Dimmi come tuteli il tuo patrimonio culturale e ti dirò che Nazione sei. Il caso dell’Italia
4 febbraio 2019
Nel working paper intitolato “State Production of Cultural Nationalism: Political Leaders and Preservation Policies for Historic Buildings in France and Italy”, Thatcher si concentra in particolare sulla storia (comparata) di Francia e Italia. Nel primo Paese, nota lo studioso, in occasione della Rivoluzione del 1789 si assistette alla distruzione di molti edifici e monumenti storici legati all’Ancien Régime; sempre allora, però, si innescò pure “un contro-movimento teso a proteggere i siti monumentali nel nome della ‘Nazione’”. Uno dei primi esempi è quello dell’abate Grégoire che proprio allora presentò alla Convenzione nazionale un rapporto con l’obiettivo di contenere il “vandalismo” contro gli “oggetti nazionali”, seguito negli anni da leggi, decreti e modifiche del Codice penale che andavano in tal senso. Né è casuale – continua Thatcher – che in corrispondenza della nascita della Quinta Repubblica, nella seconda metà dello scorso secolo, il Presidente De Gaulle, appena tornato al potere nel 1958, abbia istituito il Ministero della Cultura. Gaullismo e tutela del “patrimoine”, dunque, si sono puntellati a vicenda.
La parabola storica della tutela dell’eredità culturale in Italia si può far cominciare addirittura all’inizio del XVI secolo. È infatti al 1500 che risale – come ricorda lo studioso della LUISS e della LSE – una serie ininterrotta di provvedimenti papali che avevano lo scopo di proteggere simboli e monumenti storici. Col paradosso, osserva Thatcher, che per decenni nel nostro Paese si è sviluppata una forma di nazionalismo culturale, pur in assenza di uno Stato nazionale vero e proprio. Altra peculiarità, particolarmente evidente durante il Risorgimento: il movimento per la conservazione del patrimonio culturale in Italia non fu di stampo passatista o retrogrado, visto che la preservazione fu interpretata piuttosto “come forza tesa alla creazione di uno ‘Stato nazione moderno’”.
Affinità e differenze, dunque, del “nazionalismo culturale” in Francia e in Italia. Con una conclusione apparentemente sorprendente. Scrive infatti Thatcher: “Lo studio di quanto avvenuto in Francia e in Italia lascia intendere che in uno Stato nazionale che si è formato più tardi e che è caratterizzato da alcune debolezze politiche, in cui il nazionalismo culturale era però già forte, i leader politici nazionali hanno potuto introdurre anticipatamente forme di protezione del patrimonio più pervasive e stratificate rispetto a Stati nazionali formatisi prima e con meno punti deboli, e tutto questo per compensare sfide e difficoltà che gli Stati nazionali di recente formazione hanno dovuto affrontare”.
Newsletter
Articoli correlati
La destra italiana in crisi di crescita
4 giugno 2021
Il sistema politico attuale, in mancanza di un pivot, mostra tutta la propria dissonante e caotica frammentazione, mentre cerca faticosamente di trovare un nuovo catalizzatore intorno al quale riaddensarsi. Catalizzatore che, a oggi, rischia fortemente di essere Mario Draghi, il cui governo è sempre meno di emergenza.
6 maggio 2021
L’arresto in Francia di sette ricercati dalla polizia italiana a seguito di condanne per reati di terrorismo pone numerosi interrogativi, di fondo e più immediati. Tra le domande importanti che dovremmo porci, una in particolare sembra essere anche più immediatamente rilevante: la violenza è ancora un mezzo di azione politica?
Il valore del merito per rilanciare il Paese
1 maggio 2021
La sfida dell’Italia e in particolare quella del Sud per il post-pandemia si può vincere valorizzando il merito. Tale valore può essere incentivato nei giovani che decidano di affrontare severe prove di selezione per l’accesso alla PA con la consapevolezza che le promozioni avverranno grazie al riconoscimento del valore e non per anzianità, per raccomandazione o grazie a relazioni standardizzate dei capi ufficio.
Perché Salvini alza la posta
30 aprile 2021
Il coperchio che la pandemia ha messo sulla politica si sta allentando per due motivi. Il primo è che cominciamo finalmente a intravedere il ritorno a una normalità relativa. Il secondo è che su lockdown e vaccini la discontinuità fra Draghi e Conte, benché tutt’altro che inesistente, è stata tuttavia modesta. Questo doppio meccanismo disincentiva i partiti – soprattutto quelli che con Conte erano all’opposizione – dal subordinare i propri interessi a quelli del governo. Vediamo come e perché.