Ecco i numeri che per ora condannano Renzi a essere un leader senza leadership
12 dicembre 2018
Intervenendo sul Sole 24 Ore, Roberto D’Alimonte, politologo della LUISS e direttore del CISE, ha definito l’ex segretario del Pd, Matteo Renzi, come “l’Amleto della politica italiana”. Renzi è “in preda a dilemmi che non riesce a sciogliere”, come ha scritto D’Alimonte, in particolare ha tre opzioni davanti a sé: non partecipare alla corsa per la leadership del Pd, concorrere con nuove primarie alla segreteria del Pd, o infine fondare un proprio movimento o partito. Parlando con LUISS Open, D’Alimote torna ad approfondire il tema, a partire dagli studi demoscopici più aggiornati – come già fatto per indagare il futuro del leader della Lega, Matteo Salvini
“Matteo Renzi vive oggi una situazione paradossale – dice D’Alimonte – E’ un leader riconosciuto che però, allo stato attuale, non può esercitare la sua leadership”. Per capire perché, il politologo analizza la situazione di “domanda” e “offerta” nell’attuale panorama politico italiano. “Il governo M5s-Lega gode ancora di una notevole fiducia tra gli italiani. Però ci sono i primi segnali di un certo scontento. Secondo alcuni istituti demoscopici, per la prima volta nelle scorse ore la percentuale di giudizi negativi sulla manovra in discussione ha superato quella dei giudizi positivi.
Non solo: secondo un recente sondaggio Eurobarometro, il 64% degli italiani si dice favorevole all’appartenenza all’Unione europea, mentre un anno fa la stessa rilevazione si fermava al 49%”.
Renzi è pronto a intercettare questa domanda dell’elettorato? “Dentro il Pd è ancora il leader che raccoglie maggiori consensi tra gli elettori di quest’area. Tuttavia ha rifiutato di correre per la segreteria, dunque è impossibile che intercetti questa nuova domanda con le bandiere del Nazareno”. E se invece Renzi facesse un suo partito o movimento, come pure qualcuno ha ipotizzato in questi giorni? “Qui i problemi sono due. Il primo è che, secondo un recentissimo sondaggio Winpoll (vedi grafico qui sotto), i cittadini propensi a votare un movimento personale a trazione renziana verrebbero in larghissima parte dal Pd. Soltanto il 19% degli elettori di Forza Italia si dice propenso a votare un partito in stile ‘macroniano’, diciamo, guidato da Renzi”.
Continua D’Alimonte: “All’esterno del recinto dem, insomma, Renzi soffre ancora per la zavorra costituita dai suoi due anni di governo tra il 2014 e il 2016. Zavorra che, ancora pochi anni fa, non esisteva. Si pensi all’interesse che Renzi suscitò all’esterno del Pd ai tempi del lancio della “rottamazione” come parola d’ordine, oppure ai tempi di quella che pure fu una sconfitta, nel 2012, nella competizione con Pier Luigi Bersani per scegliere il candidato premier dell’allora centrosinistra. Ancora, nel 2014, quando il Pd renziano raccolse il 40% dei consensi alle elezioni europee, la vera forza di Renzi era quella di intercettare consensi trasversali, anche al centro dell’elettorato. Oggi quella capacità sembra non esserci più. Per questo, a bocce ferme, un eventuale movimento/partito renziano andrebbe a rosicchiare consensi soprattutto al Pd, raccogliendo il 9% circa dei consensi complessivi – secondo un altro sondaggio Winpoll (grafico sotto) – che sommato all’11% e rotti del Pd andrebbe a ricostituire il 20% dell’attuale Pd o poco più. In definitiva, un partito renziano non sarebbe affatto quella novità dirompente del panorama politico italiano che lo stesso soggetto avrebbe potuto costituire nel recente passato”.
E se Renzi attendesse ancora l’evolversi della situazione, un po’ come conviene fare – per altre ragioni – al leader della Lega, Matteo Salvini? “In un contesto di ‘galleggiamento’ come quello attuale, in cui il consenso per il governo in carica sostanzialmente tiene, gli spazi per un ruolo attivo di Renzi si andrebbero progressivamente a chiudere. Se invece il contesto economico e sociale evolvesse fortemente in peggio, in una direzione addirittura catastrofica, magari in ragione di una crisi finanziaria o economica, allora Renzi potrebbe riuscire a staccarsi di dosso quel sentimento negativo che lo segue come un’ombra fin dai tempi di Palazzo Chigi”. In questo senso, conclude il direttore del Cise, “oggi la figura di Renzi ha aspetti tragici: è un leader nel suo partito ma non si sente di fare il leader in quella sede, mentre vorrebbe esercitare una leadership fuori dal Pd ma per il momento avrebbe difficoltà a farlo. E se anche attendesse ancora, un esito positivo per lui non sarebbe garantito”.
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