Il debito pubblico italiano rimane sostenibile ma è a un passo dal burrone
16 ottobre 2018
Il piano del Governo italiano di far segnare un deficit pari al 2,4% del Pil nel 2019 invece di rispettare il sentiero di aggiustamento dei conti pubblici concordato con l’Unione europea ha portato a un incremento dei tassi di interesse del debito, con i rendimenti dei bond decennali che hanno superato il 3%. Un tale aumento dei tassi rappresenta un peggioramento sostanziale anche solo rispetto a sei mesi fa, ma dovrebbe essere gestibile visto che è appena superiore all’attuale tasso di crescita nominale del Pil, pari all’incirca al 2,5-3%. Con una differenza minima tra tassi di crescita e tassi di interesse, un piccolo avanzo di bilancio dovrebbe essere sufficiente a stabilizzare il rapporto tra debito pubblico e Pil.
Tuttavia esiste un pericolo latente in questa situazione. Negli ultimi mesi è tornata infatti alla ribalta l’importanza cruciale del livello del debito e la sua interazione con i premi per il rischio. L’esperienza dimostra che il premio per il rischio, e dunque il tasso di interesse di mercato sul debito pubblico, dipende dal livello di debito misurato come percentuale del Pil. Ciò introduce un potente meccanismo che si autoalimenta e che può facilmente condurre a esiti molto diversi anche nel caso in cui le condizioni di partenza mutino in maniera appena percettibile. Faccio un esempio. Nelle loro analisi sulla sostenibilità del debito pubblico, il Fondo monetario internazionale e la Commissione europea utilizzano una semplice regola di base: il premio per il rischio sovrano aumenta di 3-4 punti per ogni singolo punto di aumento percentuale del rapporto debito/Pil superiore al 60%. Per l’Italia, che ha un livello di debito superiore di 70 punti percentuali rispetto alla soglia del 60%, il premo per il rischio “normale” dovrebbe dunque collocarsi tra i 210 punti di spread rispetto al Bund tedesco (stima della Commissione) e i 240 punti di spread (stima del FMI). Si tratta di un livello inferiore a quello osservato di recente che oscilla attorno ai 300 punti, ma molto maggiore al livello minimo di 100-150 punti raggiunto prima della formazione del nuovo Governo tra il maggio e il giugno di quest’anno. Un’implicazione fondamentale di questa regolarità empirica appena illustrata, sulla base della quale il premio per il rischio dipende dal livello del debito, è che esiste un effetto “amplificatore”: un debito più alto implica una spesa per interessi maggiore non solo perché il debito è più elevato, ma anche perché un debito più elevato genera un incremento del premio per il rischio (ovvero del tasso di interesse da corrispondere agli investitori). Ciò significa che il debito può facilmente assumere una traiettoria instabile, con un rapporto debito pubblico/Pil maggiore che porta a una pesa per interessi molto maggiore che a sua volta genera livelli ancora più elevati di debito. Naturalmente un Governo responsabile eviterebbe una spirale simile attuando una politica fiscale prudente per mettere il debito su un sentiero discendente, ancorando così le aspettative sui livelli di debito futuri.
L’Italia sembra essere a un passo da questo circolo vizioso esplosivo. Con gli attuali tassi di interesse di mercato, il servizio del debito – oggi attorno al 3% – semplicemente smetterà di calare. Questo non è dovuto tanto al fatto che il tasso di interesse sul debito a lungo termine è superiore al 3%, ma piuttosto al fatto che anche il tasso sul debito a breve e medio termine è aumentato in modo significativo. Con il tasso di interesse a due anni che oggi è all’incirca all’1,5-2%, il servizio del debito sta crescendo rapidamente. Il circolo vizioso esplosivo non è ancora partito, però l’Italia, stante il suo elevato debito pubblico, rimane sull’orlo del precipizio. Qualsiasi peggioramento – anche lieve – della situazione, sia in termini di crescita nazionale o di avversione al rischio nei mercati finanziari, potrebbe portare a un aumento del costo del debito e all’inizio della spirale fatta di livelli maggiori di debito e di costi crescenti degli interessi.
La figura qui sotto sintetizza tale pericoloso crinale rappresentando due simulazioni che si evolvono entrambe per 20 unità di tempo (diciamo per 20 anni, per comodità), con lo stesso set di parametri di base (avanzo primario pari al 3% del Pil, tasso di interesse uguale al tasso di crescita, identico livello di partenza del rapporto debito pubblico/Pil), ma con due assunti diversi riguardo il parametro che lega il livello del debito al premio per il rischio, il che costituisce una misura della sensibilità rispetto al rischio nei mercati finanziari. La linea più in basso mostra come un rapporto iniziale di 1,3 (debito pari al 130% del Pil) è sostenibile se il grado di avversione al rischio rimane basso, come solitamente previsto dalla Commissione europea nelle sue analisi di sostenibilità del debito. Tuttavia, se il grado di avversione al rischio aumentasse – ipotizziamo che per ogni aumento di un punto percentuale del rapporto debito pubblico/Pil sopra il 60% il premio per il rischio cresca di 4 punti base, come negli scenari calcolati dal FMI –, un rapporto debito pubblico/Pil iniziale del 130% presto non sarebbe più sostenibile.

La sensibilità al rischio determina la sostenibilità del debito pubblico
Alla luce di quanto detto finora, si può sostenere che le finanze pubbliche italiane si trovino oggi in una situazione precaria. L’attuale contesto di deficit, tassi di interesse e tassi di crescita è sostenibile ma border-line. Un qualsiasi aumento dell’avversione al rischio potrebbe dare il via a un circolo vizioso di debito più elevato e rischi sul premio maggiori. Inoltre la scelta politica di spendere oggi con la promessa di risparmiare domani accresce il fardello sulle spalle del Paese, visto che accumulare nuovo debito oggi renderà più costosi gli aggiustamenti futuri. Tutto ciò ovviamente è ben noto ai mercati.
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