A proposito di Brexit, Democrazia e Giustizia inter-generazionale
11 settembre 2019
Da entrambe le parti del confronto su Brexit, si possono spesso sentire invocazioni e richiami spassionati alla democrazia ed al sistema democratico.
Un gruppo afferma con veemenza che la Brexit debba essere pienamente conseguita, non tanto perché sia una buona idea, ma perché “il popolo ha votato per questo”. Non conseguire pienamente la Brexit, esclamano, equivarrebbe a un “tradimento dell’ordinamento democratico”.
Un secondo gruppo, al contempo, sostiene, protestando, che il corretto funzionamento del sistema democratico meriti e richieda un altro referendum, affinché “il popolo”, appunto, possa avere l’ultima parola su qualsiasi accordo proposto sulla Brexit. L’elemento in comune fra questi due gruppi di soggetti, a quanto pare, è un insistente riferimento alla democrazia; differiscono invece sul tema di ciò che la democrazia realmente rappresenta ed esige.
C’è però uno schema di massima. Con poche eccezioni, i Leavers (vale a dire coloro che preferiscono la Brexit rispetto al rimanere nell’UE) rientrano nel primo gruppo, mentre i Remainers (ovvero quelli che sostengono la causa del rimanere nell’UE) rientrano nel secondo.
Strumentalizzare la democrazia… come se fosse un’arma
Come spiegarci la correlazione tra le idee sulla Brexit di queste persone e le loro convinzioni sulla democrazia? La risposta è semplice: la democrazia – Santo cielo! – viene strumentalizzata.
Le persone stanno adattando i principi democratici ai loro obbiettivi e scadenze relative alla Brexit, piuttosto che viceversa.
Contrariamente al modo in cui si presentano, queste persone non sono in realtà paladini della democrazia e le loro opinioni su un eventuale secondo referendum non derivano da un’analisi disinteressata dei principi democratici, piuttosto l’opposto, per così dire.
Sono Leavers o Remainers che hanno trovato, nella democrazia, uno strumento, un’arma potente per difendere un punto di vista che in realtà sostengono solo perché supporta le loro preesistenti valutazioni sulla Brexit, ma che fingono (forse anche a loro stessi) di mantenere il loro punto di vista a causa dei principi democratici in cui dicono di credere così fortemente.
La democrazia sotto i riflettori
Questo significa che il tema della democrazia non rileva in questo dibattito? No, la democrazia è chiaramente rilevante! Ma è evidente che ci sono altre, forse altrettanto importanti, questioni da tenere in considerazione.
Una delle suddette questioni a cui dare attenzione è il benessere delle generazioni presenti e future. Molti sostenitori della Brexit e molti fra coloro che la avversano, mantengono la propria posizione perché credono fermamente che la Brexit possa essere rispettivamente positiva o negativa per il Paese in termini di crescita economica, ad esempio.
Tali considerazioni possono puntare in una direzione diversa rispetto alle preoccupazioni relative al sistema democratico: sebbene in generale potremmo aspettarci che il sistema democratico sia in grado di produrre il risultato migliore per il benessere delle generazioni presenti e future, porre una “domanda complessa” come quella sulla Brexit – in cui non è facile individuare quale direzione sia quella in grado di massimizzare il benessere dei cittadini – al popolo, potrebbe produrre come no la risposta ottimale per il benessere di tutti.
Una maggioranza per il disastro? Quando la maggioranza può sbagliare
In effetti, il tema del buon funzionamento di governo, della buona governance insomma, e del processo decisionale non è così semplice come la presentano i presunti sostenitori della “democrazia”.
Immaginiamo, per un momento, di essere il Primo Ministro e che, a causa di pressioni politiche inarrestabili, si debba tenere – durante il nostro governo – un referendum sull’opportunità o meno di entrare in guerra con un determinato Paese. Immaginiamo, inoltre, di poter contare su un servizio di intelligence affidabile che ci informi che entrare in conflitto con quel Paese significherebbe, con molta probabilità, andare incontro alla distruzione totale a causa di una reale minaccia di attacco nucleare.
