Dall’Italia allo Stato Islamico. Terrorisimo e radicalizzazione ai tempi di internet

29 novembre 2018
Libri Letture Open Society off
FacebookFacebook MessengerTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Tra le storie delle combattenti straniere partite per unirsi a un’organizzazione terroristica, emblematica è quella di Maria Giulia Sergio/Fatima, una delle dodici italiane che hanno raggiunto lo Stato Islamico in Medio Oriente. Maria Giulia ha indottrinato i genitori e li ha convinti che partire per la Siria era la scelta giusta, ed è stata lei a chiedere al gruppo dei foreign fighters albanesi che l’aveva accolta di essere impiegata in battaglia. Nata a Torre del Greco nel 1987 in una famiglia cattolica di umili origini e con problemi economici che, nel 2000, si è stabilita nel nord Italia, ad Inzago, Maria Giulia dopo il liceo ha studiato biotecnologia all’Università Statale di Milano, lavorando per mantenersi. La conversione all’Islam è avvenuta nel 2007, iniziativa che l’ha condotta a cambiare il proprio nome in Fatima az Zahra.

Secondo la giovane, tutto è avvenuto in modo spontaneo, grazie all’utilizzo di internet, attraverso cui era venuta in contatto con i video di Yusuf Estes, un predicatore musulmano del Texas che aveva abbracciato la fede islamica negli anni ’90. La ragazza ha raccontato di aver dichiarato la Shahada, la professione di fede, il 14 settembre 2007, da sola nella propria stanza. A quel punto, Maria Giulia, ormai Fatima, iniziò a frequentare le comunità islamiche dell’hinterland di Milano. Il 29 settembre 2009 è la data della sua Shahadaufficiale recitata di fronte a un imam. In un’intervista successiva, pubblicata il 13 gennaio 2015 da Micol Sarfatti per l’Huffington Post, Fatima parla della propria conversione come di un “ritorno” poiché, per lei, era stato “come ritrovare la strada perduta, come aver ricevuto una chiamata”. Ma facciamo un passo indietro. Sempre nel 2009 Fatima ha sposato Jamal, pizzaiolo di origini marocchine, con una cerimonia musulmana, indossando un niqabbianco, il velo che copre l’intero volto e lascia visibili soltanto gli occhi, come abito da sposa. Nel 2011 ha poi divorziato, delusa dall’insufficiente fede del marito. Già allora la giovane era divenuta nota alle autorità e ai media per la sua partecipazione a un programma televisivo e la presentazione, il 16 settembre 2011, di una petizione in favore del niqabsul posto di lavoro insieme alla madre e alla sorella, anch’esse convertitesi all’Islam su impulso di Fatima. A tal proposito, la ragazza ha raccontato di essersi sentita vittima di discriminazioni religiose in quanto i suoi colleghi di lavoro non accettavano che lei indossasse il velo.

Secondo il sociologo iraniano Farhad Khosrokhavar, il “fondamentalismo femminile” può essere alimentato dall’intolleranza laica, che proibisce il burkini o il foulard. A suo avviso, il vero repubblicanesimo consiste non nel togliere il velo, ma nel far sì che le donne che vogliono coprirsi diventino repubblicane con il foulard. Per tale ragione, Khosrokhavar ritiene che sarebbe necessario un atteggiamento più neutro nei confronti dei simboli religiosi. In relazione alle giovani foreign fighters europee partite per raggiungere l’ISIS in Siria, il sociologo intravede motivazioni essenzialmente umanitarie, legate soprattutto agli orrori commessi in Siria dal presidente Bashar al-Assad ancor prima dell’avvento dell’organizzazione terroristica. Alcune hanno deciso di seguire in battaglia il proprio compagno, mentre altre sono partite da sole, alla ricerca di un marito con in mente una visione romantica dell’amore, “desiderose di avere un figlio e di sposarsi”. Nel caso specifico della Francia, tali ragazze sono originarie della classe media, soprattutto le nuove convertite.

Tornando a Maria Giulia / Fatima, dalle indagini e dai suoi racconti è emerso che, con il passare del tempo, iniziò ad avvicinarsi a posizioni sempre più radicali, grazie anche ai contatti online con Bushra Haik, una cittadina canadese di origini siriane nota per essere una sostenitrice dell’ISIS e accusata di aver reclutato diverse persone esortandole a partire per il califfato. Nel giro di qualche mese Fatima ha completamente adottato la mentalità estremista. Il 17 settembre 2014 la giovane donna si è sposata con un cittadino albanese, Aldo Said Kobuzi, complice una conoscenza comune, Lubjana Gjecaj, incontrata durante una fiera di libri musulmani a Bergamo nel giugno dello stesso anno. Dopo il matrimonio, Fatima si è trasferita a Grosseto presso la casa dello zio del marito, da dove ha poi deciso di partire per la Siria e raggiungere l’ISIS. La ragazza ha raccontato che, diversamente da molte altre occidentali unitesi allo Stato Islamico, lei ha preferito sposare un uomo conosciuto personalmente prima di partire. Pochi giorni dopo il rito, la coppia ha preso da Roma un aereo per la Turchia, da dove poi ha raggiunto la Siria. I due si sono stabiliti vicino al fiume Eufrate, presso la diga Tishrin, nel governatorato di Aleppo, unendosi al contingente dei foreign fighters albanesi stanziato nell’area. Il viaggio ha rappresentato per Fatima la sua personale Egira, il viaggio tanto desiderato verso il nuovo autoproclamato Califfato, in risposta alla chiamata del leader supremo dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi. Durante la sua permanenza in Siria, la ragazza è stata addestrata, in attesa di prendere parte alla battaglia a cui aveva esplicitamente espresso il desiderio di partecipare. Gli eventi hanno voluto che Fatima non sia mai diventata una combattente, in quanto l’ISIS fino a poco tempo fa preferiva che le donne svolgessero altri ruoli. Nel gennaio 2015 la storia di Fatima è divenuta pubblica e i media italiani hanno iniziato a chiamarla “Lady Jihad”. Il primo luglio dello stesso anno la polizia ha arrestato il padre, la madre e la sorella con l’accusa di voler prendere parte al terrorismo internazionale: i tre stavano anch’essi per partire alla volta della Siria. Nel dicembre 2016 la giovane è stata condannata a 9 anni di reclusione dalla Corte d’Assise di Milano.

Il caso di Maria Giulia Sergio dimostra che una donna, esattamente come un uomo, può desiderare di combattere per una causa legata al terrorismo a tal punto da indottrinare la propria famiglia e convincerla a unirsi ai miliziani dello Stato Islamico. Nessuno l’ha obbligata, è stata lei ad abbracciare la nuova fede, a radicalizzarsi attraverso video sul web e i contatti con un’altra terrorista e, infine, a decidere di partire per andare a combattere.

Le sanguinarie

Storie di donne e di terrore

Sofia Cecinini
LUISS University Press

Scheda

L'autore

Sofia Cecinini è coordinatrice dell’Osservatorio Sicurezza Internazionale della LUISS, dove svolge attività di ricerca sull’immigrazione e sul terrorismo. Ha collaborato con l’ambasciata americana a Roma e l’Istituto Affari Internazionali nel settore Sicurezza e Difesa.


Newsletter