“Volevo che le persone mettessero di tutto su Internet, ma non pensavo sarei stato preso così alla lettera”. La storia di Tim Berners-Lee e la nascita del World Wide Web

13 aprile 2018
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Agli inizi degli anni ’90 erano già molti i servizi online offerti dai diversi provider. I miglioramenti delle interfacce grafiche sui personal computer (Apple e Microsoft Windows in primis) resero più semplice l’interazione e l’utilizzo dei PC, favorendone la diffusione. Aumentarono anche il numero di connessioni da parte dei privati, grazie all’utilizzo del “modem” che permetteva di utilizzare la linea telefonica per connettersi ad Internet.

In quegli anni si potevano trovare diversi servizi online, dalle chat ai forum di discussione, dai giornali all’accesso in tempo reale agli andamenti del mercato e della borsa, sino ai giochi online. Per ognuno di questi servizi vi era una applicazione ad hoc, specifica per il servizio e diversa per ogni sistema operativo (ad esempio MS Windows o Apple) che agevolava l’interazione con gli utenti favorendone così la diffusione. Interazione ulteriormente agevolata dal passaggio all’utilizzo delle tariffe mensili che presero velocemente il posto di quelle orarie (percepita come davvero poco convenienti, soprattutto se si pensa che la velocità di navigazione all’epoca era di gran lunga al di sotto di quella che oggi percepiamo come “connessione lenta”).

Nonostante le grandi potenzialità di Internet, era difficile orientarsi all’interno della rete. Era come essere in una giungla senza una bussola e una mappa. In uno scenario in cui sia i servizi che le applicazioni di rete aumentavano, si iniziava a sentire sempre più forte il bisogno di qualcosa che unisse e sistematizzasse l’esistente in rete, un bisogno simile a quello che portò poi all’integrazione di tutte le reti attraverso la creazione di un protocollo comune. Mentre però in quel caso il bisogno di uno standard riguardava l’infrastruttura di rete, la necessità forte ora era quella di avere uno standard comune per le interazioni, per l’integrazione delle varie informazioni e relative fonti, così come per l’erogazione di servizi. La soluzione non tardò ad arrivare.

In quel periodo, Tim Berners-Lee lavorava presso il CERN e stava cercando il modo migliore per documentare le connessioni tra gli oltre diecimila ricercatori, con i loro progetti e i loro sistemi informatici. Sia i computer che le persone parlavano lingue differenti e questo portava a creare collegamenti ad hoc sempre diversi tra oggetti e soggetti. Berners-Lee doveva tenerne traccia e decise così di progettare una applicazione che lo aiutasse in questo arduo compito.

Così iniziò a riflettere su alcuni aspetti. Ad esempio notò, durante la sua permanenza al CERN, che ogni qualvolta le persone si trovavano a descrivere le loro attività, tendevano a realizzare dei diagrammi con le diverse frecce ad indicare connessioni tra progetti, computer, gruppi e persone. Pensò che doveva esserci un modo pe poter replicare queste relazioni all’interno del suo programma. L’idea di fondo era quella di creare un sistema in cui digitando il nome di una persona o di un progetto venivano proposti i collegamenti ad essi correlati, come note, articoli tecnici, minute di riunione, manuali per specifici moduli software e altro ancora. Rifletté sul fatto che sarebbe stato meglio creare un ambiente collaborativo e dinamico piuttosto che usare un tradizionale sistema di gestione e immagazzinamento di dati come un Database management system. L’hypertext sembrava rappresentare la giusta soluzione.

