoro e potrai raggiungere migliaia di lettori al di fuori fuori dell’accademia in modo da accrescere l’impatto sociale che tutte le ricerche hanno e devono avere.

Activating social strategies: Face-to- face interaction in technology-mediated citizen science

L'autore

Francesco Cappa è ricercatore presso la Luiss.


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