Così un piano di investimenti può spingere il Mezzogiorno a cavalcare la globalizzazione
11 settembre 2018
La globalizzazione economica non gode di buona stampa come dieci anni fa, complice la crisi scoppiata nel 2008 e le sue conseguenze; ed ha in parte mutato nel frattempo rotte, modalità e protagonisti. Tuttavia, pur con le oscillazioni fisiologiche nel capitalismo finanziario, il grado di internazionalizzazione dell’economia mondiale è molto elevato in prospettiva storica, e dalla globalizzazione dipendono le sorti dei player come testimoniano tra l’altro gli utili e le quotazioni di molte multinazionali oppure il record di esportazioni dell’industria italiana lo scorso anno. Non c’è dubbio, quindi, che il futuro economico del Mezzogiorno passi anche da una migliore partecipazione al sistema degli scambi internazionali.
Se è vero che le regioni meridionali hanno mantenuto una buona crescita delle esportazioni (più 8,5 percento) anche in un periodo di rallentamento della dinamica del commercio mondiale come è stato il 2016, il che indica le potenziali capacità competitive dell’area, il sostegno all’internazionalizzazione è elemento chiave per rilanciare la competitività delle imprese del Mezzogiorno a fronte della zavorra di una domanda interna debole. Nel contesto meridionale, il miglioramento delle infrastrutture materiali e immateriali e delle condizioni per l’accesso delle imprese ai mercati esteri (oltre che del Nord Italia) non possono che procedere di pari passo: ciascun elemento da solo non garantisce un futuro per le produzioni del Sud.
La delocalizzazione piace (e conviene) meno
L’occasione del negoziato sul bilancio comunitario 2021/2027, che sta entrando nel vivo, è decisiva per ridefinire le priorità di una politica industriale per il Mezzogiorno. Le imprese italiane cosi come quelle europee, dopo anni di delocalizzazione dell’attività produttiva verso le economie emergenti alla ricerca di costi del lavoro più bassi, tendono a ridefinire i loro processi privilegiando spesso siti produttivi dove competenze e vicinanza alle filiere industriali fanno premio sul mero costo del lavoro, anche tornando all’interno dei confini nazionali (re-shoring). Le ragioni sottostanti tale fenomeno sono legate all’aumento del costo del lavoro nei paesi emergenti, all’incertezza sui costi produttivi generata dalle fluttuazioni valutarie, e alla maggiore efficienza della supply-chain quando la produzione è localizzata in prossimità dei centri di ricerca e sviluppo dell’impresa. In alcuni settori, inoltre, le imprese riportano la produzione in patria anche per limitare la perdita di proprietà intellettuale. Ma il re-shoring da alcuni paesi emergenti nulla toglie alla necessità per le imprese manifatturiere di interagire con altre sulle piattaforme produttive europee o globali, le cosiddette “catene globali del valore” (CGV).
In un paper pubblicato dal Laboratorio LUISS sul Mezzogiorno abbiamo identificato con Cecilia Jona Lasinio alcune condizioni che favoriscono la partecipazione delle imprese alle catene globali del valore e la loro competitività internazionale, con particolare riferimento alle regioni meridionali.
La letteratura recente mostra che il re-shoring genera maggiori vantaggi competitivi per le imprese che si riposizionano verso produzioni complesse e di qualità, per le quali è fondamentale l’adozione di nuovi modelli organizzativi associati all’innovazione e al cambiamento tecnologico (Bailey et al. 2014, Dachs et al., 2015). Le modalità di gestione dell’impresa e della partecipazione alla supply-chain, e la connessa ottimizzazione dei flussi materiali ed immateriali assumono un ruolo strategico per il miglioramento delle performance di lungo periodo dell’impresa internazionale: è il concetto stesso di “Industria 4.0”. Il vantaggio competitivo dell’impresa che partecipa alla catena del valore è strettamente legato al capitale immateriale che consente di ottimizzare la gestione delle risorse tangibili (macchinari e attrezzature): si tratta di investimenti immateriali in nuove competenze organizzative (export manager) e digitali (supply chain control), in software, in progettazione e design, in Ricerca e Sviluppo. La novità di Industria 4.0 è che anche imprese di dimensioni limitate possono accedere a queste risorse e per tale via partecipare alle CGV. La domanda chiave è: partecipare con quale ruolo?