Immaginiamo, poi, che il referendum produca un esito favorevole ad andare in guerra. Che fare? Dovremmo assecondarlo?
Sicuramente no. A parità di altre condizioni, valutare l’entità del danno che il nostro Paese potrebbe affrontare andando in guerra implicherebbe una preoccupazione per il benessere del Paese e dei suoi cittadini. Cosa che, certo, supererebbe di gran lunga la questione “democratica” dell’attuazione o meno del risultato di un referendum.
Che dire delle preoccupazioni per il benessere delle generazioni future, del “popolo” di domani? Supponiamo che si tenga un referendum sull’opportunità di spendere la maggior parte degli attuali risparmi pensionistici in vacanze gratuite per gli over 65, con la conseguenza che le generazioni più giovani e le due generazioni successive (future) debbano convivere con un fondo pensione significativamente inferiore (in termini reali) rispetto al fondo pensione attualmente goduto dagli over 65.
Supponiamo, poi, che a causa del dato demografico che rivela, agli estremi, una popolazione che invecchia sempre più e una generazione più giovane con minor peso specifico, il referendum dia un risultato che propende per le vacanze libere. Come Primo Ministro, dovremmo dare attuazione a questa decisione oppure no?
Ancora una volta, c’è almeno un buon motivo per cui non dovremmo: il benessere delle generazioni future sarebbe compromesso da una tale politica, perché la ricchezza pensionistica sarebbe spesa sugli over 65 ad una tale velocità e quantità che lascerebbe le generazioni future (quando invecchieranno) non solo non più ricche dell’attuale generazione di over 65, ma persino più povere. La preoccupazione per il benessere delle generazioni future e per la giustizia intergenerazionale, pertanto, in questo caso indicherebbe di dirigersi nella direzione opposta al risultato – leggasi voto del referendum – del sistema democratico.
(Inoltre, se ci pensiamo bene, il fatto che al risultato del voto avrebbe concorso solo la volontà delle generazioni presenti non prendendo minimamente in considerazione quella delle generazioni future, nonostante la decisione impatti negativamente proprio su queste, certo indebolirebbe la stessa legittimità democratica del voto. Ma non c’è abbastanza spazio per esaminare questa questione.)
Democrazia vs benessere delle generazioni future
Certo, la speranza è che la democrazia, tramite il principio maggioritario, tenda a produrre risultati che massimizzino il benessere di tutti, visto che gli elettori, interessati a tutelare i propri interessi, voteranno per ciò che penseranno possa dar loro beneficio.
Ma, come accennato in precedenza, il fatto che il risultato di una consultazione sia “democratico” non garantisce di per sé nulla del genere: fattori come la disinformazione, le complessità politiche ed economiche e la retorica fuorviante di alcuni potrebbero facilmente portare a un risultato democratico che non tuteli né massimizzi il benessere neppure per le generazioni votanti.
Inoltre, il fatto che una decisione sia democratica non garantisce certamente che aumenterà il benessere delle generazioni future, poiché i cittadini, come detto, interessati a tutelare i propri interessi, potrebbero non pensare al benessere di chi verrà dopo, nel momento in cui votano.
Al fine di valutare la linea di condotta in una democrazia, quindi, anche dopo che si è svolto un referendum, le questioni relative al sistema democratico devono essere ponderate e bilanciate con altre problematiche, in particolare quelle relative al benessere, sia delle generazioni presenti che di quelle future.
Considerare il benessere delle generazioni presenti non è così difficile, ma come dovremmo concretizzare un’attenzione per le generazioni future? La risposta breve è che dobbiamo farlo attraverso un contratto intergenerazionale che codifichi esattamente quali principi intergenerazionali dovrebbero guidare il processo decisionale: ma quali sono questi principi e che aspetto avrebbe un contratto del genere?
