Perché le elezioni comunali di domenica sono importanti
8 giugno 2018
Il 10 giugno gli elettori italiani saranno chiamati alle urne per rinnovare i sindaci e i consigli comunali di 763 comuni di cui 109 superiori ai 15.000 abitanti, fra i quali anche 20 capoluoghi di provincia. Si tratta di una tornata numericamente un po’ inferiore rispetto alla media annuale delle elezioni comunali. Basti pensare che nel 2016 si votò in 1.342 comuni di cui 143 superiori (fra i quali le quattro maggiori città del paese), mentre nel 2017 i comuni superiori furono addirittura 160 fra cui Genova e Palermo. Anche considerando i cittadini coinvolti dal voto, nel 2016 la tornata interessava 15 milioni di elettori, nel 2017 9, mentre quest’anno gli elettori chiamati alle urne secondo il Ministero dell’Interno saranno 6,8 milioni, di cui circa 4 nei comuni superiori. Quest’anno mancano le grandi metropoli del paese e non ci sono città al voto superiori ai 300.000 abitanti. Tutto ciò potrebbe indurre a ridimensionare l’importanza di questa tornata elettorale ad un test di rilievo solo locale. Tuttavia non sarà così, dal momento che si tratterà del primo test elettorale di portata ‘nazionale’ dopo le elezioni politiche del 4 marzo. Proprio come successe già nel 2013, quando le comunali seguirono a 100 giorni di distanza il ‘terremoto elettorale’ provocato dall’emergere del M5S e dalla crisi del sistema bipolare della Seconda Repubblica (Chiaramonte e De Sio 2014; Paparo e Cataldi 2014), queste elezioni forniranno una chiave di lettura importante per valutare gli effetti di 90 giorni di decorso post-elettorale e gestazione del nuovo governo sulle opinioni politiche degli italiani.
Quali sono gli elementi di rilievo nazionale che potremo trarre dall’analisi dell’esito di questo voto? In altri termini, a quali interrogativi circa l’evoluzione dell’opinione pubblica e del sistema partitico il voto del 10 giugno potrà rispondere?
L’affluenza continuerà a crollare come nelle tornate precedenti? Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito ad una significativa diminuzione della partecipazione al voto a tutti i livelli, con particolare riguardo per le elezioni amministrative: basti pensare che nel 2016 la partecipazione diminuì di 5 punti (Emanuele e Maggini 2016) e nel 2017 addirittura di oltre 7 rispetto al turno precedente (Maggini 2017). Sarà ancora così? Teniamo però conto del fatto che nel 2013, ossia nel turno di amministrative precedente a quello odierno per la stragrande maggioranza dei comuni al voto il 10 giugno, l’affluenza fu molto bassa già all’epoca (60,5%; Emanuele 2014).
Passando ai risultati del voto, questo test comunale ci fornirà indicazioni importanti sull’evoluzione del nostro sistema partitico, uscito ancora una volta rivoluzionato dalle elezioni politiche. La struttura tripolare emersa in Italia a partire dal 2013 si instaurerà finalmente anche a livello locale? Sappiamo infatti che, nonostante l’emergere del Movimento Cinque Stelle (M5S) a livello nazionale, nelle elezioni amministrative nella maggior parte dei comuni la sfida principale per la vittoria è sempre stata quella fra le due coalizioni classiche del bipolarismo italiano, centrosinistra e centrodestra (con le significative eccezioni delle vittorie del partito di Grillo a Roma e Torino nel 2016). Sarà ancora così? O, addirittura, assisteremo all’emergere di un nuovo bipolarismo tra centrodestra e cinquestelle (un’evoluzione fatta intravedere già in occasione del voto del 4 marzo), con il centrosinistra relegato in una posizione marginale? Inoltre, che ruolo giocheranno le liste civiche che, nel 2017, furono il vero ‘terzo polo’ con 29 vittorie nei comuni superiori? La loro proliferazione negli ultimi anni è stata il sintomo della crisi di logoramento dei partiti tradizionali. L’affermazione di soggetti politici ‘nuovi’ come la Lega nazionale di Salvini o il M5S di Di Maio, riuscirà a riassorbire parte di questo bacino di voti fuoriusciti dai partiti tradizionali
