Regolamentazione e networking: le chiavi per l’innovazione ambientale
14 maggio 2019
Nella sua esperienza nell’ambito dei network di ricerca che alimentano il sistema di innovazione ambientale quanto e perché è importante il dialogo fra centri di ricerca e università da una parte e centri studio delle imprese private, del mondo aziendale dall’altra?
La comunicazione tra aziende e centri di ricerche risulta essere sempre più importante, specialmente quando si tratta di temi di natura ambientale. Questo perché le innovazioni ambientali hanno un grado di complessità molto elevato e quindi l’interazione tra tipi di conoscenza diversi – la conoscenza più di base che è propria delle università e dei centri di ricerca e la conoscenza più applicata che è invece propria delle imprese – è fondamentale. Proprio grazie a questa coniugazione si riesce a raggiungere il “win-win” di cui parlava anche Porter. L’innovazione ambientale porta un duplice guadagno: ridurre l’impatto ambientale della produzione e aumentare la performance delle imprese.
Quindi dall’idea che le regolamentazioni ambientali possano essere un fattore disincentivante per le imprese, si passa all’idea che, al contrario, porre dei vincoli ambientali possa indurre le imprese a cercare altre soluzioni, soluzioni che le imprese trovano più facilmente dal momento in cui interagiscono anche con il mondo della ricerca. Questo fa sì che le imprese stesse diventino più innovative e, di conseguenza, anche i Paesi di cui le imprese stesse fanno parte. È molto importante dunque introdurre questo tipo di regolamentazione e investire in network di ricerca a cui partecipano soggetti pubblici e privati.
Cosa si intende per “innovazione ambientale” e come è possibile misurarla? Perché l’Unione europea, anche nei suoi documenti ufficiali, la ritiene così importante?
Per quanto riguarda la definizione è stato molto importante l’approccio dell’OCSE che ha identificato quali brevetti possono essere considerati green technology. Attraverso questi parametri è possibile quindi andare a misurare per ogni Paese, per ogni impresa, per ogni regione, a seconda di quello che è il livello di analisi, la quantità di innovazione di tipo ambientale brevettata. Il limite dell’utilizzo di questi brevetti è proprio il fatto che si riesce così solo a cogliere le innovazioni registrate.
Dall’altro lato ci sono invece i progetti europei, i famosi “progetti quadro” in cui l’Unione europea investe molte risorse e nelle quali la tematica ambientale è importante.
Attraverso una serie di parole chiave è possibile selezionare i progetti che hanno un certo tipo di caratteristiche. Noi in particolare abbiamo cercato i progetti che coniugassero insieme il tema dell’innovazione e il tema dell’ambiente.
Perché identificate tecnologia, regolamentazione e networking tra ricercatori come i principali motori dell’”innovazione ambientale”?
Da un punto di vista microeconomico, l’innovazione ambientale è particolarmente complessa perché necessita di una serie di competenze complementari ed è difficile che imprese non di grandissime dimensioni abbiano tutte queste competenze all’interno; è proprio attraverso le reti che le imprese possono incrementare le loro conoscenze favorendo l’innovazione ambientale.
Poi c’è un’altra letteratura, più di tipo macroeconomico, che studia gli effetti della regolamentazione – quindi le famose ipotesi di Porter – sia sulla competitività delle imprese che sull’innovazione.
Ci sono due tipi di regolamentazione. C’è la regolamentazione basata sul mercato, che significa mettere delle tasse, ad esempio, sulle emissioni di CO2 , oppure quei sistemi di commercio in cui si ha il permesso di inquinare fino a un certo limite e questo permesso si può rivendere. C’è poi una regolamentazione più in senso stretto, chiamata “command & control”, in cui ci sono dei limiti stabiliti, ad esempio delle emissioni e così via.
È stato interessante studiare le applicazioni sulle reti di impresa e gli studi sulla regolamentazione, per andare a vedere se le due tipologie di policy, quindi la policy dei network, che ha un carattere più di stimolo alla ricerca e all’innovazione, e la policy basata sulla regolamentazione potessero avere effetti complementari e se i guadagni associati a ognuna delle due policy prese singolarmente potessero essere amplificati nel momento in cui le policy venivano adottate contemporaneamente. Il contributo principale di questo studio è quello di verificare l’esistenza di una complementarità. Abbiamo in effetti trovato che non solo la regolamentazione e i network ambientali influenzano l’innovazione, ma quando i Paesi adottano le due policy contemporaneamente gli effetti associati ad ognuna delle due singole policy sono amplificati.
Nel momento in cui c’è una regolamentazione certa è chiaro che gli investimenti nei network di ricerca e sviluppo saranno maggiori, d’altronde l’introduzione di un’innovazione porta vantaggi tanto maggiori quanto più la regolamentazione (in particolare quella basata sul mercato) è stringente.
