Se il Governo italiano vuole riformare l’Eurozona, il suo migliore alleato potrebbe essere Juncker

4 dicembre 2018
Editoriale Europe
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Nelle ore successive alla bocciatura della bozza di bilancio, sia la Commissione europea che il governo italiano hanno espresso la volontà di proseguire il dialogo istituzionale e la ricerca di un accordo. È necessario che l’apparente disponibilità del governo italiano si concretizzi, sfociando nella costruzione di una soluzione non di breve termine che sia di comune interesse per Roma e per Bruxelles. Il punto di partenza di questa strategia deve consistere nell’assecondare la richiesta della Commissione per un credibile impegno italiano al rispetto delle regole che disciplinano la politica economica europea. Per evitare che venga interpretato come una rinuncia unilaterale del programma governativo, tale impegno va tuttavia associato a un miglioramento nel sistema di governance dell’euro-area che sia meno velleitario di quanto proposto dalla coalizione giallo-verde mediante il contributo (Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa) predisposto dal Ministro degli Affari europei, Paolo Savona. La strategia di politica economica italiana può armonizzarsi con una riforma dell’euro-area, posto che questa riforma contribuisca a ridurre in misura decisiva alcuni dei rischi specifici che gravano sull’Italia. In primo luogo, il miglioramento della governance dell’euro-area sarebbe in grado di rimediare alla fragilità del sistema bancario mediante il completamento dell’unione bancaria e, in particolare, mediante la disponibilità di un sistema comune di assicurazione dei depositi. In secondo luogo, esso tenderebbe a ridurre il rischio di ridenominazione, che è ancora caricato sul premio dei tassi di interesse degli stati membri in maggiore difficoltà, mediante un bilancio dell’eurozona che stabilizzi le economie nazionali e stimoli gli investimenti e le riforme dei paesi meno convergenti verso gli standard europei di efficienza.
Perché una proposta italiana lungo le linee dette possa avere successo, è necessario che si riconnetta al progetto di riforma della governance economica dell’euro-area avanzato dalla stessa Commissione europea nel dicembre 2017 – ossia, come è bene notare, meno di un anno fa. In un documento ben recepito al tempo anche dai governi francese e tedesco, la Commissione avanzò una serie di disegni ambiziosi a cominciare dall’istituzione di un Fondo Monetario Europeo (EMF) integrato nella cornice legislativa dell’Unione europea e costruito sulle basi del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM). Nelle intenzioni della Commissione, lo EMF avrebbe dovuto giocare un ruolo più esteso e incisivo nella gestione delle crisi e nell’assistenza a favore dei paesi membri in difficoltà; inoltre, esso avrebbe dovuto assicurare le necessarie risorse di ultima istanza al Fondo Unico di Risoluzione, fornendo così un contributo decisivo al completamento del secondo pilastro dell’Unione bancaria.
Sempre nel dicembre 2017, la Commissione propose l’istituzione di un Ministro Europeo delle Finanze che, ricoprendo anche la funzione di vicepresidente della Commissione, accentrasse e rafforzasse il coordinamento delle politiche di bilancio dei paesi dell’euro-area. In tal modo si sarebbe evitato che paesi, costretti a limitare l’espansione del loro bilancio pubblico a causa di preesistenti stock di debito eccessivamente elevati, venissero penalizzati da un’ingiustificata impostazione fiscale restrittiva da parte dell’intera euro-area. Inoltre, la Commissione avanzò la richiesta di integrare nella cornice legale europea il “Trattato per la Stabilità, il coordinamento e la convergenza” – il cosiddetto Fiscal Compact, “tenendo conto della flessibilità appropriata”. Infine, essa propose la creazione di un bilancio specifico dell’euro-area di ampie dimensioni, attraverso il quale assicurare la stabilizzazione di questa stessa area e produrre un sistema di incentivi per investimenti appropriati. L’utilizzo di quel bilancio avrebbe anche potuto incoraggiare le riforme finanziarie e una maggiore efficienza dell’amministrazione pubblica nei paesi dove si fosse rivelato necessario. Essendo rivolto ad aiutare soprattutto i paesi membri più fragili, il bilancio dell’euro-area avrebbe avuto un impatto asimmetrico e avrebbe, così, sancito il carattere solidale dell’Unione economica e monetaria europea (EMU).

