La denazionalizzazione della moneta di Hayek come obiettivo a lungo termine. Intervista a Lorenzo Infantino
19 novembre 2018
Lorenzo Infantino insegna alla LUISS Guido Carli da lunghissimi anni, dove è titolare della cattedra di Filosofia delle scienze sociali. Alcuni dei suoi più importanti lavori sono stati tradotti in inglese e spagnolo. Ha fondato presso l’Editore Rubbettino la “Biblioteca Austriaca”, una collana editoriale che raccoglie il meglio di quanto prodotto dalla Carl Menger, Eugen von Boehm-Bawerk, Ludwig von Mises, Friedrich A. von Hayek e Israel M Kirzner. Proprio in questi giorni, è giunta in libreria una nuova traduzione di un agile volume, La denazionalizzazione della moneta, che è la più “radicale” proposta avanzata da Hayek. Poniamo al professor Infantino alcune domande sul libro, di cui egli è curatore e che è tuttora oggetto di discussione a livello internazionale.
Uno de temi su cui gli esponenti della Scuola austriaca di economia si sono maggiormente soffermati è quello della moneta. In che cosa consiste la proposta di Hayek e come si giunge a essa?
È vero: gli economisti di tradizione austriaca sono stati sempre attenti alla questione monetaria. Il primo a occuparsene è stato Carl Menger, il fondatore di quella Scuola. Per andare tuttavia più direttamente al tema, occorre rammentare la strenua battaglia che, negli anni Trenta del secolo scorso, Hayek e Lionel Robbins hanno condotto contro il nazionalismo monetario. Entrambi hanno allora tenuto delle lezioni a Ginevra, tramite cui hanno posto in evidenza i gravi danni arrecati alla cooperazione economica internazionale dalle svalutazioni competitive. E si sono allora posti il problema di come sottrarre la moneta al dominio della politica. A quarant’anni di distanza da quelle lezioni, Hayek è tornato sull’argomento. Testimone di una lunga storia di arbitri perpetrati dai governanti in campo monetario, egli ha posto in totale discussione il monopolio statale dell’emissione. È nata così l’idea della “denazionalizzazione della moneta”. Se la concorrenza è il mezzo mediante cui ciascuno di noi può essere meglio servito, può cioè soddisfare meglio i propri bisogni, anche in campo monetario dovremmo rivolgerci alla competizione.
Hayek non ha tuttavia esitato a porre in chiaro le difficoltà di realizzazione di un simile progetto?
Certo. Hayek ha ammesso che la sua proposta «lascia aperte varie questioni», a cui egli stesso si è a suo tempo dichiarato incapace di «dare una risposta immediata». Ma neanche noi, a distanza di oltre quarant’anni dalla pubblicazione del suo saggio, sappiamo quale concreta soluzione il futuro potrà portarci. Ma il problema esiste: l’affrancamento da ogni forma di sovranismo monetario rimane all’ordine del giorno di quanti credono nella libertà individuale di scelta.
Quale è stato l’atteggiamento di Hayek nei confronti dell’idea di creare una moneta europea?
Denazionalizzare significa rinunciare alla banca centrale e restituire alla moneta la sua funzione di esclusivo mezzo della cooperazione sociale volontaria. Hayek è stato perciò critico nei confronti della creazione di una nuova moneta e di una nuova banca centrale. Avrebbe preferito che ai cittadini dell’Unione Europea fosse lasciata la libertà di scegliere la valuta che avrebbero giudicato più idonea alle loro transazioni. E ciò, come si può ben comprendere, avrebbe presto comportato la scomparsa delle monete più deboli, fra cui la lira italiana, dalle contrattazioni internazionali e anche dalle maggiori transazioni interne.
Pur condividendo l’idea hayekiana della denazionalizzazione della moneta, lei ritiene che l’introduzione dell’euro costituisca un netto miglioramento rispetto alla situazione precedente. È così?
Non c’è dubbio. La mia posizione non è diversa da quella di José Antonio de Aguirre e di Jesús Huerta de Soto. Il progetto di lungo termine dev’essere quello della denazionalizzazione della moneta. Ma l’euro ha portato dei reali benefici, che anche Hayek avrebbe riconosciuto: perché ha cancellato dall’area europea il nazionalismo monetario. Ha impedito al ceto politico di percorrere la solita strada, tristemente sperimentata in passato, delle svalutazioni competitive. È quella una scelta che rende impossibile la corretta allocazione delle risorse, che crea un continuo conflitto a livello internazionale e che, come tutti i manuali di economia insegnano, produce esattamente l’opposto di quel che promette. Anche se valutiamo le cose dall’esclusivo versante italiano, dobbiamo riconoscere che l’euro è una moneta migliore di quella che, in sua mancanza, avremmo avuto.
Tutte le istituzioni europee, e lo stesso euro, vengono oggi poste in discussione. Che ne pensa?
Sinteticamente, posso dire che non bisogna buttare, con l’acqua sporca, anche il bambino. Tutto si può criticare, perché si cresce tramite l’individuazione degli errori. Ma radere al suolo quel che abbiamo, per poi costruire sulla “pagina bianca”, è un’idea che appartiene, tornando a Hayek, a quella «presunzione fatale» che ha insanguinato la storia del Novecento.
Quest’intervista, realizzata da Andrea Mancia, è apparsa originariamente su L’Opinione delle Libertà il 14 novembre.
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