I populisti falliranno, ma il rancore resterà. Ecco il problema di cavalcare la tigre

20 febbraio 2019
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Il Diavolo di Joshua Green è la storia di due uomini di carattere, Steve Bannon e Donald Trump, che – sorretto il primo da un pensiero, il secondo da un istinto – sono riusciti a cavalcare l’onda di una crisi storica e hanno conquistato la poltrona politica più alta del mondo. Come in tutte le vicende umane, anche in questa naturalmente c’è moltissimo di casuale e contingente. E il libro di Green abbonda infatti di biforcazioni, di momenti nei quali sembrava che la candidatura Trump stesse finendo in catastrofe, e soltanto una mossa indovinata o un colpo di fortuna l’hanno rimessa in carreggiata. La ricostruzione non si ferma però agli alti e bassi della congiuntura, ma cerca di restituire il senso di qualcosa di profondo, di strutturale, sul quale i due uomini si sono potuti appoggiare nel dare la scalata alla Casa Bianca.

In effetti, è difficile capire qualcosa di quel che sta accadendo oggi nelle democrazie avanzate – le difficoltà in cui si dibattono i partiti tradizionali e l’ascesa di forze politiche nuove che per pigrizia raccogliamo sotto l’etichetta sempre più insoddisfacente di “populismo” –, se non lo si inserisce all’interno di una cornice più ampia: la dissoluzione dei punti di riferimento e criteri di giudizio che hanno strutturato l’ordine politico e sociale perlomeno dal 1945 in avanti. Questo processo di dissoluzione, certo, non rappresenta una novità. Al contrario, è ben possibile sostenere che tutta l’epoca moderna ne sia stata segnata. O, meglio ancora, che la modernità stessa non sia altro che una crisi permanente, la ricostruzione continua e sempre provvisoria di un ordine politico e sociale che si tenga in piedi proprio in assenza di punti di riferimento e criteri di giudizio. Il fatto che questo processo non sia nuovo, tuttavia, non gli impedisce di manifestarsi con particolare virulenza nella fase storica che stiamo vivendo. Costruendo su una lunga tradizione di pensiero antimoderno, René Guénon e Julius Evola in testa, Steve Bannon – nella ricostruzione che ce ne dà Green – sembra scommettere sul fatto che la dissoluzione non sia umanamente sostenibile, che senza punti di riferimento e criteri di giudizio un ordine politico e sociale non possa in alcun modo stare in piedi, e che una reazione di rabbia e frustrazione sia dunque inevitabile. Una volta che quella reazione sia venuta montando a sufficienza, poi, basterà trovare degli imprenditori politici interessati a “cavalcare la tigre” – per citare il titolo di un libro di Evola. Trump, ad esempio, dotato di fiuto politico e opportunismo sufficienti da cogliere con prontezza l’opportunità che gli si offriva. O, in Italia e in prospettiva europea, il governo di coalizione fra il Movimento 5 Stelle e la Lega di Matteo Salvini.

Se partiamo da queste premesse possiamo capire meglio l’atteggiamento prevalentemente negativo – l’impostazione “contro” – che ha segnato l’azione sia culturale sia politica di Bannon e che emerge quasi da ogni pagina de Il diavolo, ma che più in generale caratterizza spesso sia certo pensiero di destra, sia le iniziative delle forze politiche cosiddette populiste. Gli attacchi feroci al politicamente corretto, ad esempio. O la demonizzazione sistematica dei Clinton. In buona sostanza, si tratta in tutti i casi, per quanto su livelli differenti, di denunciare le contraddizioni e le ipocrisie che segnano la nostra epoca. Che per un verso nega e distrugge i punti di riferimento e i criteri di giudizio tradizionali nel nome del relativismo e della libertà individuale. E per un altro, però, dovendo comunque garantire un ordine politico e sociale, finisce per reintrodurre un nuovo patrimonio di valori indiscutibili – ma surrettiziamente, poiché le premesse relativistiche glielo impedirebbero. E su quei valori costruisce poi non dirado dei cinici sistemi di potere, tanto più spregiudicati e tanto meno tollerabili quanto più fragili sono le basi di principio sulle quali si fondano. Il problema di Steve Bannon e più in generale delle forze politiche cosiddette populiste è che cosa possano fare in positivo una volta che, a forza di cavalcare in negativo il rancore generato dalle contraddizioni e ipocrisie della nostra epoca, abbiano raggiunto il potere. Quel problema, però, non è soltanto loro – è pure nostro. Se infatti le contraddizioni e ipocrisie della nostra epoca sono insostenibili e fatalmente destinate a generare il rancore che alimenta i populisti, ma quelli non sono poi in grado di spegnere davvero la rabbia, allora siamo nei guai.

I populisti falliranno, ma il rancore resterà, e il loro fallimento non ci riporterà a un nuovo ordine politico e sociale, ma ci condurrà dentro un circolo vizioso di risentimento nel quale i populisti di prima generazione saranno sostituiti da populisti di seconda generazione peggiori di loro, e questi a loro volta da epigoni di terza generazione – e così via. Evitare di cadere in questo circolo vizioso è il grande compito politico della nostra epoca. I possibili sbocchi della situazione attuale, infatti, mi pare siano tre. Il primo è che la crisi odierna si riveli temporanea. Che, contrariamente a quel che sembrano pensare Bannon e i suoi maestri antimoderni, l’ordine politico e sociale dimostri di poter stare in piedi in assenza di punti di riferimento e criteri di giudizio. Ogni tanto va in difficoltà, ma poi si riprende, in un perpetuo moto ondeggiante che è la sua normale condizione di esistenza. La soluzione, quindi, è attendere che i processi di integrazione sovranazionale e di ampliamento dei diritti individuali riprendano il loro cammino. Il secondo sbocco è che le nuove forze politiche dimostrino di essere non soltanto il frutto della crisi, ma anche la sua soluzione. Ovvero che si vada verso la ricostruzione di un nuovo ordine ragionevolmente stabile capace di dare soddisfazione almeno in parte alle esigenze sulle quali oggi prosperano i populisti, ma tale da restare comunque interno al liberalismo. Una globalizzazione più lenta, governata e rispettosa dei vincoli nazionali, insomma, e un nazionalismo che si riveli compatibile con la democrazia e i diritti individuali. Il terzo sbocco, infine, è che il circolo vizioso del risentimento si avviti del tutto, e i processi di ricostruzione per via politica di punti di riferimento e criteri di giudizio sui quali possa fondarsi l’ordine politico e sociale conducano su base nazionale a soluzioni autoritarie, e su base internazionale al moltiplicarsi di tensioni e, magari, conflitti. In bocca al lupo a tutti noi.

 

Il testo proposto di Giovanni Orsina è stato originariamente pubblicato da Luiss University Press come postfazione al libro Il Diavolo di Joshua Green

Il diavolo

Steve Bannon e la conquista del potere

Joshua Green
LUISS University Press

Scheda

L'autore

Giovanni Orsina è il Direttore della Luiss School of Government


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