Piacere consapevole – Etichette, abitudini e comportamenti dei consumatori nel settore food
8 luglio 2019
Da almeno un decennio è letteralmente esploso il numero di iniziative promosse da nutrizionisti, scienziati dell’alimentazione e media, dirette ad incoraggiare la diffusione di regimi alimentari a ridotto apporto calorico, basati su prodotti con bassa presenza di grassi, zuccheri e sodio. Tali iniziative creano associazioni dirette ed indirette con salute e benessere, e per differenza tendono ad attivare sensi di colpa sempre più forti verso tutto ciò che rientra nella sfera del “piacere” legata ai consumi alimentari.
Così “salute = consumo di cibo a ridotto apporto calorico e povero in grassi, zucchero e sodio” sta diventando il principale messaggio di alcune organizzazioni pubbliche e private che si pongono l’obiettivo di orientare il consumatore verso modelli alimentari predefiniti e assertivamente salutari. Una delle modalità utilizzate per diffondere questo messaggio è la diffusione pervasiva di etichette nutrizionali Front-of-Pack (FoP) in grado di fornire al consumatore informazioni semplici, facili da vedere e quindi capaci di influenzare, talvolta in modo quasi implicito, le sue scelte verso le opzioni giudicate migliori, secondo gli schemi definiti da diversi attori pubblici o privati, per la sua alimentazione e quindi la sua salute. Sono di fatto modelli che si ispirano al cosiddetto “paternalismo libertario”, ovvero alla teoria del nudging.
I sistemi di etichettatura
I sistemi di etichettatura si distinguono fondamentalmente fra “interpretativi” (o valutativi) e “informativi”. All’interno dei primi rientrano tutte quelle etichette che, attraverso il trattamento di informazioni quantitative, propongono una valutazione di tipo qualitativo espressa in forma sintetica tramite immagini o simboli di facile interpretazione (ad esempio mediante colori). Esempi di questa categoria sono il Nutri-Score francese, il Multiple Traffic Light inglese, l’Health Star Rating System australiano. Di natura radicalmente diversi, invece, sono le etichette “informative”, come ad esempio il Guideline Daily Amount (GDA), che inseriscono invece sul fronte del packaging solo le informazioni riguardanti le calorie ed i nutrienti, senza generare valutazioni interpretative pre-definite e assertivamente oggettive.
L’ispirazione di fondo che caratterizza le etichette interpretative è indirizzare il consumatore verso l’acquisto di cibi con un basso contenuto di alcuni specifici ingredienti (grassi, zucchero e sodio), anche indipendentemente dalla frequenza di assunzione del cibo stesso, dallo stile di vita di chi lo assume e dalla provenienza dei componenti sostitutivi di tali ingredienti. In parallelo si tenta di frenare in modo “dirigistico”, ben più che paternalistico, il consumo di alimenti con un contenuto di questi specifici nutrienti, creando un collegamento diretto tra la riduzione drastica dei consumi di questi cibi, la percezione di seguire una dieta salutare e la riduzione dei problemi dilaganti di sovrappeso e obesità.
In realtà non vi sono ancora chiari, univoci e incontrovertibili riscontri degli effetti positivi del collegamento tra i differenti sistemi di etichettatura, i comportamenti conseguenti e la salute dei consumatori. Quello che per adesso è possibile confermare è solo una generale maggiore efficacia delle etichette interpretative rispetto alle informative, perché più facili da comprendere e maggiormente intuitive, specie nel confronto tra due o più prodotti della stessa categoria.
Sembra invece emergere come l’applicazione di etichette nutrizionali interpretative Front-of-Pack (FoP) tenda a favorire la contrapposizione assoluta tra cibo-virtù e cibo-vizio, dove il primo riferisce ai prodotti alimentari che contribuiscono in maniera funzionale alla salute, mentre il secondo è tutto ciò che si associa a prodotti edonici, piacevoli ed irresistibili.
Siamo sicuri che questo sia l’approccio giusto? Non esiste unanimità di giudizio. Tuttavia alcuni recenti contributi scientifici affermano come sia possibile fare una revisione dell’approccio manicheo al conflitto tra “virtù e vizio”, specie se strumentalmente applicato ad un tema critico come l’alimentazione. Sembra, infatti, possibile passare dal conflitto alla “coalizione” fra sistemi di etichettatura, al fine di coniugare posizioni in apparenza opposte per indirizzare i consumatori verso scelte di piacere consapevole che determinino un reale benessere complessivo.
Una concezione allargata di piacere alimentare
Diversi ricercatori hanno proposto una concezione allargata del concetto piacere alimentare, alleata della salute e del benessere, secondo modelli nutrizionali già presenti e per certi versi congeniti nelle abitudini alimentari diffuse di alcuni paesi.