Il primo ad introdurre questo concetto alla comunità scientifica fu Ted Nelson nel 1965, durante la conferenza dell’ACM (Association for Computing Machinery). L’utilizzo dell’hypertext permetteva di scrivere una parola o una frase su cui ci si poteva cliccare per essere rispediti su un altro documento o contenuto, all’epoca solo localmente all’interno della stessa macchina. La possibilità di creare collegamenti tra computer diversi (creando una maglia, ragnatela o semplicemente “web”, come definita da Tim), indipendentemente dal sistema operativo, avrebbe garantito un’alta capacità di crescita dello spazio informativo: ognuno poteva inserire e collegare contenuti in autonomia e in maniera indipendente dagli altri, senza l’utilizzo di un server centrale, era sufficiente conoscere l’indirizzo del pc contenente il documento. Questa soluzione rappresentava la perfetta combinazione tra due innovazioni tecnologiche, internet e l’hypertext, che permetteva di accedere a informazioni concretamente distribuite come fossero in un unico spazio, quello delle informazioni (information space).

Così Tim Berners-Lee adattò il protocollo RPC (Remote Procedure Call) per permettere di eseguire da un computer un programma residente su un altro computer. Successivamente definì una serie di principi per identificare ogni documento attraverso l’hypertext. Ogni collegamento ad un documento conteneva l’indirizzo che portava a quella specifica risorsa. Si pensò di chiamare quest’indirizzo Universal Document Identifier, ma il termine ‘universale’ fu ritenuto un po’ troppo pretenzioso. Fu così che il nuovo nome fu Uniform Resource Locator, lo stesso che utilizziamo ancora oggi, e che conosciamo come URL.

Oltre allo sviluppo del sistema, a Tim Berners-Lee dobbiamo anche la creazione del protocollo HTTP (Hypertext Transfer Protocol), che permise all’hypertext di viaggiare attraverso la rete, e del linguaggio HTML (Hypertext Markup Language), che oggi sappiamo essere il linguaggio di base la creazione di pagine contenenti testo e vari hyperlink (hypertext). Realizzò inoltre un’applicazione che possiamo definire una prima versione di un browser (un’antenata di Google Chrome) e un altro software per la parte server in grado di rispondere al browser restituendo le pagine HTML richieste.

Il progetto del CERN a questo punto aveva bisogno di un nome. La prima proposta che Berners-Lee presentò insieme a Robert Cailliau, suo preziosissimo collaboratore in quei frenetici anni,  fu MOI (“me” in francese), acronimo di ‘Mine of Information’ (miniera di informazioni), ma fu considerato dai due un nome un po’ troppo egocentrico. La seconda proposta fu ‘The Information Mine’, il cui acronimo è TIM, che in quanto ad ego riuscì addirittura superare la prima. Così, alla fine Tim propose il nome World Wide Web, il cui acronimo è WWW, che sebbene molto diverso dai nomi utilizzati di norma per i progetti del CERN (che solitamente utilizzavano nomi di divinità greche o romane), fu confermato e considerato il nome definitivo e utilizzato ancora oggi per il web.

Il progetto iniziò a suscitare interesse ben presto anche all’esterno del mondo CERN,  come testimonia il messaggio di risposta del 6 agosto 1991 che Tim Berners-Lee scrisse all’interno di un newsgroup. Sollecitato dalla richiesta da parte di Nari Kannan sull’esistenza di un modo che permetta ad un hypertext di connettere informazioni presenti in differenti sistemi, Tim presenta un progetto suggerendo di utilizzare il browser prototipo che in quel momento girava solo sul sistema NeXT (sistema operativo sviluppato da Steve Jobs quando fu allontanato da Apple), lasciando la porta aperta a eventuali collaborazioni.

Intervistato dal New York Times in occasione dei 25 anni dalla nascita di Internet, Tim Berners-Lee dichiarò “Ho impiegato gran parte del mio tempo per assicurarmi che le persone potessero mettere qualunque cosa su Internet, per far sì che fosse universale. Ovviamente, non avevo idea che le persone mi avrebbero preso proprio alla lettera”.

 

 

Il brano proposto è un estratto dal libro Internet of Things. Persone, organizzazioni e società 4.0 di Stefano Za, in uscita per LUISS University Press.

L'autore

Stefano Za insegna Informatica alla LUISS, è esperto di organizzazione e sistemi informativi aziendali.


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