Il nuovo mondo digitale dell’intelligenza artificiale ci impone di restare umani
10 maggio 2019
Quello che caratterizza l’intelligenza artificiale, al di là dei discorsi confusi che le girano intorno e delle sempiterne litanie sulla fine del lavoro, sui vantati progressi della medicina o sull’ottimizzazione ormai quasi totale del funzionamento delle aziende, è l’estensione di una “sistematica”, o scienza della classificazione e delle relazioni, destinata a essere applicata a tutti gli ambiti della vita umana.
Ogni enunciazione automatizzata della verità è così destinata a produrre “l’evento”, a far scattare un’azione, principalmente a scopi commerciali o utilitaristici, procedendo a una sorta di stimolazione artificiale e ininterrotta del reale. Prendiamo il caso di uno specchio connesso al web: la sua funzione non è solo quella di riflettere ad esempio l’immagine di un individuo, ma anche di raccogliere i dati relativi al suo volto e al suo corpo, per suggerire i prodotti o i servizi ritenuti più appropriati in funzione dell’analisi avanzata, e più o meno affidabile, del suo stato fisiologico e persino psicologico.
La presenza preponderante del digitale si pone dunque come un’istanza di orientamento dei comportamenti, destinata a offrire, attimo per attimo, i modelli di esistenza individuale e collettiva considerati i migliori applicabili; e ciò avviene quasi impercettibilmente, con fluidità, tanto da dare la sensazione di un nuovo ordine naturale delle cose. Ecco perché il tecnoliberismo ha fatto delle tecnologie dell’aletheia il suo principale cavallo di battaglia; in esse ha visto la realizzazione delle sue ambizioni egemoniche, grazie all’insorgere di una “mano invisibile automatizzata”, in un mondo retto dal regime della retroazione, del feedback: una “data-driven society”, dove ogni manifestazione del reale si trova a essere assoggettata a una serie di operazioni in vista di prendere di volta in volta la giusta direzione, seguendo criteri puntualmente definiti. In altri termini, un progetto continuamente teso sia a evitare qualunque forma di inerzia sia a perseguire il profitto in ogni cosa, nato dalla fantasia di matematici, ingegneri e ricercatori – gli ideatori della cibernetica – allo scopo di lottare contro il male supremo, l’entropia, e messo in atto oggi, dopo mezzo secolo, non più al solo scopo di correggere forme di disordine, ma anche con l’obiettivo di trarre vantaggio dalla interpretazione robotizzata di qualunque circostanza.
Una fantasia tecno- scientifica nata nel dopoguerra e diventata oggi un assioma economico e antropologico che pretende di edificare una governance infallibile e indefinitamente dinamica delle vicende umane. In questo senso, l’intelligenza artificiale contribuisce a preparare la fine del politico, inteso come l’espressione della volontà generale di prendere delle decisioni, attraversando le contraddizioni e giungendo a deliberare, in vista di rispondere al meglio all’interesse comune. Come non rendersi conto che essa dipende anche da un fenomeno psicologico scaturito dalla nostra angoscia fondamentale, indotta dall’incertezza che è intrinseca alla vita, e che ci obbliga continuamente a determinarci, presupponendo in ogni momento il dubbio e la possibilità di commettere errori?
L’intelligenza artificiale neutralizzerebbe dunque la nostra vulnerabilità e ci libererebbe dalle nostre affezioni a vantaggio di un’organizzazione ideale delle cose; in altre parole, farebbe scomparire la resistenza del reale grazie alla sua influenza sulla totalità dei fenomeni puntando all’orizzonte con una forma compiuta e perpetua di perfezione. Più che una “singolarità tecnologica” – vale a dire l’avvento di una rottura antropologica dovuta all’insorgere ormai prossimo di una “superintelligenza onnipotente” e alla fusione tra cervelli e processori, secondo la tesi grottesca e sensazionalista di Ray Kurzweil –, quella che è destinata a realizzarsi è una “singolarità ontologica”, che ridefinirebbe la figura umana, il suo statuto, i suoi poteri, i suoi diritti, ovvero tutto ciò che fino a questo momento le ha teoricamente garantito la possibilità di essere libera e realizzarsi. È il motivo per cui la natura dell’intelligenza artificiale, i suoi campi di applicazione, gli interessi in gioco, la vastità accertata e quella presumibile dei suoi effetti rappresentano una delle principali questioni civilizzazionali e filosofiche del nostro tempo forse la più importante, nonostante poi di fatto non sia oggetto di indagini teoriche all’altezza della sfida.
Il testo proposto è tratto da Critica della ragione artificiale. Una difesa dell’umanità di Éric Sadin, in libreria per Luiss University Press dal 16 maggio 2019.

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