Il caso Aquarius, l’immigrazione e l’errore di prendersela con le vittime spiegati con la filosofia politica

12 giugno 2018
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La vicenda della nave Aquarius non è nuova per chi si occupa di filosofia politica. Uno dei casi più discussi ne riproduce esattamente la struttura. Immaginate che ci siano cinque persone che stanno annegando, perché, senza loro colpa, la loro barca è in avaria. Non è una gita di piacere, la loro. Vengono via da un luogo insicuro, dove le prospettive di vita non sono buone. Non sono i più disgraziati: sono abbastanza sani e capaci di manovrare una nave. Ma non sono privilegiati come cinque robusti villeggianti, tutti col diploma di bagnino, che se ne stanno sulla riva, sui loro lettini, e assistono alla scena. L’affondamento avviene a dieci metri circa dal bagnasciuga, quindi il salvataggio non è rischioso; l’unico prezzo da pagare è una nuotata non prevista, scrollarsi dal torpore, un lievissimo rischio di bere o di trovarsi in difficoltà. Non ci sono rischi, per i salvatori, di annegare. In spiaggia ci sono altre persone, ci sono dei bagnini professionisti, il mare è calmo.

Nessuno nega che ognuno dei bagnanti abbia il dovere di salvare almeno un naufrago. E se tutti fanno il proprio dovere, tutto bene. Il problema nasce quando qualcuno se ne rimane fermo in spiaggia. Gli altri a quel punto debbono scegliere fra tre possibilità: accollarsi il salvataggio del quinto naufrago, magari correndo qualche rischio in più; comportarsi come se tutti facessero il proprio dovere – e quindi salvare un naufrago –; oppure restarsene anche loro sulla riva, per protesta o ripicca contro chi non fa il proprio dovere, oppure per spingerlo a fare la sua parte, o addirittura a fare più della sua parte.

Le argomentazioni a favore della prima possibilità – accollarsi il salvataggio di un naufrago in più –  sono ovvie. Per quanto chi non fa la sua parte sia odioso, e andrebbe punito, adesso la cosa grave è che qualcuno sta annegando. Se c’era un dovere di salvarlo nel caso in cui tutti avessero fatto la propria parte, c’è anche adesso. Se il costo di una nuotata imprevista, di un lieve rischio che qualcosa vada male, non può giustificare tirarsi indietro quando tutti e cinque i bagnanti si tuffano, perché dovrebbe giustificarlo adesso che uno si è tirato indietro?

Ma anche a favore del secondo modo di vedere – salvare in ogni caso un solo naufrago per ciascuno –  si può dire qualcosa. Chi si tira indietro, non solo lede la vittima, ma danneggia anche chi fa la sua parte, imponendogli costi maggiori. Se chi annega è vittima di un’ingiusta sorte, e di un’ingiustizia vera e propria se non viene salvato, chi salva e si sobbarca il costo di fare anche la parte degli altri, subisce un’ingiustizia. È come se ci fossero due doveri, salvare, e fare la propria parte nel salvataggio. Il bagnante che si tira indietro viene meno a entrambi. E una reazione forse giustificata a questo potrebbe essere quella di limitarsi a fare la propria parte, salvando solo una persona.

Ovviamente, ci sarebbero altre reazioni egualmente plausibili. Si potrebbe per esempio salvare tutti, e sobbarcarsi il peso di un salvataggio in più e poi farla pagare a chi si è tirato indietro, una volta tirati a riva i naufraghi. Non sarebbe certo una reazione ingiustificata.

Ma è la terza possibilità che interessa, in questi giorni. Essa consiste nel rifiutarsi di fare anche la propria parte, perché gli altri non la fanno. Si lasciano annegare i cinque malcapitati, per protestare contro uno dei bagnanti che non si vuole tuffare. Questa reazione può somigliare a quella presentata appena sopra. Si può dire che è una reazione a chi non vuole fare la propria parte. Ma ci sono due differenze. Qui il danno lo si fa alla vittima, non salvandolo. Così la vittima subisce due volte, perché non viene salvato, e perché viene usato come mezzo per punire altri, come una specie di capro espiatorio delle mancanze di altri. C’è qualcuno che si rifiuta di fare il proprio dovere, e che si fa, per forzarlo? Ce la prendiamo con la vittima, per vedere sino a che punto l’infame si spingerà. Forse una strategia efficace, ma certo sulla pelle altrui. La seconda differenza rispetto a chi fa la propria parte è che questa condotta è anche più facile. È proprio facile fare la voce grossa, quando non costa niente. E certo può anche essere efficace. Peccato che sia meno che fare la propria parte. Significa fare proprio come chi si tira indietro. Mettersi al suo stesso livello.

 

Questi ed altri temi verranno discussi da più di un centinaio di filosofi politici da tutto il mondo nel prossimo convegno dell’Association for Social and Political Philosophy, che si tiene alla Sapienza e alla LUISS il 21, 22 e 23 giugno. Qui il programma 

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