Karl Marx nel XXI secolo. Per una nuova lettura

20 agosto 2018
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Comunque lo si voglia giudicare, Marx era e rimane uno dei personaggi più ingombranti nella storia della cultura. Questo non solo per le sue teorie ma anche perché è stato un capo politico carismatico. In nome delle sue idee, milioni di persone hanno eretto barricate, hanno cambiato stile di vita, hanno lottato per la giustizia, hanno costruito imperi ma anche fatto morire e ridotto in condizioni di miseria materiale e morale miliardi di esseri umani. Quanto è accaduto nel secolo ventesimo in Russia, Cina, Vietnam e Cuba – per citare solo i casi più clamorosi – non può certo essere dimenticato, come non può esserlo la congiunzione anche teorica tra comunismo e totalitarismo. Naturalmente, in casi del genere è difficile far risalire a Marx stesso la responsabilità di tante conseguenze storicamente e politicamente rilevanti, essendo queste sicuramente al di là delle sue intenzioni.

Tuttavia, chiunque accosti il pensiero e l’opera di Marx non può farlo in maniera innocente: deve essere consapevole della enorme congerie di lutti che il comunismo realizzato ha provocato spesso e volentieri in nome di Marx. Inoltre, e questo bisogna sempre scontarlo, Marx era a modo suo anche un “profeta”, come lo chiamò Schumpeter, cioè un personaggio tanto carismatico da somigliare a un leader religioso. E non c’è dubbio che molti uomini e donne hanno preso le mosse dalle sue idee proprio per questo afflato che in qualche modo è collegato alla sua opera (Luciano Pellicani ha scritto pagine illuminanti su questo aspetto). Esiste tra l’altro tutta una “mitologia” del marxismo, che non è un’invenzione sovietica ma risale agli anni immediatamente successivi alla morte di Marx ed è in parte dovuta ai vari Engels, Mehring, Kautsky, Bernstein e in genere alla socialdemocrazia tedesca (vedi in proposito la biografia Karl Marx. Greatness and Illusion di Gareth Stedman Jones) […].

Quello che meno resiste al tempo all’interno della visione di Marx è la sua accusa di inefficienza al capitalismo basata sulla teoria del valore-lavoro. Ciò tuttavia non depriva di significato l’idea di lotta di classe con il corollario dello sfruttamento. E se questo è vero, allora il tutto si può rendere compatibile con l’idea di giustizia distributiva, così centrale nel paradigma di chi scrive. Che cos’altro del resto è la lotta di classe senza teoria del valore alle spalle se non un’interpretazione radicale dell’ingiustizia distributiva? Il concetto di giustizia distributiva – se lo si vuole mettere in contatto con il paradigma di Marx, e in genere con il socialismo – richiede un chiarimento preliminare […]. Con giustizia distributiva – come qui concepita – non si intende una semplice redistribuzione delle risorse economiche, come la sinistra radicale ha invece spesso ritenuto. Si intende piuttosto un modo di pensare alla struttura di base della società orientato all’equità, sarebbe a dire alla maniera più o meno giusta in cui le istituzioni principali definiscono il trattamento dei beni primari. Le istituzioni in questione sono giuridico-politiche ma anche economiche, come il mercato. E i beni primari corrispondono a libertà fondamentali, come quelle civili e politiche includendo la tutela dall’indigenza, a opportunità eguali, di certo anche una distribuzione equa di reddito e ricchezza, e finanche alla possibilità di rispettare sé stessi non uscendo puniti oltremisura dalla lotteria naturale e sociale.

Questa consapevolezza non può essere disgiunta però dall’interrogativo ulteriore che si impone con forza al lettore di Marx: in che senso lo si può prendere sul serio al giorno d’oggi? Per fortuna, come già detto, le circostanze storiche attuali ci aiutano a dare una risposta meno emotiva in proposito di quella che si sarebbe potuta dare solo pochi decenni addietro. Il tramonto recente del comunismo ci consente infatti di guardare alla questione con maggiore distacco di quanto non fosse possibile negli anni precedenti il 1989, soprattutto per quegli studiosi che, in Europa orientale o altrove, studiavano Marx nell’ambito di regimi autoritari che a lui si ispiravano. In altre parole, oggi è possibile per ognuno di noi dire qualcosa del genere: “Essere marxisti non è un’ipotesi praticabile, ma ciò non mi impedisce di valutare analiticamente il lavoro di Marx come quello di qualsiasi altro grande pensatore”. Marx in questo modo viene trattato come per esempio Aristotele o Kant. Difficile? Senza dubbio, ma non impossibile.

Questo brano è tratto dal libro di Sebastiano Maffettone Karl Marx nel XXI secolo in uscita questa settimana per LUISS University Press.

Karl Marx nel XXI secolo

Sebastiano Maffettone
LUISS University Press
In libreria dal 23 agosto

Scheda

L'autore

Sebastiano Maffettone è Direttore di Ethos Luiss Business School


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