Tutte le sfide (economiche e politiche) di Cuba dopo l’addio dei Castro

24 aprile 2018
Editoriale Open Society off
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L’Assemblea Nazionale di Cuba ha nominato il nuovo Presidente del Paese. Dopo Raúl Castro, che era al salito potere nel 2008 quando era succeduto al fratello Fidel, tocca a Miguel Díaz-Canel, 57 anni, che fin da subito fa segnare un record: è il primo Presidente dell’isola a essere nato dopo la rivoluzione terminata nel 1959 con la fuga di Batista.

Al di là del fatto anagrafico, che certo non va sminuito, si riscontra sicuramente una notevole continuità nella leadership del Paese: Díaz-Canel infatti è cresciuto all’ombra dei fratelli Castro, e già con il suo discorso di insediamento ha voluto marcare una forte continuità con quelli che sono i valori fondanti della rivoluzione cubana. Díaz-Canel ha detto che il suo mandato deve “assicurare la continuità della rivoluzione cubana in un momento storico chiave”, ha rassicurato i parlamentari che la rivoluzione “continuerà il suo corso”, ha precisato che le politiche del Paese rimarranno “inalterate” e che ogni “necessario cambiamento” sarà deciso dal popolo. Buona parte del suo intervento è stata dedicata poi a lodare il suo predecessore, Raúl Castro, al quale si è rivolto dicendogli: “Cuba ha bisogno di te”.

Detto ciò, il ruolo di Cuba sotto Díaz-Canel dovrà necessariamente cambiare, non foss’altro perché attorno a Cuba è già cambiato il mondo.

Ad oggi il problema maggiore per l’isola è sicuramente costituito dalla situazione economica. Quella cubana è un’economia stagnante, nonostante il Pil pro capite sia ancora contenuto (circa 7.600 dollari annui secondo la Banca Mondiale, a fronte dei 30.600 dollari annui dell’Italia, per dare un ordine di grandezza), la cui struttura non pare in condizione di affrontare una completa transizione al libero mercato.

In secondo luogo, il nuovo leader del Paese dovrà ripensare tutta la rete di alleati che hanno segnato l’era dei fratelli Castro. Con Raúl Castro, in particolare, si è consolidato un asse saldissimo con il Venezuela, Paese che però – con tutti i suoi attuali problemi sia economici sia politici – non può più rappresentare il punto di riferimento della politica estera dell’Havana.

Infine Díaz-Canel dovrà tenere in considerazione i rapporti cangianti con gli Stati Uniti. Se il Presidente democratico Barack Obama aveva aperto a una nuova fase delle relazioni con Cuba, sembra che l’attuale Presidente Donald Trump stia facendo marcia indietro sul dialogo con l’isola caraibica, con richieste più stringenti in quanto a standard democratici minimi che il regime dovrà rispettare.

A questo proposito, è comprensibile oggi un cauto ottimismo legato alla transizione politica in corso, visto che cambiamenti simili sono generalmente associati all’emergere di nuove forze positive e pro apertura. Tuttavia Díaz-Canel ancora di recente è stato piuttosto conservatore su alcuni temi chiave come per esempio il riconoscimento degli oppositori politici e dunque l’ammissione di un certo livello minimo di pluralismo. Anagraficamente e culturalmente più “aggiornato” dei Castro, Díaz-Canel ama la musica, ha compiuto aperture sui diritti civili, in particolare quelli degli omosessuali. Tuttavia è parso finora irremovibile sul trattamento dei dissidenti – decine dei quali sono ancora in carcere o costretti all’esilio – e sui rapporti coi media occidentali. Alla luce di queste considerazione, dunque, lo scenario per Cuba è duplice: il Paese potrà procedere più speditamente verso un’apertura a 360 gradi, oppure l’incapacità di gestire le criticità dell’economia spingeranno a un ulteriore irrigidimento il regime, con un’esasperazione dei suoi tratti populistici.

L'autore

Federico Niglia è docente di Storia delle Relazioni internazionali alla Luiss.


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