Conflitti politici. Il nuovo governo e lo scontro tra Italia e Germania
31 maggio 2018
La formazione del governo italiano suscita preoccupazioni in Europa. Il timore è che un’eventuale crescita della spesa pubblica per realizzare il programma di governo determini il collasso dell’economia italiana scatenando una crisi che colpirebbe tutte le società europee. È il tipico scontro tra due parti che hanno ugualmente ragione.
Iniziamo ad analizzare il punto di vista della Germania ovvero il Paese più impegnato ad alimentare lo scontro con il nascituro governo italiano. Siccome la Germania è il Paese che beneficia più di tutti delle politiche economiche e monetarie dell’Unione Europea, non ha un interesse a modificare l’assetto fondamentale di questa organizzazione a carattere sovranazionale. Quando tutto va bene, tutto deve rimanere com’è. Dal punto di vista della Germania, non c’è niente di meglio di una sovranazionalità europea dominata dalla nazionalità tedesca. È una storia antica come l’uomo: le forze che mettono in discussione l’ordine politico sono pericolose per definizione. In politica internazionale, ciò che è bene e ciò che è male viene definito in base agli interessi dei Paesi dominanti. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito. L’Arabia Saudita e l’Iran sono due Paesi fondamentalisti che hanno gli stessi problemi in fatto di diritti umani. Tuttavia, l’Arabia Saudita è bene, perché è alleata degli Stati Uniti, mentre l’Iran è male, perché è alleata della Russia. Quando Erdogan opera nell’interesse della Germania, la Turchia è bene. Se però gli interessi dei turchi non coincidono con quelli dei tedeschi, la Turchia è male. Anche la Corea del Nord è male, ma diventa immediatamente bene se decide di smantellare l’arsenale nucleare per sottomettersi all’autorità degli Stati Uniti.
Dal punto di vista dell’Italia, le politiche europee non riescono a risollevare il Paese dalla condizione di crisi in cui si trova da anni, con conseguenze drammatiche sui ceti più poveri. Negli ultimi dieci anni, le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono aumentate senza sosta. 7,3 milioni di italiani, il 12,1% della popolazione, vivono oggi in condizioni di grave deprivazione. È quanto si legge nel rapporto dell’Istat “Noi Italia”, che analizza i dati del 2016. I tedeschi replicano che gli italiani devono rimanere fedeli ai patti, evitando di comportarsi come “mendicanti”. Con le sue vignette, “Der Spiegel” solleva il velo che nasconde uno dei fatti morali più tragici della vita politica internazionale e cioè che i leader di un Paese sono moralmente tenuti a difendere il popolo da cui sono stati eletti. Trump non avverte alcuna afflizione morale nel rompere tutti gli accordi sottoscritti da Obama, così come i tedeschi, sotto Hitler, non avvertirono alcuna afflizione morale nel rompere i patti che avevano posto fine alla prima guerra mondiale. Lo scontro tra la Germania e l’Italia non è uno scontro tra “signori” e “pezzenti”, come vorrebbe far credere “Der Spiegel”. È, invece, la riproposizione di uno scontro ricorrente in politica internazionale, il quale non ha a che vedere con le personalità dei popoli, ma con il fatto che i patti vacillano quando il mutamento storico modifica le condizioni di partenza in cui gli accordi erano stati firmati. I tedeschi non esiterebbero a rompere tutti gli accordi europei, se il mutamento storico li spingesse verso la disoccupazione di massa.
Tutto questo discorso, sul bene e il male in politica internazionale, sembra lasciarci senza punti di riferimento, ma non è così. La consapevolezza che la storia è un fatto drammatico è il vero punto di riferimento perché aiuta i politici di professione a comprendere la responsabilità enorme che portano sulle spalle. L’Unione Europea è nata da un’operazione di capi di Stato e partiti politici. La pace e la guerra, lo scontro e il dialogo, il bene e il male dipendono da loro. La storia è un fatto di minoranze organizzate. Anni di retorica populista non hanno modificato il fatto che il mondo è diviso in chi guida e chi è guidato. Quando coloro che guidano gli Stati inizieranno a pensare come i vignettisti di Der Spiegel, non vi sarà più differenza tra coloro che guidano e coloro che sono guidati. Il che significa che non ci sarà più futuro per l’Europa. Non dobbiamo temere la fine di un patto, ma l’inizio di un modo di pensare. O, forse, di non pensare.
Quest’articolo è apparso precedentemente sulle pagine de “Il Messaggero”. Riprodotto per gentile concessione.
Newsletter
Articoli correlati
Liberare il potenziale italiano. Riforme, imprese e lavoro per un rilancio sostenibile
12 aprile 2021
Il rapporto di previsione a cura del Centro Studi Confindustria restituisce l’immagine di un paese, l’Italia, compresso dalla pandemia, sia sotto il punto di vista economico che sociale. Quanto più la crisi ha colpito settori produttivi, fasce occupazionali e categorie sociali, tanto più si avverte la necessità di sanare le ferite ma anche e, soprattutto, ricostruire le premesse per ripartire da uno sviluppo sostenibile. Ecco come.
Regole nuove per un Governo dell’economia dell’euro
3 aprile 2021
Nonostante un primo via libera al Parlamento di Berlino, la posizione tedesca sul piano europeo Next-Generation (NG-EU) sta cominciando a complicarsi. Il dibattito alla Commissione Finanze del Bundestag, così come la discussione pubblica sulla normativa Ue sulle risorse proprie, hanno fatto emergere alcuni rischi per la tempestiva realizzazione del progetto europeo.
Cosa fanno le spie nelle ambasciate delle grandi città
2 aprile 2021
Desta impressione la notizia che un ufficiale della Marina abbia passato informazioni riservate alla Russia. Le domande a cui dobbiamo rispondere sono due. La prima è come sia potuto accadere un fatto così grave e la seconda è se l’Italia esca bene o male da una simile vicenda.
Un nuovo modo di consumare in bilico tra negozi fisici e virtuali
31 marzo 2021
Il Covid-19 ha portato una crisi della domanda, aggravata dalla drammatica riduzione della produttività del consumatore. Si è ridotto, infatti, il valore utilitaristico acquisti e consumi e al contempo sono emersi nuovi costi, anche fisici e psicologici, che per quanto siano ormai parte della “nuova normalità” hanno ridotto il valore di beni e servizi.