L’economia è la continuazione della guerra con altri mezzi? Una lettura su golden power e concorrenza
4 gennaio 2018
Cronache recenti hanno dato conto di conflitti in corso con inusuale intensità a livello internazionale per il controllo di importanti risorse produttive e imprenditoriali: vicende quali quelle relative a STX France o Telecom Italia, o ancora i piani di Commissione UE e Governo italiano in materia di disciplina degli investimenti esteri, segnalano l’acuirsi di un confronto geo-economico che, complice la narrazione globalista da decenni predominante, è stato finora trascurato in ambito accademico, ma non per questo risulta meno interessante per chi si occupi di disciplina della concorrenza. In questa prospettiva, la transizione ormai maturata nei principali ordinamenti europei dalle «golden share» ai «golden power» è esemplare di una corsa agli armamenti giuridici per tutelare interessi nazionali – in primo luogo limitando la contendibilità delle imprese e controllando le attività di queste – secondo una visione genuinamente strategica.
In effetti, per l’applicazione dei golden power non rileva più, come avveniva con le golden share, la fuoriuscita di un’impresa dal perimetro della mano pubblica, bensì la natura delle attività interessate. Salva la necessità di tenere ben a mente i principi-limite sviluppati dalla giurisprudenza comunitaria, per cui le prerogative statali d’intervento su titolarità e gestione di imprese vanno stabilite e applicate in maniera non discriminatoria, idonea e proporzionata a motivi imperativi di interesse generale, i nuovi poteri speciali riconoscono agli Stati un inedito margine di manovra.
Poteri speciali e controllo delle concentrazioni, tra UE e Italia
Esemplare della nuova situazione è la disciplina italiana dei golden power, così come da ultimo rivista e applicata (v. decreto legge n. 21/2012, modificato dal decreto legge n. 148/2017). Al di là della saga Telecom-TIM/Vivendi, molto seguita dai media, merita attenzione il meno appariscente ma significativo divieto opposto nel novembre 2017 dal Governo italiano all’acquisizione dell’impresa di ingegneria balistica Next da parte del gruppo francese Altran.
Normativa e prassi nazionale, peraltro, non rappresentano un caso originale e isolato, risultando piuttosto espressione di una tendenza che ha assunto anche una dimensione comunitaria, con un corposo pacchetto di documenti e proposte normative sugli scambi commerciali reso noto il 13 settembre 2017. Obiettivo principale del regolamento proposto «per lo scrutinio di investimenti stranieri diretti nella UE» è il coordinamento dei controlli sin qui approntati dai vari Stati membri, nell’esplicita consapevolezza (e implicita accettazione) che simili dispositivi possono determinare deroghe anche significative ai principi di libera circolazione dei capitali. Non sorprende dunque che, come a suggerire una continuità col passato e così prevenire eventuali critiche circa rotture di sistema, in apertura alla proposta di regolamento il legislatore comunitario si sia premurato di ricordare che la normativa vigente in materia di controllo delle concentrazioni già consente agli Stati membri di tutelare propri interessi.
Per quanto mirata a perseguire finalità neutrali di tipo pro-concorrenziale, il controllo delle concentrazioni mostra effettivamente una diretta rilevanza rispetto alle possibilità concrete di verificare la titolarità delle imprese: di nuovo, l’ordinamento italiano offre un buon banco di prova di quanto appena detto, grazie a una sorta di esperimento naturale avvenuto negli ultimi anni.
A seguito delle modifiche apportate alla normativa rilevante (art. 16 della legge n. 287/1990) dal c.d. decreto «Cresci-Italia» nel 2012, gli obblighi di comunicazione all’autorità nazionale antitrust delle operazioni di concentrazione sono passate da un criterio alternativo a uno cumulativo, con l’effetto immediato di una drastica diminuzione di tali comunicazioni. Il risultato mediato, viene da aggiungere, è che proprio negli anni più delicati della Grande Recessione, lo shopping da parte di concorrenti e investitori stranieri nel segmento delle imprese nazionali di medie e piccole dimensioni – ovvero, notoriamente, l’ossatura economica del Paese – è uscito dai radar di importanti controlli istituzionali. Cosa ciò avrà comportato quanto a variazione degli assetti proprietari, controllo e prospettive di sviluppo del/sul territorio (a partire dal massiccio trasferimento all’estero di tecnologia e know-how così determinatosi), andrà accertato negli anni a venire, ma di sicuro un impatto vi è stato. Si confida che il legislatore, nuovamente intervenuto sulle soglie di comunicazione delle concentrazioni con la legge n. 124/2017, abbia appreso la lezione per cui anche un dettaglio delle regole della concorrenza può produrre effetti significativi su più ampi equilibri economici e politici.
