I risarcimenti punitivi arrivano in Italia
13 marzo 2018
In America come in Inghilterra il risarcimento punitivo rappresenta un efficace strumento di deterrenza da condotte illecite tra privati, siano esse pratiche commerciali scorrette, come in occasione del caso diesel gate, o la vendita di prodotti difettosi o ancora la violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Ed invece nel nostro ordinamento ancora oggi la giurisprudenza tradizionale esclude che il risarcimento del danno possa avere funzione diversa da quella soltanto compensativa.
A questo consolidato e conservatore atteggiamento finalmente comincia ad opporsi una nuova giurisprudenza che, sulle orme della più attenta dottrina, comincia a valorizzare le aperture legislative in materia di risarcimenti ultra compensativi.
La svolta giurisprudenziale è stata segnata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 5 luglio 2017 n. 16601), le quali, sia pure limitatamente ad una istanza di delibazione di sentenza straniera (peraltro respinta), hanno ritenuto che le condanne statunitensi a punitive damages non siano incompatibili con l’ordine pubblico, sebbene resti necessaria una “adeguata copertura normativa” della sanzione civile, che comunque rimane assoggettata al rispetto necessario del principio di legalità e tassatività della pena.
Sulla questione potrebbe ora tornare anche la Consulta, poiché il Tribunale di Verona (ordinanza 23 gennaio 2018) ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, comma 3, c.p.c. (che è uno dei principali riferimenti positivi che prevede un risarcimento con funzione sanzionatoria in tema di responsabilità processuale aggravata per “lite temeraria”), reputando che tale norma comporti incertezza sull’entità della condanna adottabile in quanto non contempla limiti quantitativi minimi e massimi delle condanne irrogabili e pertanto non rispetta il presupposto della prevedibilità, necessario perché sia ammissibile la componente afflittiva del risarcimento.
In attesa della decisione dei Giudici Costituzionali, c’è da chiedersi quanto il necessario fondamento normativo debba essere dettagliato e quanto esso possa, invece, rimandare alla determinazione giudiziale.
In questa materia il ruolo della giurisprudenza e il rapporto con la fonte legislativa appare particolarmente delicato, se solo si considera che i punitive damages nascono negli ordinamenti di Common Law, nei quali il precedente giudiziario ha efficacia vincolante.
Anche in Italia alcune recenti riforme della disciplina processuale sembrerebbero dotare i precedenti giudiziari di una nuova funzione vincolante, ovvero “preclusiva” delle impugnazioni che siano rispetto ad essi contrarie.
Il tema della “calcolabilità” delle decisioni appare sempre più determinante anche nel ristabilire un nuovo rapporto tra legislazione e giurisdizione.
Queste ed altre questioni suscitate dalla applicazione dei punitive damages dal Common Law alle esperienze europee sono state discusse alla LUISS nel convegno internazionale tenutosi lo scorso 22 settembre 2017.
Per la introduzione al dibattito si rinvia a R. Carleo (Punitive damages dal Common Law all’esperienza italiana, in «Contratto e Impresa», 2018, 1, pp. 259 ss.).
Alcuni contributi sulle esperienze francese e spagnola – nelle quali pure si pongono i medesimi limiti che impongono soluzioni conformi – sono raccolti in «Nuovo Diritto Civile», 2, 2017 (in corso di stampa).
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