Ecco perché, sulla politica economica, l’Italia può decidere liberamente (ma ricordando che potere significa responsabilità)

7 novembre 2018
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È opinione diffusa che la bocciatura da parte della Commissione [Europea] del bilancio proposto dal governo italiano lo scorso ottobre abbia contribuito al nuovo aumento dello spread sui titoli di stato italiani. Questo collegamento, tuttavia, non ha basi reali.

Esaminando attentamente quello che può fare l’Unione Europea, si deve giungere alla conclusione che si tratta di una “tigre di carta”, nel vero senso della parola: l’UE può soltanto inviare lettere e ammonimenti a Roma.

Per il momento lo scontro sembra l’ipotesi più probabile. Esiste ovviamente anche la possibilità che il governo italiano cambi i suoi piani e tenti di giungere a un compromesso. Ma se questo non dovesse accadere la Commissione dovrà proporre al Consiglio Ecofin (formato dai ministri delle finanze) di aprire una procedura per “deficit eccessivo”. Tuttavia questa procedura, in realtà, è inefficace. Probabilmente ci saranno varie raccomandazioni rivolte all’Italia. Ma alla fine l’esito peggiore sarebbe una multa, che assumerebbe la forma di un deposito infruttifero relativamente esiguo (lo 0,2 per cento del PIL). Gli estensori di queste disposizioni, però, non avevano previsto le attuali condizioni dei mercati finanziari. In realtà un deposito “infruttifero” in un’era di tassi negativi potrebbe rivelarsi un vantaggio.

Esiste una differenza fondamentale tra le regole su deficit e debito e altre aree normative, quali la politica della concorrenza e le norme sugli aiuti di stato. Per esempio il Commissario responsabile della concorrenza dovrebbe porre il veto su qualsiasi piano di salvataggio per Alitalia. Pertanto il governo italiano non è libero di decidere come salvare la compagnia aerea di bandiera in perdita. Se la Commissione si oppone a un piano di salvataggio per Alitalia il governo italiano non può procedere lo stesso (come ha fatto per il bilancio). Se il governo italiano dovesse fornire quelli che secondo la Commissione sono aiuti di stato illegali, la Commissione potrebbe trascinare il paese davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che poi emetterebbe rapidamente un’ingiunzione formale a desistere per l’Italia. A questo punto il governo italiano sarebbe costretto a fare quello che dice la Commissione. Nessuno stato membro ha mai ignorato un giudizio formale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Ci sono quindi alcune aree normative in cui gli stati membri non hanno più la sovranità di fare quello che vogliono.

Ma la politica fiscale non è una di queste. Il Trattato non prevede per le regole fiscali lo stesso meccanismo di attuazione che esiste in aree di competenza dell’Unione Europea (la politica di concorrenza, il controllo degli aiuti di stato, la politica commerciale, ecc.). La ragione è semplice. Si chiama “no taxation without representation” (“niente tassazione senza rappresentanza”). La rappresentanza politica è ancora al livello nazionale ed è questo il motivo per cui i parlamenti nazionali restano sovrani nelle loro decisioni di bilancio. L’UE può soltanto ricordare le regole decise a livello comunitario.

Questo è anche il motivo per cui le agenzie di rating basano il loro giudizio non su quello che fa o dice Bruxelles, ma sulle azioni e sulle intenzioni del governo italiano e dei partiti politici che lo sostengono. Per esempio, la relazione del 19 ottobre in cui Moody’s illustra le ragioni del declassamento dell’Italia non fa neppure menzione del continuo scontro con Bruxelles. Moody’s vede semplicemente un indebolimento materiale della politica di bilancio e un peggioramento delle prospettive di crescita perché questo governo non intende perseguire riforme strutturali. Le agenzie di rating stanno arrivando implicitamente a una conclusione simile a quella di Blanchard e Zettelmeyer, che definiscono la manovra italiana una “espansione fiscale restrittiva”, perché la contrazione provocata da tassi d’interesse più alti probabilmente peserà di più dell’effetto di espansione derivato da maggiori trasferimenti sociali.

Le altre due agenzie di rating non hanno declassato l’Italia ma hanno usato argomenti simili a quelli di Moody’s, di nuovo senza basare il proprio giudizio nei confronti del conflitto sul Patto di stabilità. Si può ovviamente dubitare della qualità dei rating, ma hanno comunque un influsso sui mercati. Tuttavia, sarebbe eccessivo affermare che la UE possa esercitare pressioni sul paese attraverso le agenzie di rating.

La conclusione è che la politica fiscale italiana è “made in Italy”. Il parlamento italiano ha il pieno potere sovrano di decidere su tasse e spesa e anche di ignorare le regole che ha accettato con una larga maggioranza alcuni anni fa. Ma potere significa anche responsabilità. Il grande debito pubblico che oggi grava sul paese è l’esito accumulato di una serie di decisioni sovrane prese in passato dai governi e dalle camere italiane. Se non ci sarà una ripresa della crescita, se il premio di rischio aumenterà ulteriormente e se il paese ricadrà in un’altra crisi la responsabilità non sarà di Bruxelles, ma di Roma.

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