“Lo scandalo dei dati su Facebook? A scandalizzare è piuttosto la nostra impreparazione a situazioni simili”, dice Paolo Cellini
21 marzo 2018
LUISS Open ha chiesto un commento sul caso Facebook-Cambridge Analytica a Paolo Cellini, ex manager, esperto di start up, docente di Marketing e autore di La rivoluzione digitale. Economia di Internet dallo Sputnik al machine learning (maggio 2018, LUISS University Press). Ecco cosa ci ha detto.
“Sugli aspetti legali della vicenda, e cioè sulla legittimità o meno di tutti i passaggi che hanno portato i dati personali di milioni di persone dai server di Facebook a quelli della società di consulenza politica Cambridge Analytica, saranno i giudici a pronunciarsi. Tuttavia il punto dannatamente semplice, e che certe analisi che leggo in queste ore faticano a mettere a fuoco, è un altro: società come Facebook e Google, per offrire in maniera gratuita tutti i servizi che tanto apprezziamo, devono prima prendere da noi una quantità di dati che a volte ci è sconosciuta ma che è enorme. Dopodiché, in maniera legittima seppure spesso a nostra insaputa, Facebook e Google vendono questi dati.
È quella che si chiama profilazione. Il caso Facebook-Cambridge Analytica è soltanto un caso di super-profilazione. Ciò che sorprende è piuttosto che in molti sembrino accorgersi soltanto oggi, e di colpo, del fatto che Facebook e Google sopravvivono grazie a una simile gestione della pubblicità. Non è un caso d’altronde che questi operatori – con il concorso di Amazon che ora sta crescendo nello stesso mercato – concentrino su di sé il 60-80% della raccolta pubblicitaria online a livello mondiale: riescono a farlo perché sono i migliori sul campo, capaci di generare la pubblicità più mirata che sia mai esistita e dunque la più efficace. In Italia, per dare un ordine di grandezza, la raccolta pubblicitaria della sola Google e dei principali social come Facebook ha superato i 2 miliardi di euro di valore, facendo degli OTT (over the top, ndr) i primi raccoglitori di pubblicità nel Paese, più dei concorrenti televisivi e della carta stampata, più della RAI. E Google fa tutto questo con un pugno di dipendenti nel nostro Paese, pagando tasse nell’ordine delle decine di milioni di euro”.
La politica e le regole che devono cambiare
“E’ finito il tempo della politica dei comizi, questo è banale dirlo – continua Cellini – Quel che si fatica ad accettare è che è finita anche la politica dei manifesti attaccati sui muri e dei politici che si azzuffano per i secondi di presenza nei talk show. Perfino le ultime elezioni in Italia basterebbero a dimostrarlo, vista l’avanzata del Movimento 5 Stelle che sul web ha fatto tanto affidamento. L’inadeguatezza della classe dirigente italiana nel cogliere questa rivoluzione digitale è particolarmente pronunciata, ma come vediamo in queste ore anche gli altri Paesi non sono messi tanto meglio. Davvero ci accorgiamo oggi che ci sono persone lì fuori in grado di influenzare, in maniera puntuale, le campagne elettorali democratiche? Soltanto un mix di persone che ci capiscono poco di digitale e di regole preistoriche può spiegare tanto sconcerto. Ciò non vuol dire che ci si debba rassegnare al nuovo status quo, intendiamoci. Una volta il Quarto potere costituito da giornali e televisioni sembrò destinato a sopraffare la politica, poi sono arrivate nuove regole a ricondurre tutto nell’alveo democratico. Adesso che i media tradizionali subiscono un calo di influenza, questi nuovi operatori che veicolano messaggi informativi si stanno facendo spazio e andranno regolati e bilanciati, non possiamo certo attenderci una autoregolamentazione o una autolimitazione da parte di questi colossi privati. C’è una particolarità aggiuntiva che renderà più difficile il ruolo dell’establishment e della politica: la concentrazione mediatico-pubblicitaria di oggi si va istituendo a livello globale, per impedirla non basteranno prese di posizione nazionali”.
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