Un’assenza di strategia per il rilancio delle nuove generazioni: la legge di bilancio al vaglio dell’Agenda 2030
25 marzo 2019
Nel Rapporto ASVIS 2018, commentando lo stato di attuazione in Italia del goal 8 “lavoro dignitoso e crescita economica” si sottolineava in particolare la necessità di concentrare le risorse e le scelte del nuovo governo sul lavoro dei giovani, proponendo come strumento un “Patto per l’occupazione giovanile”, in linea con il documento dell’ILO dal titolo “Superare la crisi: un patto globale per l’occupazione”, approvato nel 2009. Un patto che dovrebbe coinvolgere a livello sistemico il Governo, le parti economiche e sociali e le autonomie locali, giungendo a definire un piano pluriennale che metta a fattor comune tutte le azioni volte a sostenere l’occupazione giovanile, dagli interventi per migliorare la transizione dalla scuola al lavoro a quelli per aumentare i fondi dedicati alla ricerca e allo sviluppo, soprattutto nelle imprese, dalla formazione professionalizzante e l’orientamento al sostegno all’impiego e all’autoimpiego anche attraverso il taglio del cuneo fiscale e contributivo, dal potenziamento delle politiche attive del lavoro ai servizi a supporto dei nuovi nuclei familiari.
Patto rilanciato nel corso della discussione con i rappresentanti del Governo, delle parti sociali e della Commissione UE in occasione della presentazione alla LUISS l’11 dicembre del 2018 del Secondo Rapporto sul Divario Generazionale a cura della Fondazione Bruno Visentini.
Purtroppo, nella legge di bilancio 2019 non si riscontra la auspicata visione organica e strutturale che possa realmente spingere il nostro Paese a un cambio di passo necessario, in particolare sul fronte delle politiche di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Gli ultimi dati disponibili sul fenomeno NEET fotografano un paese dove ancora 3 milioni di under 35 sono a vario titolo inattivi e di questi 1,8 milioni di donne.
Nel quadro programmatico del Governo, l’introduzione del Reddito di cittadinanza (RdC) e la revisione del sistema pensionistico sono considerate misure utili a creare un meccanismo virtuoso di turnover nel mercato del lavoro a favore dei giovani. Il commento alla Legge di bilancio presentato dal portavoce di ASVIS, Enrico Giovannini al premier Giuseppe Conte e al Presidente della Camera Roberto Fico il 27 febbraio scorso, rimarca come vi siano forti perplessità sulla reale possibilità che l’effetto congiunto delle due misure possa andare effettivamente nella direzione sperata. Notano gli estensori del documento, condiviso da oltre 200 rappresentanti della società civile, del mondo universitario e del mondo delle imprese, che “con riferimento a quella componente del RdC che ha l’obiettivo di garantire nuove forme di attivazione per i disoccupati e giovani sul mercato del lavoro, sembrano essere poco dimensionate le risorse finanziarie e umane dedicate al rilancio delle infrastrutture dedicate alle politiche attive e non è ancora stato delineato un percorso chiaro di riordino della governance collegata”. In generale, povertà e politiche attive non possono essere affrontate con un unico strumento come il Reddito di cittadinanza. Diversi sono gli indicatori per identificare i rispettivi target e i beneficiari.
“Pur valutando utile per ridurre i divari l’adozione di interventi orientati alla solidarietà e alla coesione sociale,” si legge nel commento, “si ritiene che la formulazione del RdC contenuta nel D.L. possa, anziché incentivare l’offerta di lavoro (muovendo le persone a cercare occupazione), determinare un effetto di scoraggiamento. I ‘paletti’ previsti per l’identificazione dei beneficiari di tale misure sembrano, inoltre, a un primo esame, privilegiare gli over 35 anni, già titolari di un proprio e autonomo nucleo familiare, rispetto ai giovani NEET, in gran parte ancora ‘rinchiusi’ tra le mura genitoriali e dunque in larga misura esclusi da questo programma”.
