È alla demografia che bisogna guardare per studiare il lavoro del futuro
22 dicembre 2017
Il nostro rubrichista Michel Martone ha scritto che non si può capire il welfare italiano (e la sorte della riforma Fornero delle pensioni) senza osservare l’andamento demografico del nostro Paese. Francesco Seghezzi, con questo suo intervento, aggiunge che lo stesso vale per il mondo del lavoro.
Quando si parla del futuro del lavoro, spesso ci si concentra unicamente sul fattore tecnologico, generando così due opposte fazioni: i tecno-ottimisti e i tecno-pessimisti. Non è semplice muoversi all’interno di questo tipo di previsioni, perché è facile immaginare il lavoro che scompare ma è più complesso ipotizzare quali saranno i nuovi lavori. C’è anche la possibilità che l’impatto della tecnologia possa essere sopravvalutato rispetto a quello che avverrà realmente, ma questo lo scopriremo nel tempo. Una determinante invece del cambiamento del mercato del lavoro sulla quale non sembrano esserci dubbi è quella demografica.
Negli ultimi venticinque anni la popolazione italiana è invecchiata tanto da portare la media d’età da 38 a 44 anni. Nello stesso arco temporale gli occupati con meno di 35 anni sono diminuiti di 3,6 milioni mentre quelli con più di 45 anni sono cresciuti di 4,2 milioni. Il recente rapporto Il mercato del lavoro. Una lettura integrata riporta a riguardo dati Istat particolarmente interessanti. Le previsioni dell’Istituto di statistica infatti ritengono infatti che entro il 2036 l’Italia perderà 3,5 milioni di individui in età lavorativa con un -24,7% nella fascia 35-54 anni, un -7,4% in quella 15-34, e un +17,6% dei lavoratori nella classe 55-69.
Non è difficile immaginare l’impatto di questo cambiamento sulla popolazione lavorativa che si troverà invecchiata e quindi più soggetta a malattie croniche, difficoltà di eseguire alcuni lavori e con un deficit di competenze rispetto a quanto richiesto dai sistemi produttivi. Ma anche una popolazione lavorativa la cui speranza di vita è molto più elevata rispetto al passato con un conseguente aumento dell’età pensionabile reso necessario da un sistema di welfare che non potrà certo reggere un 50% di popolazione in pensione. La sfida, che è di lungo periodo ma il cui terreno va preparato subito, è quella di immaginare un lavoro sostenibile per tutti, giovani e anziani a seconda delle possibilità di ciascuno
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