Il ruolo da “mediano” delle nostre imprese manifatturiere
Le imprese manifatturiere italiane partecipano alle CGV prevalentemente come imprese intermedie, ossia come imprese fornitrici che vendono a imprese estere prodotti semilavorati (Giunta et al, 2016). Le caratteristiche della struttura produttiva italiana, contraddistinta da molte imprese di piccole dimensioni che non hanno la forza di proporsi sul mercato finale internazionale, spiegano gran parte di questo dato. Nonostante gli indicatori mostrino un grado di partecipazione alle CGV dell’Italia non troppo distante da quello della Germania, le imprese italiane partecipano alle CGV con modalità meno avanzate che non in altri Paesi europei a noi comparabili. Scomponendo l’aggregato Italia, le imprese meridionali partecipano in misura limitata alle CGV e con collocazioni ancor meno qualificate nei processi produttivi globali, spesso in segmenti a basso valore aggiunto.
Nel nostro paper, sottoponiamo a verifica tre ipotesi di ricerca:
1) I settori industriali che partecipano maggiormente alle catene globali del valore, e che sono localizzati in regioni con elevata capacità di esportare in mercati a domanda mondiale dinamica, sperimentano tassi di crescita della produttività del lavoro più elevati.
2) I settori dove le imprese hanno registrato un’accelerazione nel tasso di accumulazione del capitale immateriale beneficiano d’incrementi di produttività relativamente più elevati nelle regioni ad alta intensità d’investimento pubblico in Ricerca e Sviluppo.
3) I settori industriali maggiormente coinvolti nelle CGV hanno maggiori guadagni di produttività se collocati in regioni ad alta intensità d’investimento pubblico in R&S.
I risultati empirici confermano queste ipotesi per le attività produttive localizzate nelle Regioni italiane, e forniscono alcuni suggerimenti che una politica industriale per il Mezzogiorno potrebbe considerare. Per favorire aumenti di produttività del lavoro e competitività, va promossa una strategia d’integrazione tra le politiche a sostegno dell’innovazione, intesa come stimolo ad investire in attività immateriali ad alta intensità di conoscenza, e quelle per l’internazionalizzazione attraverso il supporto alla partecipazione alle catene globali del valore. Nel negoziato sulle priorità del prossimo bilancio pluriennale UE, l’interesse italiano è di spingere per un piano UE di sviluppo e convergenza nel quale identificare gli interventi mirati al rilancio di investimenti pubblici congiunti sia per infrastrutture sia per innovazione. La partecipazione crescente dei paesi avanzati alle catene globali del valore determina una nuova geografia della produzione che richiede l’identificazione di nuove politiche per la crescita e l’internazionalizzazione.
La strategia di Industria 4.0 è di identificare misure per il rilancio degli investimenti innovativi, in particolare quelli in ricerca e sviluppo (R&S), conoscenza e nuova imprenditorialità, con l’obiettivo di stimolare le imprese a dotarsi delle capacità necessarie per competere sul mercato globale. Per il Mezzogiorno questo non è sufficiente: occorre una “Industria 4.0-plus”, che riconosca come nel Meridione non basta finanziare l’impresa digitale ma occorre preparare le rotte e i timonieri per avvicinare le imprese ai centri del business globale, e edificare nuovi luoghi dove sviluppare competenze e innovazione.
Altre letture per approfondire:
Bailey, David, and Lisa De Propris. 2014. “Manufacturing Reshoring and Its Limits: The UK Automotive Case.” Cambridge Journal of Regions, Economy and Society, September, rsu019. doi:10.1093/cjres/rsu 019.
Dachs, Bernhard, and Christoph Zanker. 2015. “Backshoring of Production Activities in European Manufacturing”, MPRA Paper. April 20 , http://mpra.ub.uni muenchen.de/63868/.
Giunta Anna, Agostino Mariarosa, Domenico Scalera and Francesco Trivieri, Italian Firms in Global Value Chains: Updating our Knowledge, in Stefano Manzocchi and Gianmarco I.P. Ottaviano (eds.), Global Value Chains, Trade Networks and Firm Performance, Rivista di Politica Economica 7-9, 2016.
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