Abbiamo trovato, confermando quanto osservato dalla letteratura, che la regolamentazione di mercato è più efficace rispetto alle semplici policy di “command & control”. Questo è abbastanza intuitivo nel senso che a seconda di quanto si innova, si hanno dei ritorni maggiori quando la regolamentazione è di mercato, rispetto a quando si devono soltanto rispettare determinati limiti d’inquinamento. Una volta rispettati tali limiti, infatti, non si hanno incentivi ad andare oltre. Invece, ad esempio, se è possibile rivendere i permessi ad inquinare, nel momento in cui il livello di inquinamento di una determinata azienda è zero, il guadagno che si ottiene dal rivenderli è maggiore, e quindi l’incentivo associato alla regolamentazione di mercato è più alto rispetto a quello ottenibile con la regolamentazione basata sui massimali d’inquinamento. Quindi si può affermare che di fronte a strumenti regolatori di mercato e non di mercato i primi sono più efficaci dei secondi nel promuovere le tecnologie verdi.
A proposito del nesso tra regolamentazione e innovazione ambientale: è possibile stabilire una soglia oltre la quale una regolamentazione eccessiva o mal congegnata può invece danneggiare l’innovazione? Esiste questo rischio in Europa?
Questa è una domanda interessante. È difficile rispondere nel senso che dipende molto se si guarda agli effetti di breve periodo o agli effetti di lungo periodo. Ho l’impressione, ma questo andrebbe ovviamente studiato, che nel breve periodo una regolamentazione troppo stringente potrebbe in un certo senso essere scoraggiante, quindi potrebbe avere degli effetti negativi sull’innovazione delle imprese, perché le risorse a disposizione potrebbero non essere sufficienti a fare investimenti che permettano di rispettare la regolamentazione (se questa è troppo stringente). Ciò non toglie però che nel lungo periodo le imprese potrebbero cercare di trovare delle vie, ad esempio unendosi in rete o attraverso altri strumenti, per riuscire ad ottenere dei risultati anche in termini di regolamentazione stringente. In alcuni casi, e la Germania è un esempio, paesi che hanno adottato regolamentazioni più stringenti poi sono diventati leader in determinate nicchie di mercato come quello appunto di determinate tecnologie pulite, raggiungendo dei risultati che alla fine hanno più che bilanciato i costi per le imprese.
Per cui, secondo me dipende un po’ dall’orizzonte temporale e anche da come tutto il sistema Paese aiuta le imprese a superare i limiti della regolamentazione. Per questo sono molto importanti le complementarità tra policy perché se si ha soltanto la regolamentazione e poi però mancano gli strumenti finanziari – per cui ad esempio le imprese non hanno accesso al credito e non possono investire nelle nuove tecnologie – la regolamentazione scoraggia e basta. Se invece la regolamentazione è accompagnata da tutta una serie di altre policy di supporto che aiutano le imprese a modificare un po’ quello che è il loro modus operandi di breve periodo, allora addirittura queste possono fare dei salti tecnologici importanti e diventare il motore della crescita economica del Paese, che a sua volta, può diventare leader di determinate tecnologie pulite. Anche perché ci stiamo tutti quanti accorgendo che il futuro sta nel proporre soluzioni diverse rispetto a quelle che sono state proposte in passato e quindi la regolamentazione può essere un incentivo a farlo ma dev’essere supportata da altri strumenti che consentano alle imprese di utilizzarla come stimolo all’innovazione e non percepirla come una minaccia alla loro competitività.
Ci sono indicazioni di policy che è possibile dedurre dal vostro studio per favorire il binomio tra innovazione e sostenibilità in un Paese europeo come l’Italia?
Diventa sempre più difficile fare delle policy che siano soltanto di stampo nazionale e pensare che queste possano essere vincenti nel lungo periodo, soprattutto nel campo dell’innovazione. Ormai le risorse che ci vogliono per essere competitivi sono altre, considerando che abbiamo di fronte dei giganti economici come Stati Uniti e Cina.
Dunque le nostre ricerche si concentrano soprattutto sulle policy europee. Vengono elargiti finanziamenti consistenti alla ricerca nell’ambito dei “programmi quadro” che dovrebbero prevedere sempre di più la partecipazione delle imprese, perché questa complementarità tra imprese e università e centri di ricerca nel campo ambientale è fondamentale.
Come criterio di selezione – e la Commissione europea sta iniziando ad agire in questo modo – è importante favorire questo tipo di network nel momento in cui si deve finanziare una ricerca, scegliere quelle ricerche dove ci si accorge che questa complementarità è potenzialmente più facilmente sfruttabile. Ed è importante non solo per le imprese ma anche per i ricercatori che capiscono in questo modo quali sono le reali problematiche che le imprese si trovano ad affrontare, perché a volte si ragiona sulle regolamentazioni da attuare o i tipi di ricerca da portare avanti senza conoscere i reali problemi del tessuto imprenditoriale.
L’obiettivo è quello di portare questi progetti di ricerca ad essere un momento di incontro, di scambio tra ricercatori e mondo delle imprese. Solo così è possibile fare grandi passi avanti in termini di innovazione ambientale.
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