Investire su Twitter era un’ottima idea. Peccato l’avesse avuta una donna
21 dicembre 2018
Nella primavera del 2007 seguivo alcuni account interessanti su Twitter, una nuova startup che aveva sede nella stessa via dove abitavo. Twitter era ancora molto piccola, aveva circa venti dipendenti, tanto da poter mandare un’email direttamente al fondatore Jack Dorsey e organizzare un incontro con lui nel giro di un’ora. Cominciai a utilizzare la piattaforma. Wow, pensai, è davvero intrigante. Non so perché, ma in qualche modo mi diverte sapere cosa ha mangiato Jack a colazione. Come fanno queste persone a essere così simpatiche e brillanti in 140 caratteri? C’era qualcosa di reale, di immediato, nella possibilità di avere intrattenimento e informazioni sempre disponibili, a qualsiasi ora e in qualsiasi posto. Gli utenti mostravano un grande senso dell’umorismo. Si poteva stabilire un contatto con loro senza sapere tutto di loro. Mi ricordava gli scambi di email e le prime piattaforme di messaggi ai primordi di internet.
“Qui c’è qualcosa di poderoso” dissi a un collega in Kleiner. L’attenzione del CEO al prodotto e il suo potenziale mi avevano fatto davvero un’ottima impressione. Volevo saperne molto di più e vedere cosa ne pensavano gli altri. Ogni volta che provavo a spiegare il mio fervore, tutti i miei colleghi partner mi mandavano da Matt, che aveva già studiato il progetto Twitter e lo aveva scartato. Provai a passargli il mio entusiasmo per quella piattaforma e per le sue potenzialità. Le persone stavano cominciando a preferire Twitter allo scambio di sms, e ciò costituiva un’evoluzione nell’utilizzo stesso del telefono cellulare: Twitter rappresentava un modo per entrare in contatto con nuove persone, in un istante. Parliamo del periodo in cui l’iPhone venne lanciato per la prima volta, quindi prima dell’App store, prima delle app in generale, e la visione che Jack aveva avuto sul potenziale del telefono cellulare era davvero sbalorditiva. Non pensavo affatto che esagerasse, ero convinta che avrebbe potuto farcela e che ce l’avrebbe fatta. E avrebbe dato alla gente qualcosa da fare con quei cellulari che tutti stavano cominciando a comprarsi.
“Ma non hanno un modello di business” mi ripeteva Matt ogni volta. “Jack non è un uomo d’affari. Non andranno da nessuna parte. È un investimento da scartare.”
“Va bene” dissi, e lasciai stare. In Jack avevo visto qualcuno con un prodotto convincente e una grande visione, magari non del tutto chiara ma comunque impressionante, Matt invece vedeva qualcuno che non soddisfaceva il nostro schema per avere successo dell’epoca. Jack era introverso e serioso; aveva abbandonato l’università, ma non un ateneo come Stanford o Harvard, e aveva messo su Twitter come servizio di prenotazione taxi prima di ampliarlo, cioè facendolo diventare qualcosa di molto diverso e parecchio cool. La sicurezza di Matt nella sua stessa capacità di giudizio e nella sua decisione era irremovibile e definitiva. E nessun altro avrebbe dato retta a me.
Solo tre anni e mezzo dopo cominciammo a investire in Twitter, peccato che allora il prezzo fosse lievitato di quasi cento volte. Nel frattempo l’iPhone si era imposto sul mercato in crescita dei cellulari, l’App store era una realtà in piena con più di sette miliardi di download, e le persone inviavano sessantacinque milioni di tweet al giorno; la strada di Twitter verso il successo era quindi spianata e quasi inevitabile. Jack Dorsey non era più considerato come un’eccezione, Mark Zuckerberg aveva ormai consolidato l’immaginario del giovane maschio bianco a capo delle aziende. E a quanto pare i modelli di business non contavano più. Il junior partner maschio che aveva suggerito l’investimento venne celebrato come un genio, anche se per me faceva abbastanza ridere quanto fosse facile individuare il potenziale di un investimento in Twitter a quel punto. L’ultima volta che mi informai, la capitalizzazione di mercato di Twitter si aggirava sugli undici miliardi di dollari.
Le mie proposte venivano ignorate di continuo in Kleiner; non venni neanche invitata agli incontri con Twitter per gli investimenti successivi. Scoprii presto che Square stava raccogliendo un altro round di investimenti, visto che aveva preso un ottimo COO. Ne parlai con il team presentandolo come un grande cambiamento e un’opportunità d’investimento, e i partner si trovarono d’accordo con me, peccato che poi non venni invitata neanche agli incontri su questo progetto. Persino il senior partner Randy Komisar, che faceva parte del mio team in Kleiner e che in teoria era il mio mentore, andava dicendo in maniera aggressiva ad almeno un altro investitore di non condividere con me altre opportunità di investimento. I partner in Kleiner insistevano con così tanto impegno nel tenermi all’oscuro da far dire a un altro CEO ancora che quella era “la situazione politica più incasinata” che avesse mai visto.
Il brano proposto è estratto dal libro La guerra di Ellen, in libreria dal 22 novembre per LUISS University Press.

La guerra di Ellen
Una lotta per la parità e l'inclusione nella Silicon Valley
LUISS University Press
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