Altro che bolla. Ecco perché ora le banche inseguono il mondo dei bitcoin, anche in Italia

6 dicembre 2017
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A margine della tavola rotonda organizzata alla LUISS “Blockchain e Bitcoin”, LUISS Open ha incontrato Franco Cimatti, presidente della Bitcoin Foundation Italia.

 

Il bitcoin è la criptovaluta più diffusa, ma non è l’unica sul mercato. Cosa la rende differente dalle altre?

Sicuramente i bitcoin hanno un network di utenti molto ampio, per ora abbastanza più ampio rispetto alle criptovalute che più gli si avvicinano nella competizione. Per questo motivo gli utenti nuovi che entrano in questo mondo è probabile che scelgano di iniziare dai bitcoin per aver accesso al maggior numero di servizi.

Com’è accaduto anche alla nascita di Facebook, ci sono di certo delle alternative, ma non è così facile che gli utenti nuovi e già presenti decidano da un momento all’altro di spostarsi su un’altra piattaforma. Questo è quello che si chiama “network effect”.

Oltre a ciò, le criptovalute sono un campo nuovo, che presenta tutta una sua serie di rischi ovviamente. Bitcoin è quella con lo storico più ampio e la maggiore esposizione mediatica al momento, caratteristiche che tendono a ispirare maggiore fiducia negli utenti.

Si dice che i bitcoin siano una moneta “deflattiva”, cosa vuol dire?

Il bitcoin ha un numero limitato di token, cioè di unità di valuta, stabilito a 21 milioni. Raggiunto questo numero, non sarà possibile creare altri bitcoin. Queste sono informazioni di pubblico dominio, oltre che facilmente verificabili. Per questo motivo, fino a quando la domanda per i token rimane alta, essendo il loro numero finito, è più facile che nel tempo la criptovaluta in questione aumenti di valore.

Quello che invece sappiamo accadere per le monete fiat, quelle che in genere si è costretti ad usare per legge e che perciò sono definite monete legali, è che l’emettitore – cioè la Banca centrale – può decidere liberamente di creare altra moneta. Questo fa sì che una volta distribuita una maggiore quantità di moneta sui mercati, essa faccia lievitare i prezzi di beni e servizi ai quali i commercianti e di conseguenza i consumatori si adeguano.

Le transazioni con criptomoneta sono garantite dalla blockchain. Ma cos’è una blockchain e chi esercita il controllo sulla catena?

Una blockchain è un registro, un database, costruito tramite blocchi di informazioni concatenate in modo sequenziale nel tempo. Questo database è condiviso all’interno di una rete Peer to Peer (p2p), una rete informatica non gerarchizzata i cui nodi sono equivalenti o paritari. Su questo database possono scriverci tutti, è permissionless, ma è “costoso” farlo, e il punto è proprio questo: per incentivare una scrittura corretta, chi decide di scriverci è premiato per il suo lavoro con un token (un gettone) la cui sicurezza è intrinsecamente legata alla sicurezza dello stesso database. Tanto più è sicuro – e percepito come tale – questo database, tanto è più probabile che tale gettone avrà valore. Per tale motivo chi decide di lavorare su questo database, definito miner o minatore, proprio perché lavora all’“estrazione” dei token, ha tutto l’interesse a garantire la correttezza del sistema per i suoi stessi interessi. Non c’è nessuna regola che impedirebbe ai miner di ricattare gli utenti, bloccando loro le transazioni, chiedendo un compenso, o effettuando double spending e quindi invertendo grosse transazioni da loro eseguite. Ma gli incentivi economici sono così forti da scoraggiare questo tipo di comportamenti. E inoltre, di fatto, nessuno è costretto a usare il bitcoin, quindi nessuno vorrebbe usare e dare valore a un sistema che non funziona, e questo i miner lo sanno bene.

È notizia recente la creazione di R3, un consorzio internazionale con il quale più di cento banche – a rappresentare l’Italia UniCredit, Intesa Sanpaolo e Banca Mediolanum – investono nello sviluppo di una tecnologia blockchain. Cosa rappresenta l’ingresso delle grandi banche in questo mercato? È un’ultima spiaggia per il banking tradizionale?

Questo gruppo di banche al tempo della creazione di R3 non ha percepito il bitcoin o altre criptovalute come valide per le loro richieste o bisogni. Non saprei dire se questa convinzione sia cambiata, ma ho visto che comunque in tempi recenti sono partite altre sperimentazioni su diverse criptovalute, fra cui il bitcoin. Penso che sia un modo naturale per le banche di studiare nuove tecnologie, diversificare gli investimenti e i campi di ricerca per riuscire a mantenere la propria posizione, anche in concorrenza fra loro stesse.

Il progetto Corda, finanziato dal gruppo R3, è comunque un progetto open source, e che quindi aggiunge ulteriore conoscenza e sperimentazione su questo campo. Sia che vada bene o che finisca male, sarà comunque utile alla ricerca nel campo di queste nuove soluzioni.

Ciò che ormai è cambiato, e che è importante constatare, è che le persone da ora in poi saranno libere di scegliere se affidarsi a sistemi monetari fiat o alle criptovalute e ai relativi strumenti su di esse sviluppati.

 

L'autore

Franco Cimatti è il Presidente di Bitcoin Foundation Italia


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