Lo stallo degli ultimi mesi

Come è noto, nella prima metà dell’anno in corso non si sono avuti progressi nella realizzazione degli ambiziosi progetti della Commissione europea. Nonostante il sostegno manifestato sia dal presidente francese, Emmanuel Macron, sia dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel, i diversi progetti sono entrati in una fase di sospensione. La ragione dello stallo è stata attribuita ai fattori di incertezza politica in Germania, alimentati dalla difficile formazione di un nuovo governo e dalla lunga attesa per il delicato voto bavarese dell’ottobre scorso, e in Italia, dovuti alla nomina di un governo con posizioni antagoniste rispetto a una maggiore integrazione politico-istituzionale europea. Macron e Merkel hanno effettuato un timido tentativo per rilanciare l’evoluzione della governance europea nel giugno scorso, attraverso la cosiddetta dichiarazione di Meseberg. Tale dichiarazione ha tuttavia suscitato l’opposizione di un gruppo di paesi ‘forti’ della EU, guidati dall’Olanda. Pur essendo tradizionali alleati della Germania, questi paesi hanno così sottolineato la loro contrarietà verso ogni forma di mutualizzazione dei rischi. Lo stesso governo italiano si è opposto alle proposte che, pur favorendo un processo di condivisione dei rischi, richiedevano una preventiva riduzione dei rischi a livello nazionale. La riunione dell’Eurogruppo, svoltasi lo scorso giugno nel clima appena delineato, ha fatto chiaramente emergere le difficoltà di avanzamento di qualsiasi riforma nell’ambito dell’euro-area. (…)

Segnali di apertura

Le precedenti considerazioni mostrano che, oltre a essere in stallo su temi cruciali, la trattativa sulla riforma dell’euro-area non va nella direzione auspicata dall’Italia. Le proposte di “condivisione dei rischi”, che avrebbero rafforzato la convergenza delle economie più deboli (assicurazione comune dei depositi bancari, rapido intervento precauzionale dell’ESM in caso di necessità, bilancio dell’euro-area in grado di sostenere gli investimenti e di rafforzare la stabilità dei paesi divergenti, ecc.), sono state messe in secondo piano rispetto a radicali proposte di “riduzione dei rischi”. Se trasformate in obiettivi, queste ultime rappresentano una concreta minaccia all’integrità dell’euro-area. Imporre meccanismi di ristrutturazione ex ante del debito pubblico o limitazioni, senza contropartite, dell’esposizione delle banche rispetto ai titoli sovrani nazionali non costituisce un efficace strumento di prevenzione delle crisi finanziarie e ‘reali’ nel lungo termine. Tali strumenti rischiano infatti di autorealizzare, nel breve termine, l’aspettativa di queste crisi e portare, così, alla loro esplosione.
Il nostro paese ha la necessità di evitare che vengano imposti requisiti penalizzanti ai paesi più deboli dell’EMU e, in primo luogo, meccanismi automatici o semi-automatici di ristrutturazione del debito pubblico e criteri diretti o indiretti di discriminazione dei titoli sovrani in ragione della nazionalità dell’emittente. L’Italia dovrebbe dunque adoprarsi perché i nuovi sviluppi della governance economica europea riducano i rischi di instabilità che colpiscono, in modo sproporzionato, i paesi deboli attraverso il rialzo dei tassi di interesse, nuove restrizioni nei crediti bancari, riduzioni nella ricchezza finanziaria delle famiglie e conseguenti cadute negli investimenti e nei consumi aggregati. Del resto, la ragione ultima dell’aumento del debito pubblico italiano nel periodo fra il 2008 e il 2012 è proprio da imputarsi all’aumento dei differenziali nei tassi di interesse. Ne consegue che, anziché isolarsi dal resto dei paesi dell’EMU aumentando la spesa pubblica corrente e contrapponendosi a ogni regola fiscale europea, il governo italiano dovrebbe rimuovere le cause dell’apertura della procedura europea basata sul debito pubblico eccessivo, riprendendo i necessari aggiustamenti di bilancio pubblico, e dovrebbe sostenere i nostri pur modesti tassi di crescita mediante una ricomposizione delle spese e delle entrate in un quadro di stabilità. Soprattutto, il governo italiano dovrebbe cogliere e appoggiare ogni segnale di riavvio del processo di governance economica europea che apra prospettive di stimolo alla crescita e di condivisione dei rischi.
Tale segnale è stato inviato, il 16 novembre scorso, dai governi francese e tedesco che hanno riproposto un bilancio per l’eurozona, ipotizzando la messa a disposizione di circa 27 miliardi di euro per sostenere investimenti e programmi di riforma nei paesi non convergenti verso gli standard europei di efficienza. Anziché valorizzare questa apertura, che istituisce un ideale ponte con il programma di riforma della Commissione europea avanzato nel dicembre 2018 e sopra richiamato, nei medesimi giorni il governo italiano ha spinto la stessa Commissione ad aprire la procedura di infrazione e ha attribuito alla Francia e alla Germania la volontà di escludere l’Italia da ogni accordo europeo. Il pretesto è stato trovato in un’ovvia condizione introdotta nel progetto franco-tedesco. Uno dei requisiti indispensabili per ricevere ogni forma di assistenza economica e finanziaria in ambito europeo è che lo stato beneficiario sia conforme alle regole europee. E’ perciò scontato che, nel caso di un bilancio per l’eurozona, lo stato intenzionato ad accedere ai fondi di tale nuovo bilancio, abbia preventivamente allineato le proprie politiche nazionali agli obblighi fissati dalla cornice del coordinamento europeo di politica economica, incluse le regole fiscali: “member States and programmes could only receive support by the Eurozone budget if they pursue policies that are in accordance with their obligations under the European economic policy coordination framework, including fiscal rules”. Questa ovvia affermazione è stata capziosamente interpretata come un criterio per escludere l’Italia.