Scendendo nel dettaglio delle principali forze politiche, un osservato speciale sarà il M5S. Per due motivi. Primo, il partito di Di Maio stato nettamente la forza politica più votata alle elezioni del 4 marzo ed è appena riuscito a formare il nuovo governo. Un risultato di portata storica, anche in chiave comparata. Ma riuscirà a trasferire anche a livello locale questa grande popolarità di cui gode nell’opinione pubblica? La domanda non è banale, perché finora il M5S non è mai riuscito a trasferire in elezioni subnazionali il grande consenso ricevuto alle elezioni politiche: ha sempre fallito l’appuntamento con le elezioni regionali, mentre alle comunali, pur vincendo alcune sfide importanti e dimostrandosi particolarmente abile nei ballottaggi, ha solitamente recitato un ruolo da terza forza. Questo perché il contesto locale delle elezioni comunali, costituito dalla forte presenza di voto personale (grazie al voto di preferenza e all’opportunità offerta del voto disgiunto) e dalle scelte strategiche del partito (che rifiuta alleanze con altre forze politiche o liste civiche) ha, finora, strutturalmente sfavorito il Movimento. La seconda ragione per cui il M5S sarà un osservato speciale in queste elezioni è che la maggior parte dei comuni superiori al voto (66 su 109) è costituita da comuni del Sud. Un’area nella quale il partito di Di Maio è risultato di gran lunga la prima forza politica con il 44% dei voti e in cui sarà chiamato a confermare il proprio predominio
Queste elezioni saranno poi un banco di prova cruciale per il centrodestra e i suoi rapporti di forza interni. La Lega, altro grande vincitore delle elezioni, riuscirà a fare il pieno di voti anche in queste comunali? Si tratta infatti di capire se la Lega sarà in grado di porsi come la forza egemone del centrodestra superando Forza Italia e la pletora di liste locali e civiche che solitamente rimpolpano la coalizione, soprattutto nei contesti meridionali dove il voto ai Signori delle preferenze (Emanuele e Marino 2016) è un elemento decisivo della competizione. E la nuova egemonia leghista sul centrodestra, si verificherà anche al Sud? O sarà ancora Forza Italia, o magari le liste locali, a mantenere la golden share della coalizione
Passando al centrosinistra, la coalizione a guida PD reciterà ancora un ruolo da protagonista, come è sempre accaduto nelle tornate amministrative, oppure sarà relegata a terzo polo lontano dai due principali competitor, come già accaduto il 4 marzo? Le elezioni amministrative, infatti, sono sempre state un terreno favorevole al centrosinistra. Anche quando la coalizione non brillava a livello nazionale, la capacità di creare coalizioni competitive, il radicamento territoriale e la presenza di una forte classe dirigente con esperienza amministrativa hanno sempre inciso positivamente sulle performance del centrosinistra alle elezioni comunali. Giusto per dare qualche numero, nel 2013 (il turno corrispondente a queste comunali) il centrosinistra vinse in 54 comuni superiori su 92. Negli ultimi due anni, pur arretrando di fronte all’avanzata del centrodestra, la coalizione guidata dal Pd è stata sempre quella con più comuni totali vinti (45 nel 2016 e 53 nel 2017, a parità con il centrodestra; Maggini 2016; Emanuele e Paparo 2017)
Infine, un focus particolare lo merita la Sicilia. Andranno infatti al voto ben 19 comuni superiori della Regione, fra cui 5 capoluoghi (Catania, Messina, Siracusa, Ragusa e Trapani). Dati questi numeri il voto siciliano sarà particolarmente rilevante per intercettare il clima d’opinione dell’Isola dopo solo 3 mesi dal sensazionale 48,5% raccolto dal M5S, avvenuto a sua volta ad appena 5 mesi dall’affermazione del centrodestra alle elezioni regionali. Qui la sfida sarà presumibilmente giocata fra questi due poli, con il M5S chiamato a confermarsi anche a livello locale di fronte ad un centrodestra che gode tradizionalmente di ottima salute ogniqualvolta il sistema elettorale permette il voto di preferenza. Non solo, ma c’è da considerare anche l’importante novità della legge elettorale regionale per i comuni dell’Isola (l.r. 17/2016) che, a differenza della legge Ciaffi, consegna la vittoria al primo turno alla coalizione che raggiunge il 40% (e non la maggioranza assoluta).
L’analisi completa alla vigilia del weekend elettorale è sul sito del CISE (Centro Italiano Studi Elettorali)
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