Tra questi, Cornil e Chandon (2016) hanno introdotto la distinzione tra il piacere viscerale, inteso come impulso “primitivo” di breve termine, e il piacere epicureo, ossia una sensazione positiva durevole e complessa derivante dall’apprezzamento estetico del valore sensoriale e simbolico del cibo. La loro ricerca dimostra che un orientamento individuale verso il piacere epicureo si associa ad uno stile nutrizionale più consapevole e positivo, basato sulla moderazione e capace di generare un miglioramento del benessere individuale generale. Un ulteriore aspetto interessante esplorato da Batat et al. (2019) è relativo al come il piacere legato al cibo possa diventare un’esperienza multisensoriale complessiva, che può essere declinata mediante una serie di attività ed esperienze che ruotano attorno ai piaceri della tavola. Infatti, con “piacere esperienziale del cibo” gli autori indicano il piacere e la soddisfazione che i consumatori possono trarre dall’esperienza di consumo alimentare e che tiene conto non solo degli aspetti multisensoriali, ma anche di quelli culturali e comunitari (sociali) dell’esperienza stessa. In entrambi questi contributi si afferma quindi l’esigenza di sostituire un approccio “riduzionista” diretto ad associare il piacere del cibo con impulsi viscerali primari con un approccio più olistico che riconosca il ruolo positivo su salute e benessere di nuove concezioni allargate di piacere associato al cibo.
Uno studio esplorativo: informazioni nutrizionali e piacevolezza
In linea con gli studi sopra descritti è stata fatta una prima ricerca esplorativa su un campione di consumatori italiano volta a misurare le loro reazioni rispetto a un dessert il cui pack associava ad informazioni di tipo nutrizionale oggettive (GDA system) e interpretative (Nutri-Score) anche informazioni relative al piacere associato al consumo del prodotto stesso.
Le evidenze derivanti dal test preliminare hanno dimostrato che l’informazione relativa alla piacevolezza del prodotto ha un effetto significativamente maggiore rispetto alla guida nutrizionale fornita dal Nutri-Score nell’indirizzare l’intenzione d’acquisto. Questo risultato conferma ricerche precedenti secondo le quali i consumatori valutano le informazioni relative ad aspetti di piacere e gusto come driver decisionali più importanti rispetto alle informazioni nutrizionali. Inoltre, la presenza di informazioni in merito alla piacevolezza ha ridimensionato l’effetto della guida nutrizionale fornita dal Nutri-Score sulla percezione di salubrità del prodotto. In altre parole, il giudizio nutrizionale aggiunto alle informazioni oggettive risulta quindi depotenziato in presenza di un giudizio di piacere relativo al consumo del prodotto.
I risultati mostrano come l’informazione relativa al piacere associato al consumo del prodotto influenzi significativamente giudizi e scelte del consumatore, e inoltre, aprano la strada al consumo di prodotti edonici, senza sensi di colpa e rimpianti purché associati alla moderazione. È quindi possibile indulgere seppur con moderazione.
Prodotti edonici come parte integrante di una dieta bilanciata e di un “piacere consapevole”
I prodotti edonici possono diventare così parte integrante e piacevole di una dieta variegata, purché combinati in maniera bilanciata, ossia con un’attenzione alle porzioni ed alla frequenza di consumo, con altri alimenti. Il rischio derivante dall’applicazione esclusiva di etichette interpretative Front-of-Pack (FoP) incentrate su alcuni specifici nutrienti è quello che i consumatori eliminino totalmente alcune categorie di prodotti, forse utili al loro equilibrio fisico di breve periodo ma non necessariamente psicologico e, quindi, alla tenuta dell’equilibrio fisico di lungo periodo. Eliminazione motivata dal considerarli nocivi per la salute e tendente alla sostituzione con altri nutrienti non necessariamente migliori, ma che non entrano nell’algoritmo diretto a produrre la valutazione complessiva del prodotto.
Su queste dinamiche, sulle quali si potrebbero portare molti esempi recenti, è incombente il dubbio sugli effetti di lungo periodo derivanti dalla assunzione di ingredienti artificiali ritenuti meno dannosi. Senza considerare l’effetto sul comportamento di molti consumatori che vedendo il prodotto “light”, “healthy” o “free from……” si sentono liberi di consumarne senza riserva.
Altro aspetto interessante su questo tema è l’effetto della duplice presenza di informazioni nutrizionali e di informazioni connesse alla piacevolezza ed al gusto del prodotto. E in particolare di come questa duplice informativa possa diventare un’interessante strategia per la promozione anche dei cibi salutari. Infatti, la presenza di elementi di indulgenza ed edonismo sul pack di questi prodotti potrebbe sicuramente contribuire ad indebolire la classica visione secondo la quale il cibo salutare è poco gustoso, poco saziante ed in generale poco attraente. Usando il sensoriale e la narrazione per promuovere l’esperienza edonica del cibo, i marketer potrebbero sfruttare la naturale vitalità e la bellezza di frutta, verdura e altri cibi certamente sani per creare associazioni edonistiche e divertenti intorno a queste scelte.
In sintesi, il piacere consapevole, e quindi equilibrato, – nella sua rinnovata declinazione olistica ed esperienziale -, associato al cibo può diventare il miglior alleato del reale benessere individuale, diffuso e duraturo. Inoltre, questa nuova concezione permetterebbe di sviluppare un ampio ventaglio di attività capaci di apportare benefici e benessere al consumatore ed agli stessi produttori, enfatizzando la bellezza dei cibi nella loro diversità, promuovendone la scoperta e le loro proprietà benefiche e di piacere mediante storytelling; esperienze legate alla condivisione e alla socialità. In questo modo il cibo può quindi diventare un “mezzo” strumentale appunto a un’idea completa e piena di salute intesa come benessere fisico, mentale e relazionale.
L’articolo proposto è parte di uno studio ancora in corso condotto dal centro di ricerca LUISS X.ITE su comportamenti e tecnologie. Al lavoro, oltre al professore Marco Francesco Mazzù e la professoressa Simona Romani, ha contribuito la studentessa Luiss Antea Gambicorti.
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