La comunicazione politica ai tempi della rivoluzione digitale. Un estratto dal nuovo libro di Francesco Giorgino
8 gennaio 2019
Può sembrare azzardato l’accostamento tra politica (e, quindi, rappresentanza) e comunicazione da un lato e marketing dall’altro (e, quindi, rappresentazione a fini conativi), ma in realtà si tratta di far incontrare all’interno di un mercato, quello elettorale e postelettorale, una domanda (quella degli elettori) e un’offerta (quella di partiti e leader politici).
Abbiamo visto quanto nella Prima Repubblica fossero potenti certe “marche partitiche” e quanto importanti fossero i processi di branding politico. Così come per le imprese, anche per i partiti la comunicazione assolveva, già all’epoca, al compito non facile di connettere le istanze della politica con le proposte tematiche e di contenuto costruite secondo strategie narrative immaginate affinché restassero vincolate al solo valore dell’ideologia di riferimento. Un’ideologia vissuta come un grande frame cognitivo all’interno del quale far sedimentare dibattiti, polemiche, rivendicazioni, attacchi, difese, proposte e controproposte. Anche in quel caso il problema era creare e potenziare il valore di un brand, ma non certo quello di un personal brand, come poi sarebbe accaduto con la Seconda e con la Terza Repubblica. I partiti erano visti dagli specialisti del settore come “aziende politiche” non tanto per la rilevanza che all’epoca aveva la questione dei finanziamenti pubblici e per i costi che essi sostenevano anche in termini di gestione del personale, quanto per la necessità che la loro produzione (di beni politici, si intende) venisse gestita in una dinamica di flusso, tramite reiterazione di pochi ma significativi contenuti da somministrare ad un pubblico vasto ed eterogeneo. Gli elettori assolvevano alla funzione di consumatori e nel fare le proprie scelte erano guidati, ma anche rassicurati, da quegli interpreti del senso comune allocati nelle sedi del potere mediatico. Tutto contestualizzabile dentro le macro categorie della mobilità sociale verso l’alto, dell’interclassismo, della partecipazione dello Stato all’economia, dell’universalismo dei diritti e dell’uguaglianza, della libertà e della giustizia sociale. Già all’epoca, l’attività di esperti e spin doctor trasformava il marketing analitico, tutto incentrato sull’analisi della domanda reale, potenziale e latente, prima in marketing strategico e poi in marketing operativo. Il modello al quale ci si ispirava di più era quello del B2C, anche se nel frattempo non sono mancate strategie finalizzate ad assecondare relazioni stabili con gli stakeholder dei vari partiti anche in base al modello B2B.
Il cambio radicale di prospettiva è avvenuto a partire dagli anni Duemila a causa della coesistenza di fattori esogeni (la rivoluzione digitale, la società interconnessa e iperconnessa, l’individualismo libertario, la liquidità delle relazioni sociali, la disintermediazione, i processi di globalizzazione e internazionalizzazione) e fattori endogeni (le trasformazioni dell’attività di gatekeeping nel giornalismo, la diffusione di competenze digitali tra le professioni della comunicazione e tra i politici, l’evoluzione del ruolo del pubblico). In questa trasformazione hanno pesato e pesano le commistioni tra informazione, comunicazione e marketing. Tre ambiti alla base di un intreccio tanto sfidante, quanto difficile da governare. Ciascuno di questi settori è diventato, infatti, più strategico di quanto i loro stessi operatori avessero previsto. Si è delineata una situazione nella quale, per il tramite di numerosi episodi di contaminazione, si è generata una zona di reciproca intersezione. Zona di grande interesse scientifico, da indagare con prudenza, senza preconcetti e pregiudizi, tenendo nelle retrovie del pensiero critico e analitico la tentazione di approcci ispirati esclusivamente da questioni etiche, oggettivamente limitanti, pur essendo rilevanti. La società postmoderna, con la sua complessità, con la sua forza destrutturante e ristrutturante delle dinamiche macro sviluppatesi all’ombra della centralità del paradigma dell’inclusione, con la sovrapposizione sempre più evidente tra reale e virtuale è il terreno ideale per coltivare modelli ibridi in cui i processi di contaminazione avvengono in condizione paritaria, senza cioè pretese di prevaricazione e primazia. Esattamente come sta accadendo tra informazione, comunicazione e marketing in conseguenza dell’apporto dato dalla rivoluzione digitale alla definizione di un nuovo idealtipo weberiano. La disponibilità a considerare l’intreccio tra informazione, comunicazione e marketing come elemento caratterizzante il presente e il futuro della sfera pubblica mediata filtra attraverso la consapevolezza della convivenza di dinamiche relazionali tardo moderne ed elementi connotativi dell’infrastruttura tecnologica che sorregge questo nuovo impianto teorico e operazionale.

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