Dalla morte della sinistra all’identità europea, passando per il cosiddetto “Islam dei lumi’ da sostenere. Parla Manuel Valls
9 febbraio 2018
LUISS Open ieri ha incontrato Manuel Valls, primo ministro socialista francese dal 31 marzo 2014 al 6 dicembre 2016, oggi deputato con il gruppo “La République en marche” del Presidente della Repubblica Emmanuel Macron. Ecco alcune delle domande che gli abbiamo fatto in occasione del suo seminario organizzato dalla LUISS School of Government.
Riforma del lavoro in patria, nuovo protagonismo in Europa e un progetto di riforma costituzionale molto popolare. Qual è il bilancio di questi primi 10 mesi di presidenza Macron in Francia?
Si può dire che le cose vadano nella giusta direzione, che i francesi siano fieri dell’immagine della Francia all’estero, e che sia partito un movimento riformatore con tante sfide davanti a sé. L’opinione pubblica però appare pronta e favorevole a cogliere tali sfide. I francesi infatti hanno la sensazione che il loro paese sia tornato sulla scena europea e che possa essere protagonista delle riforme in Europa. Avverto pure che riforme importanti sono avvenute nel paese, penso ai cambiamenti sul mercato del lavoro. Inoltre vedono risultati economici positivi, risultati che vengono da lontano. Infine realizzano che profondi cambiamenti sono in corso in settori diversi come la scuola o la vita politica, essendo in vista riforme costituzionali. Insomma, apprezzano un presidente che incarna la Francia, che supera il clivage destra-sinistra e che ha rimesso finalmente la Francia in moto.
In questi primi 10 mesi di Presidenza Macron, il governo ha approvato una radicale riforma del lavoro, senza le barricate di tutti i sindacati. Cosa è cambiato rispetto agli sforzi titanici che faceste voi con la legge El Khomri sotto la Presidenza Hollande?
La riforma di oggi è possibile anche perché una parte del lavoro era già stata fatta ai miei tempi e l’opposizione si era già manifestata in quel momento. Poi bisogna riconoscere che stavolta la riforma del mercato del lavoro era stata un impegno preso apertamente in campagna elettorale, Macron dunque è stato eletto col mandato di portarla a termine. I francesi dunque hanno apprezzato il tempo concesso alla concertazione ma anche il tempo della decisione. Stavolta, insomma, l’opinione pubblica era pronta ad accettare riforme – anche radicali – che favoriscono la crescita economica.
Dopo le elezioni presidenziali del 2017 e l’affermazione del movimento centrista “En Marche”, il panorama politico francese è mutato per sempre oppure secondo lei potrà ricomporsi il classico clivage destra-sinistra?
Credo che la ricomposizione politica sia ancora in corso. La mia convinzione personale però è che non torneremo più indietro. C’è un desiderio forte dei francesi di superare il clivage destra-sinistra. Non so prevedere il futuro, ma questo cambiamento è irreversibile.
Lei già nel 2014 disse che la sinistra correva “il rischio di morire”. La profezia si è avverata? E qual è stato il morbo letale per la gauche?
I valori della sinistra esistono ancora. Il Partito socialista però è morto in Francia, e penso che il ciclo della socialdemocrazia in tutta Europa sia finito. Quando non si guarda al mondo per come esso è, quando non si offrono risposte chiare alla globalizzazione economica e soprattutto alla crisi identitaria e culturale, quando non ci si confronta con i i problemi di terrorismo e immigrazione, quando non c’è una risposta di sinistra a tutti questi problemi, il rischio è di essere battuti e perfino di scomparire.
Nato a Barcellona, fino a 18 anni lei ha avuto la cittadinanza spagnola. Dal suo punto di vista, la crisi catalana è finita o la Spagna è ancora a rischio disgregazione?
La crisi politica non è terminata, ma il progetto separatista e indipendentista esce profondamente marginalizzato dalla recente crisi. Ora occorre trovare la via del dialogo politico per uscire da questo impasse. Io comunque credo fortemente che la Spagna debba restare unita perché l’Europa è una federazione di Stati nazione e questi Stati non possono essere distrutti.
Come si contrastano l’euroscetticismo e la sfiducia verso Bruxelles?
La crescita economica certo è necessaria, così come è utile abbassare la disoccupazione, ma prima di tutto bisogna dare un senso a ciò che siamo. Quella europea è una civilizzazione che vuole difendere la propria democrazia, che esige protezione in materia di sicurezza ma anche sul piano sociale e dell’immigrazione. Senza progettualità e identità chiare, il progetto europeo rimane in pericolo.
Come giudica la gestione attuale della sicurezza delle frontiere esterne e del fenomeno migratorio da parte dell’Europa?
Non è facile fare fronte all’attuale ondata di migranti, ma certo la gestione dei confini oggi non è all’altezza. Finché non avremo un vero controllo delle frontiere, finché non ci sarà solidarietà con i paesi in prima linea come l’Italia o la Grecia, finché non ci sarà una politica comune dell’asilo politico, non saremo in grado di rispondere a questa sfida.
Cosa pensa dell’accordo per il governo di coalizione raggiunto in Germania?
Un passo positivo, perché per il rilancio del progetto europeo, per far sì che i popoli si sentano di nuovo ascoltati dalle istituzioni europee e che queste possano mutare in tale direzione, per raggiungere tutti questi obiettivi non si può fare a meno della stabilità a Berlino.
In campagna elettorale in Italia si discute molto di immigrazione, tra politiche di accoglienza e di integrazione. Cosa insegna la situazione francese su questo punto?
Forse siamo noi francesi a dover trarre lezioni dalla situazione italiana (sorride Valls, ndr). In linea generale, dobbiamo essere capaci di accogliere e farlo attraverso un criterio che è quello dell’asilo politico. Non bisogna poi dimenticare l’integrazione, innanzitutto attraverso l’apprendimento della lingua, dei valori come la democrazia, l’uguaglianza tra uomo e donna, il ruolo della religione in uno Stato laico… Tutto ciò richiederà del tempo e sicuramente richiederà di mettere da parte ogni demagogia.
Lei è stato premier durante gli attacchi più letali del terrorismo islamico in Francia. Disse ai suoi concittadini che avrebbero dovuto convivere col terrorismo, ma anche alla fine voi avreste vinto. A che punto è oggi la Francia nella lotta al terrore?
È vero che i francesi hanno fronteggiato il terrorismo ed è vero che il problema è ancora di fronte a noi, perché lo Stato islamico cambia forma e perché nel nostro paese abbiamo decine di migliaia di persone – sia dentro le prigioni sia fuori da esse – che si sono radicalizzate. Dunque dobbiamo ancora vincere con i nostri valori della democrazia, della legalità, del rispetto. Dobbiamo vincere la battaglia contro l’islamismo, aiutare i musulmani in Francia e in Europa a liberarsi dell’islam radicale.
Come si sostiene quello che lei una volta ha chiamato “l’islam dei lumi”?
Dicendo innanzitutto che oggi l’islam è una religione francese ed europea. E di conseguenza noi dobbiamo appoggiarci agli intellettuali, agli accademici, chiedendo ai musulmani di essere molto chiari: allontanino tutti coloro che assumono una visione religiosa e fondamentalista della società, tutti coloro secondo i quali la sharia si applica al posto della legge statale, tutti coloro che non hanno posizioni chiare sulla condizione delle donne. Infine anche insegnando questo islam riformato, formando gli imam europei.
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