Un’opportunità per l’Italia

Portando il paese nel baratro dell’isolamento politico-istituzionale a livello europeo e della recessione sul piano economico, il governo italiano sta sacrificando un’opportunità importante. La proposta di un bilancio dell’euro-area potrebbe, infatti, aprire una nuova e promettente trattativa fra le istituzioni europee e l’Italia fondata su due capisaldi: un rinnovato e vincolante impegno, assunto dal governo italiano, per il ripristino delle condizioni di stabilità fiscale mediante aggiustamenti del bilancio pubblico che ricollochino l’Italia sulla curva di convergenza verso lo MTO; il rafforzamento della governance europea che, prendendo le mosse dalle risorse previste dal bilancio dell’euro-area a favore degli stati membri più fragili, renda cogente l’attuazione del programma di riforma disegnato dalla Commissione europea nel dicembre scorso. Un accordo del genere porterebbe a una riduzione dei differenziali nei tassi di interesse tra l’Italia e il resto dell’euro-area e fornirebbe, così, un contributo decisivo al risanamento della finanza pubblica del nostro paese.
L’Italia ha, dunque, uno specifico interesse affinché venga riportato al centro delle iniziative dell’EMU il processo disegnato dalla Commissione meno di un anno fa. Nello spirito di quel documento, l’Italia ha un ruolo decisivo da svolgere. Il nostro paese deve rimuovere l’ostacolo che si frappone a ogni possibile discussione e accordo di merito, ossia deve cancellare la sua scelta di porsi al di fuori delle regole fiscali e istituzionali europee. Su quella base, esso può aprire un nuovo confronto con la Commissione e gli altri governi dell’euro-area, richiedendo che la governance europea arrivi a rispettare i seguenti criteri:
– Il riequilibrio della sequenza tra “riduzione dei rischi” e “condivisione dei rischi”, ponendo i due processi in parallelo e non rinviando a data indefinita ogni forma di condivisione dei rischi, compresa la assicurazione comune sui depositi bancari;
– L’introduzione di forme di ristrutturazione dei debiti pubblici solo su richiesta del paese in difficoltà e senza alcuna forma di automatismo o di quasi-automatismo ex-ante;
– L’esclusione di ogni possibile ponderazione del rischio sui titoli pubblici dell’euro-area, detenuti dal settore bancario, che differenzi tale rischio in ragione dell’emittente nazionale;
– L’attribuzione di una personalità giuridica europea all’ESM, così da trasformarlo in un Fondo Monetario Europeo guidato dal vicepresidente della Commissione, e di una sua riorganizzazione che consenta a tale istituzione di offrire ampia assistenza precauzionale per la difesa della stabilità finanziaria dell’eurozona senza condizionarla al preventivo approntamento di un “full program” da parte del paese destinatario;
– La condivisione del principio secondo cui le risorse del bilancio dell’eurozona, destinate a facilitare la convergenza delle economie più fragili nell’area monetaria comune, siano allocate in ragione non dei livelli assoluti di reddito dei paesi coinvolti ma della perdita relativa di reddito derivante dai costi (di varia natura) imposti dal processo di convergenza;
A fronte di questi cinque criteri, il governo italiano dovrebbe riconoscere che ogni assistenza e ogni coordinamento accentrati hanno senso solo se lo stato membro coinvolto rispetta le regole europee di politica economica, incluse quelle fiscali. Di conseguenza, esso dovrebbe concretamente impegnarsi a fare sì che l’Italia soddisfi i criteri-obiettivo, nella loro attuale definizione non toccata dai precedenti criteri, e attivi i processi di aggiustamento adeguati alla loro realizzazione.

 

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POLICY BRIEF: AND IF JUNCKER WAS ITALY'S BEST ALLY?

Gli autori

Marcello Messori è professore di Economia al Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss.


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Carlo Bastasin, Senior fellow della Luiss School of European Political Economy (Roma) e di Brookings Institution (Washington), autore di “Viaggio al termine dell’Occidente” (Luiss University Press)


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