Ecco la “grande divergenza” che sta alla base dell’exploit nazionalista in Europa

27 giugno 2019
Editoriale Europe
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Il fenomeno del nazionalismo continuerà a erodere il processo d’integrazione europeo fino a quando la sua causa nascosta non sarà identificata e affrontata. Per fare ciò, i policymaker europei devono riconoscere un nuovo potente e pervasivo fattore di cambiamento politico e sociale: la divergenza fra diversi Paesi, settori economici, tipi di lavoro e comunità locali. Faremmo bene infatti a non sottostimare la popolarità della retorica nazionalista. Partiti nazionalisti – come la Lega in Italia, il Rassemblement National in Francia o Alternative für Deutschland in Germania – presentano se stessi come una risposta ai danni inflitti dalla globalizzazione in termini di impoverimento e disuguaglianza. La loro retorica, in base alla quale i confini dovrebbero essere sbarrati, è semplice e attraente. In realtà l’evidenza empirica non conferma, in Europa, l’esistenza di una relazione diretta tra confini aperti e impoverimento; non c’è nemmeno una relazione univoca tra diseguaglianza o stagnazione economica da una parte e l’impennata di consenso per i partiti nazionalisti e anti-europeisti dall’altra. Infine, la diseguaglianza sembra essere aumentata di più all’interno dei Paesi che tra i diversi Paesi. Di conseguenza, nessuna delle ragioni portate a sostegno della necessità di chiudere i confini appare inoppugnabile.

 

Dalla “stagnazione secolare” alla “divergenza secolare”

In questo studio si offre una spiegazione differente del malessere in aumento nelle società europee che ha portato all’incremento di popolarità del nazionalismo. Si punta l’attenzione sullo sviluppo di due dinamiche sociali persistenti: la prima è quella che porta gli individui a temere il proprio personale e irreversibile declino; la seconda dinamica è quella che spinge le parti più prospere della società a proteggere i propri vantaggi e benessere economici crescenti. Tali dinamiche portano a quella che chiamo “divergenza secolare”, una tendenza che non coincide con le diseguaglianze più ovvie, e nemmeno esclusivamente con le diseguaglianze regionali. Si tratta piuttosto di un perdurante senso di marginalizzazione percepito da coloro che temono un declino inarrestabile delle loro professioni, comunità o famiglie, e un senso di distacco diffuso tra coloro che invece proteggono il proprio crescente benessere in un mondo instabile.

I cambiamenti più importanti sono avvenuti tra il 2013 e il 2014, prima dell’imponente crisi migratoria. Non siamo però stati in grado di capire cosa stesse accadendo perché ci siamo trovati di fronte a qualcosa di nuovo che stava intaccando la credibilità della democrazia, del discorso pubblico e della sua razionalità. La credibilità della democrazia, innanzitutto, soffre le conseguenze di una contraddizione temporale. Se un governo lo desidera, esso può correggere la disuguaglianza in pochi mesi, mutando i livelli della tassazione e attuando politiche redistributive. Tuttavia ci vogliono molti anni, e a volte addirittura non sono sufficienti interi decenni, per correggere la divergenza, la de-industrializzazione o la tendenza di conoscenze e tecnologie a diventare obsolete. Se questa contraddizione temporale senza precedenti tra il voto popolare e la soluzione dei problemi non viene esplicitata, allora la democrazia, i suoi cicli e anche il suo linguaggio diventeranno privi di valore agli occhi dei cittadini.

Effettivamente una simile divergenza cambia il linguaggio della società: finché il problema era quello di sconfiggere la povertà, la competizione politica avveniva tra leader – fossero di matrice cristiana o comunista, liberale o socialista – che potevano ricorrere, pur con toni differenti, alla stessa retorica piena di buoni sentimenti o che faceva riferimento a una comunità universale. Ma se il problema è la divergenza tra Stati, regioni, gruppi etnici, lavori o individui, allora la retorica pubblica tenderà a discriminare. Di conseguenza essa dovrà diventare aggressiva, insultante e deumanizzante. Il mutamento nel discorso pubblico è una delle caratteristiche più evidenti dei nuovi leader populisti. Al livello politico, lo stesso linguaggio si trasmette poi agli individui attraverso l’interazione tra nuovi e vecchi mezzi di comunicazione.

Se il fatto di discriminare appare coerente col tentativo di contrastare la divergenza, allora le ingiustizie causate ad altri gruppi sociali diventano uno strumento necessario per raggiungere un diverso tipo di giustizia. A questo punto, l’osservazione imparziale dei costi e dei benefici politici diventa secondaria, e la veridicità può trasformarsi in un ostacolo. Le pulsioni istintive prevalgono sulla ragione. E nell’arco di pochi anni un’intera società cambia pelle.

 

L’articolo proposto è originariamente apparso su Brookings Institution. Ringraziamo l’autore per la gentile concessione.

Secular divergence: Explaining nationalism in Europe

L'autore

Carlo Bastasin, Senior fellow della Luiss School of European Political Economy (Roma) e di Brookings Institution (Washington), autore di “Viaggio al termine dell’Occidente” (Luiss University Press)


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