Per alcune delle risposte, si v. Thomas Tozer, Un nuovo contratto intergenerazionale: giustizia intergenerazionale in linea di principio e politica (Intergenerational Foundation, 2019)
Commento
Le problematiche sollevate da T. Tozer sono di indubbia rilevanza nel contesto in cui viviamo e suscitano alcuni interrogativi non banali sul funzionamento e sull’efficacia della nostra democrazia. Emergono in particolare, a parere di chi scrive, due temi su cui vale la pena spendere alcune parole.
In primis, l’Autore non ha tema di sottolineare, di fatto, le contraddizioni che caratterizzano il ricorso al referendum per alcune decisioni, specialmente quelle che vanno ad impattare sul benessere dei cittadini presenti o futuri. Si badi bene: non viene contestata né messa sotto processo la legittimità della procedura referendaria, bensì è possibile intravedere una critica sul piano dell’efficacia “democratica” e – se vogliamo – politica dell’istituto.
Certo, gli esempi riportati dall’Autore sono volutamente iperbolici, ma ci invitano ad interrogarci. Possibile che, negli anni in cui viviamo, il ricorso al referendum come strumento confermativo o deliberativo possa talvolta rappresentare dapprima un rimpallo populista di responsabilità, dalle istituzioni (o melius dalla classe politica) alla base ed in secondo luogo, complici tutti i fattori elencati da T. Tozer (come la disinformazione, la complessità delle questioni etc.), un vero e proprio vulnus alla democrazia rappresentativa e all’interesse dei cittadini? La questione è di stretta attualità: basti pensare al referendum del 4 dicembre 2016 in Italia, a quello per l’indipendenza della Catalogna del 2017 o a quello della Brexit stessa. Riflettiamo su cause, sviluppo e conseguenze e forse potremmo avere qualche risposta.
In secundis, nell’elencare i fattori di complessità e complicazione suddetti, l’Autore sembra volerci far riflettere su una questione piuttosto spinosa, rievocata anche di recente da alcuni interpreti a seguito dei risultati delle ultime elezioni e consultazioni referendarie: il suffragio universale tout court e senza limiti di filtro “all’ingresso”, al giorno d’oggi, può penalizzare la “qualità” del funzionamento del sistema democratico?
Pensiamo a Brexit: molti dei voti “determinanti” – ormai è appurato – sono stati espressi da elettori che non conoscevano, forse perché mal informati, l’operato dell’Unione nel proprio territorio né la differenza di competenze e compiti fra UK e UE. Ciononostante, hanno votato e condizionato il futuro di molti.
Per queste ragioni, qualcuno di recente – in realtà recuperando proposte piuttosto datate – ha immaginato di introdurre un “patentino” per votare, sulla base del ragionamento secondo cui se per guidare un auto (capacità che, senza dubbio, afferisce alla libertà di circolazione) è necessario superare un esame, certo non sarebbe fuori luogo istituire un esame – di educazione civica, sulla Costituzione ed il funzionamento della Repubblica ad esempio per il nostro Paese – propedeutico al conseguimento dell’effettivo diritto di voto.
Va detto che, così facendo, il bacino di elettori o votanti realisticamente potrebbe ridursi, ma va considerato anche il fatto che viviamo in un contesto ove già l’astensione presenta una percentuale elevata, e, di fatto impatta di per sé sull’elettorato attivo, e, di conseguenza, sull’universalità del suffragio.
Pochi, come sottolinea l’Autore, si trovano già a dovere decidere del futuro di molti e, spesso, questi pochi, poco o male informati e formati, non scelgono nel modo migliore, sicuramente non per le future generazioni. Potrebbe valer la pena di riflettere su questo punto allora? Lasciamo la questione ad altra sede, ma è senza dubbio un tema intrigante.
Traduzione e commento a cura del Dott. Valerio Martinelli, Phd Student presso la LUMSA di Roma e Collaboratore alla Ricerca per il Rapporto 2019 sul divario generazionale, curato dalla Fondazione Bruno Visentini e coordinato dal Prof. Luciano Monti docente LUISS di Politiche dell’Unione Europea
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