Geo-economia e intelligence economica: nuovi termini per nuovi scenari
Nell’attesa che teorici e pratici del diritto si confrontino più di frequente con i rapporti tra controllo delle concentrazioni e degli investimenti stranieri, pare ora utile proporre alcune coordinate per un discorso più ampio in cui valutare le dinamiche in corso, facendo in particolare riferimento a studi di geo-economia e intelligence economica – con qualche avvertenza.
Quanto ai primi, infatti, la tesi ricorrente secondo cui la geo-economia consisterebbe nell’uso di strumenti economici per raggiungere obiettivi geo-politici può accettarsi solo se si chiarisce bene che gli aspetti geografici non si limitano a fare da mero sfondo all’azione, bensì costituiscono sempre una fondamentale combinazione storico-culturale di spazio e tempo, dalla quale dipende propriamente il potenziale dell’azione. Si tratta, insomma, di un approccio strategico al territorio e alla sua situazione, secondo la più pura lezione del pensiero cinese sull’arte della guerra, utilmente aggiornabile al concetto – asseritamente sviluppato in ambito militare – «delle Tre Guerre» (San Zhong Zhanfa), volto a indirizzare le condotte congiunte di Stati e imprese a essi riconducibili, nell’arena internazionale, in confronti che sarebbero al contempo di tipo psicologico, mediatico, e giuridico.
Con riferimento alla dimensione giuridica, oltre al classico riferimento alle sanzioni economiche spesso speso dagli studiosi di “lawfare” è da segnalare la condotta del Governo spagnolo, che, posto di fronte al progetto secessionista della Generalitat de Catalunya, ha adottato nell’ottobre 2017 una modifica normativa per semplificare alle società di capitali il cambiamento delle proprie sedi sociali, cui è subito seguito un massiccio trasferimento di sedi delle principali imprese catalane in altre regioni spagnole.
Al lettore che rimanga perplesso di fronte agli scenari appena evocati e a loro interpretazioni belligeranti, il secondo filone di ricerche sopra richiamato, relativo alla intelligence economica quale strumento di acquisizione e gestione di informazioni da impiegarsi nel contesto di confronti geo-economici, consente di fornire qualche materia di riflessione. Di fatto, anche a lasciarne perdere le pratiche, una guerra economica è da tempo in corso di definizione teorica, e per trovare un’istituzione universitaria che addirittura vi si dedichi a tempo pieno non serve andare molto lontano: basta raggiungere Parigi, dove da vent’anni opera una École de Guerre Économique con il fine dichiarato di formare esperti di intelligence economica.
Preso atto degli elementi sin qui raccolti, si ritiene infine utile calarli nella matrice interpretativa magistralmente sviluppata da Susan Strange per definire il campo dell’economia politica internazionale, per cui i rapporti politici ed economici andrebbero valutati nei termini di un «potere strutturale» definito da quattro dimensioni portanti: sicurezza, produzione, finanza, conoscenza. Va da sé, per comprendere efficacemente ciascuna di tali dimensioni le informazioni e la loro gestione intelligente risultano strategicamente fondamentali, ed è dunque il caso di tenere simile profilo a mente quando si valutino attori e atti della politica economica internazionale, pubblici o privati che siano. Al tempo stesso, è evidente come le diverse discipline dell’economia – a partire dal controllo degli investimenti stranieri e delle concentrazioni – giochino un ruolo visibile nella gestione di almeno due delle dimensioni citate, ovvero produzione e finanza, con conseguenze dirette anche sulle rimanenti.
Salvo tali inviti al realismo, è in ogni caso in un richiamo alla pace che si ritiene possano sciogliersi molte delle tensioni qui rilevate. Ferma la necessaria padronanza della grammatica commerciale in uso e l’acquisita consapevolezza della latenza di una logica dello scontro con i suoi effetti tipici da gioco a somma zero, rimangono pur sempre occasioni per l’incontro. Un incontro che deve essere accorto e informato, consapevole sia della situazione che dei potenziali vantaggi derivanti dal farsi accettare da avversari, e accettarli, per giocare insieme giochi cooperativi.
Questo articolo riprende in forma concisa i contenuti di un articolo in corso di pubblicazione sul numero n. 3/2017 della rivista Mercato Concorrenza Regole, À l’économie comme à la guerre. Note su golden power, concorrenza e geo-economia. Si ringrazia Il Mulino Editore per la gentile concessione.
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