Alle perplessità sulla pianificazione, si aggiungono quelle sull’attuazione della misura: “nel contesto italiano, il potenziamento delle politiche attive rimane una priorità da perseguire. Il Governo ha deciso di investire con la Legge di Bilancio importanti risorse per potenziare i centri per l’impiego. È una misura positiva, ma manca ancora un quadro chiaro sul modello organizzativo e di governance multilivello per le politiche attive del lavoro. Tale governance dovrebbe prevedere l’integrazione tra i livelli istituzionali, le regioni e le parti sociali e un parallelo rafforzamento del ruolo delle agenzie per il lavoro private.”
Più nello specifico, in tema di attuazione, sono sollevate molte perplessità sulla figura del ‘navigator’. Tra queste: a) l’esile processo di selezione individuato per il suo reclutamento a fronte del suo ruolo cruciale per la riuscita della misura b) una sovrapposizione di competenze professionali (da quelle giuridiche a quelle psicologiche), ma anche di funzioni (dallo scouting delle offerte di lavoro, al motivatore); c) l’assenza, almeno a oggi, di indicazioni su contenuti, tempi e modalità per la loro formazione.
Incertezze e dubbi che secondo ASVIS confermerebbero, da un lato il permanere nel nostro Paese di una scarsa cultura dell’orientamento professionale e dall’altro la discutibile scelta di dare risposte nell’immediato a target di beneficiari tra loro disomogenei, piuttosto che progettare soluzioni sostenibili nel medio-lungo periodo alla cronica disoccupazione giovanile e più in generale alla lotta al divario generazionale
Con riferimento a ‘quota 100’, ASVIS, pur valutando positivamente l’obiettivo di introdurre un meccanismo di flessibilità delle uscite, ritiene che “occorra considerare con attenzione gli equilibri complessivi del sistema pensionistico. In generale, il turnover-giovani è condizionato dalla penetrazione tecnologica che tendenzialmente nella pubblica amministrazione e nelle grandi imprese in assoluto riduce il livello occupazionale, aumenta la produttività oraria e richiede lavoro qualificato. Nelle PMI non avanzate il ricambio sarà condizionato dal possibile aumento del lavoro sommerso e tutte le evidenze, se gestite solo dai centri per l’impiego, avranno effetti più di gestione del ‘traffico’ che di cambiamento della base produttiva.”
Da ultimo, una posizione critica anche nei confronti della scelta di rinominare la misura dedicata all’alternanza scuola-lavoro, depotenziandola e interrompendo lo sforzo di assicurare maggiore “occupabilità” alle risorse più giovani che si affacciano al mondo del lavoro, appare abbastanza critica. Questa l’annotazione: “Il dimezzamento complessivo sia delle ore sia dei finanziamenti per l’alternanza scuola-lavoro, infatti, non sembra fondarsi su ragioni di merito, ma sulla mera volontà di risparmiare risorse. Le esperienze di alternanza scuola-lavoro obbligatoria, infatti, hanno ricevuto, nel complesso, una valutazione positiva, pur coinvolgendo a regime oltre un milione di studenti con le relative, fisiologiche, criticità. Quanto previsto nella Legge di Bilancio allontana l’Italia dalle migliori esperienze europee e, di fatto, frena la diffusione di percorsi di formazione sul lavoro nei territori dove è più debole il legame tra scuola e impresa (soprattutto al Sud). Si tratta, più in generale, di una modifica che danneggia gli studenti che saranno privati della possibilità di inserirsi per un periodo consistente all’interno delle realtà produttive: di conseguenza, come mostrano diversi studi nazionali e internazionali, essi avranno ridotte possibilità di conoscere in modo efficace il mercato del lavoro, le competenze richieste dalle imprese e i percorsi che garantiscano le maggiori opportunità di occupazione. La brusca retromarcia rischia, inoltre, di vanificare gli sforzi profusi nei primi anni di avvio dello strumento dell’alternanza verso un cambio culturale”.
In conclusione, almeno per quanto concerne i principali target fissati dal goal 8 di Agenda 2030, la manovra introdotta pare avere non solo il fiato corto, ma anche qualche problema di strabismo.
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