Verso il futuro dell’Europa. Dalla crisi economica alla crisi dei consensi
19 maggio 2019
Nella settimana che precede le elezioni europee, Luiss Open ripropone alcune delle più interessanti riflessioni recenti sul presente e sul futuro dell’Unione.
“L’Europa vive di crisi” sostenne nel 1974 Helmut Schmidt. Due anni dopo, Jean Monnet scrisse di aver sempre ritenuto che l’Europa sarebbe stata costruita attraverso le crisi. Che cosa, allora, le tre crisi che l’Unione sta attraversando ci hanno lasciato o ci stanno lasciando? La crisi economica ha prodotto una stretta europea sull’applicazione del divieto di aiuti di Stato, la straordinaria affermazione dell’unione bancaria, un sostegno insperato ai debiti pubblici nazionali, un primo sviluppo della funzione distributiva dell’Unione. La crisi istituzionale ha prodotto un rafforzamento dei legami verticali Unione – burocrazie – governi – cittadini e di quelli orizzontali tra i tre vertici dell’Unione, nonché un sistema di interdipendenze, un tenersi reciprocamente sott’occhio. La crisi di consenso sta mettendo l’Unione al centro della politica europea. Vediamoli da vicino questi sviluppi, sia pur rapidamente.
La crisi economica
La crisi economica ha riaperto il capitolo dell’interventismo economico dello Stato: è nei momenti di crisi che viene richiesto agli Stati di far agire la mano pubblica in economia. Ma su questa strada gli Stati europei hanno trovato il morso dell’Unione, sempre più occhiuta nel difendere il divieto di aiuti che possano falsare la concorrenza, e quindi sempre più attiva nel richiedere un arretramento dello Stato (una volta esistevano le concessioni, liberamente affidabili dagli Stati e liberamente prorogabili; ora questo strumento è stato sostituito dal contratto di concessione, da affidare con gara e non prorogabile a piacimento). La crisi del 2008, come quella del 1929, muove dalla finanza privata. L’Unione è intervenuta pesantemente e rapidamente costruendo una unione bancaria, nuovi strumenti di intervento della Banca centrale europea, una costellazione di regolatori, molte nuove regole, alcune delle quali rovesciano in corso d’opera antichi principi nazionali (ad esempio, quello che gli obbligazionisti delle banche non debbano sopportare le conseguenze delle crisi). Anche la finanza pubblica è in difficoltà, a causa della crisi: pur non accollandosi i debiti nazionali (come fecero gli Stati nazione al loro sorgere, rispetto agli staterelli che inglobavano), l’Unione è intervenuta a sovvenire i debiti sovrani, nel momento del maggiore bisogno. Infine, l’Unione è un gigante regolatorio, ma un nano distributivo, come erogatore: il Fondo per gli interventi strategici, affiancandosi ai fondi per la coesione, rafforza la capacità di spesa dell’Unione.
La crisi istituzionale
Il legame tra Stati nazionali e Unione scricchiola (ne è prova l’uscita del Regno Unito). L’Unione rafforza i vincoli con le burocrazie nazionali e con i cittadini. I primi attraverso i 287 comitati, presenti in tutti i principali settori dell’Unione, che si riuniscono 800 volte per anno e producono quasi 2000 pareri, articolandosi anche in comitati di appello. I secondi attraverso lo sviluppo, nel 2012, del meccanismo della denuncia, aperto a tutti i cittadini europei, che possono rivolgersi alla Commissione indicando violazioni del diritto europeo e innescando procedure di infrazione contro gli Stati. In questo modo, chiunque in Europa può mettere in funzione un meccanismo di fire alarm. E questi due canali si affiancano al via vai dei governi nazionali a Bruxelles, per controllare preventivamente misure nazionali (un esempio è quello dei vari passi previsti dal decreto legge salva banche del dicembre scorso, ognuno dei quali richiede una previa consultazione con la Commissione europea).
L’Unione ha tre teste, Parlamento, Consiglio, Commissione. Svolgono funzioni diverse (il Consiglio conquista nuovi campi all’Unione, il Parlamento li legittima e ne stabilisce perimetri e principi, la Commissione li regola), ma rischiano di pestarsi i piedi. I triloghi servono a stabilizzare gli equilibri tra i tre attori. La forza dell’Unione non sta soltanto nei legami verticali che essa stabilisce, tra Unione, governi, popoli, ma anche nelle interdipendenze orizzontali che crea. Qui viene il capitolo più interessante, quel tenersi reciprocamente sotto osservazione, la Germania che si preoccupa del debito pubblico italiano, l’Italia del surplus commerciale tedesco, la Francia e l’Italia delle difficoltà greche. Insomma, si è stabilita una horizontal accountability che arricchisce le democrazie nazionali.
La crisi di consenso
Infine, la crisi di consenso. L’opinione pubblica europea è divisa in tre parti: un terzo di contrari, un terzo di favorevoli all’Europa – condominio (l’Europa alla Thatcher), un terzo favorevole all’Europa – casa comune
(l’Europa alla Spinelli). Anche se i primi sono a loro volta divisi, perché contrari in modo diverso (chi all’Unione, chi alla moneta unica, chi a Schengen), è un fatto che ci sono forti correnti antieuropeiste, in cui confluiscono nazionalisti, sovranisti, scettici e populisti. Ma la forte presenza di antieuropeisti fa diventare l’Unione soggetto politico, perché mai l’Unione è stata al centro della sfera pubblica come oggi che viene contestata. Habermas aveva scritto: «occorre che si origini una sfera pubblica nella quale si radichi il processo democratico». Questa «può originarsi solo attraverso l’apertura reciproca dei circoli comunicativi delle arene nazionali». È un paradosso che questa apertura reciproca avvenga con l’incontro delle forze antieuropeiste. Grazie ad esse, l’Unione diventa un soggetto veramente politico, radicato nelle opinioni pubbliche nazionali. Mai l’Unione è stata tanto al centro della sfera pubblica come oggi che viene contestata. Come si presenta l’Unione oggi, mentre si intravede l’uscita dalle crisi?
Al fondo, alcune trame comuni: le “lingue transglottiche”, il rifiuto della pena di morte (Guido Calabresi indica questo come un esempio per dimostrare che l’Unione è più unita degli Stati Uniti d’America), l’orrore per la guerra. Le opinioni pubbliche nazionali che cominciano a riflettere sulle convenienze reciproche: ad esempio, si è tentati di uscire dalla moneta, ma come compensare le perdite che subirebbe l’agricoltura nazionale senza i vantaggi della politica agricola comune? Contemporaneamente, nuovi legami che si stabiliscono, quelli di una generazione nata e sviluppata nel quadro dell’Europa unita, quelli di comunità epistemiche non meno unite della settecentesca “République des lettres”, quelli di classi politiche abituate da quasi quaranta anni di vita parlamentare europea. A Bruxelles una Unione diversa, molto diversa da quella di Spinelli, più condominio che casa comune, che si sviluppa e convive con gli Stati, mista, plurale, non assorbente, che cresce in più direzioni e senza un modello unitario, dove crescono gli spazi per intervenire, anche perché è un edificio in continua evoluzione. Ma dove non bisogna unire le geremiadi sul deficit democratico e l’insoddisfazione degli europeisti alla ripulsa degli antieuropeisti.
Il testo proposto è un estratto del volume “Europa sfida per l’Italia” cura di Marta Dassù, Stefano Micossi e Riccardo Perissich edito da Luiss University Press.
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