È difficile immaginare una linea politica più semplice ed efficace di quella di Trump verso il conflitto israelo-plaestinese. È una linea semplice perché si limita ad accogliere tutte le richieste di Netanyahu. È efficace perché approfitta di un momento molto favorevole a imprimere una svolta storica in favore di Israele. Quanto alla semplicità della linea, non occorrono molte parole. Netanyahu voleva che gli Stati Uniti si ritirassero dagli accordi sul nucleare con l’Iran. Obama li ha firmati e Trump li ha stracciati. Netanyahu voleva anche che Obama riconoscesse Gerusalemme come capitale d’Israele. Obama ha detto no e Trump ha detto sì, senza chiedere niente in cambio al premier israeliano, come ha tuonato una delle firme più autorevoli del “New York Times”, Thomas Friedman, in un duro editoriale contro Trump. Tutto ciò per cui Obama si era battuto, ovvero la distensione con l’Iran, è stato cancellato. È difficile immaginare una sconfitta diplomatica più grande per un capo di Stato occidentale. Quanto al favore delle circostanze, Trump può spostare l’ambasciata a Gerusalemme per tre ragioni fondamentali. La prima è che il movimento palestinese ha raggiunto un livello di debolezza estremo. Hamas e al-Fatah sono caduti in una trappola da manuale. Pur avendo lo stesso obiettivo, e cioè il riconoscimento di uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme est, hanno sbagliato tutte le mosse decisive. Si sono combattuti e delegittimati. In questo modo, hanno impedito agli Stati mediorientali di concentrare il loro appoggio su un movimento compatto. Nel momento in cui tutto avrebbe dovuto unirsi, tutto si è diviso.
La seconda ragione è stata la guerra in Siria con l’ascesa dell’Isis che ha modificato le priorità strategiche dei due grandi protettori palestinesi: Iran e Arabia Saudita. È accaduto che Hamas, a causa di quella terribile guerra, è entrato in contrasto con l’Iran, da cui aveva sempre ricevuto appoggio. Hamas è una formazione sunnita. Quando scoppiò la guerra civile siriana, si schierò contro Bassar al Assad, che invece è sciita. L’Iran non gradì affatto. Dal punto di vista dell’interesse nazionale, l’Iran ritiene che la difesa di Assad sia molto più importante della difesa dei palestinesi. La terza ragione, che ha favorito la decisione storica di Trump, è stato l’avvio della collaborazione segreta tra Arabia Saudita e Israele per contenere l’Iran. Segreta per modo di dire. I sauditi la nascondono, mentre gli israeliani la sbandierano. Anche l’Arabia Saudita ha il proprio interesse nazionale. Dal suo punto di vista, contenere l’Iran è molto più importante che difendere i palestinesi. L’Iran e l’Arabia Saudita sono i Paesi più grandi del Medio Oriente. Senza il loro pieno sostegno, il movimento palestinese è un corpo senza braccia. Lo vediamo in queste ore. I palestinesi vengono repressi con disinvoltura. La sostanza della politica internazionale sono le armi, che i palestinesi non hanno. Tale sostanza può essere modificata solo dalle alleanze, di cui i palestinesi difettano. È semplice: o hai le armi o hai gli alleati con le armi. “Se non ora, quando?”, si è chiesto Trump. È cinico, ma è la logica della guerra.
Trump si è limitato a cogliere un frutto maturo dall’albero. Gli è bastato distendere la mano. Il conflitto tra Israele e i suoi nemici è fatto di accelerazioni improvvise e di pause decennali. Spostando l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, Trump non ha fatto alcuna scelta sconvolgente. Ha semplicemente assecondato il corso storico, il quale non ha niente a che vedere con le nostre simpatie o i nostri ideali. Il corso storico stabilisce che Israele avanza e i palestinesi arretrano.
Quest’articolo è apparso precedentemente sulle pagine de “Il Messaggero”. Riprodotto per gentile concessione.