Guida ragionata all’impazzimento in corso sulla legge elettorale. Parla il politologo D’Alimonte
20 settembre 2019
“Quella attuale è una fase estremamente convulsa della vita politica italiana – esordisce Roberto D’Alimonte parlando con Luiss Open – Osservandola con gli occhi del politologo, per esempio, sembra di assistere alle doglie che potrebbero precedere la rinascita di un sistema bipolare: da una parte una sinistra frutto di un’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Pd, dall’altra parte una destra a trazione leghista. Per rimanere alla metafora del parto, tale travaglio è complicato però da atteggiamenti contraddittori degli stessi attori politici. Infatti, mentre si delinea un ritorno al bipolarismo (sinistra e destra) dopo la fase tripolare degli ultimi anni (centrosinistra, M5s, centrodestra), ecco ricominciare il dibattito sulla legge elettorale proporzionale che potrebbe essere levatrice di uno scenario ancora diverso e più frammentato”
Iniziamo dunque dai dati contenuti nel suo sondaggio elaborato con Winpoll-Il Sole 24 Ore e pubblicati sul quotidiano economico. Cosa ci dicono?
Il dato che mi ha colpito di più di questo sondaggio è quello che descrive una distanza in diminuzione tra gli elettorati del Movimento 5 stelle e del Pd. Il 64% degli elettori democratici, addirittura, pensa che i programmi dei due partiti siano abbastanza simili. E la stessa opinione è condivisa dal 58% degli elettori Cinque stelle. Come ho scritto sul Sole 24 Ore, si tratta di un mutamento di atteggiamenti che fino a poco tempo fa era impensabile. Sottolineo che questa maggiore vicinanza si registra a livello di elettorato, mentre la distanza tra i vertici dei due partiti e tra i militanti degli stessi è maggiore. Ciò è dovuto anche al fatto che i vertici del Movimento 5 Stelle sono ancora animati dalla stessa cultura che li ha portati a superare il 30% dei consensi nelle ultime elezioni politiche, quelle del 2018: sono cioè animati da una cultura “acchiappa-tutto”, che guarda sia a destra sia a sinistra. Oggi invece, con il Movimento 5 Stelle sceso al 15% circa dei consensi, il suo elettorato è molto più omogeneo e tendenzialmente di sinistra. Ecco spiegata la dissonanza attuale tra base elettorale e vertici del Movimento.
Che idea si è fatto l’elettorato sulla tenuta di questo nuovo governo sostenuto da M5s e Pd?
L’atteggiamento dei due elettorati, M5s e Pd, sul valore strategico dell’alleanza di governo è più variegato. Per il 58% degli elettori del Movimento 5 Stelle il governo attuale rappresenta solo un fatto temporaneo senza valenza strategica. Mentre per quasi la metà degli elettori democratici, il 49% per la precisione, la nascita del Conte due potrebbe rappresentare un primo passo verso la costituzione di un nuovo polo di centro-sinistra in contrapposizione a un polo di centro-destra. Se teniamo conto della svolta realizzata in poche settimane, direi che sono numeri di un certo rilievo. Nell’elettorato di centrodestra, invece, l’aspettativa più diffusa è che la maggioranza attuale sia soltanto un escamotage temporaneo per evitare il confronto con le urne.
Perché all’improvviso siamo tornati a parlare di legge elettorale proporzionale?
Questa volta la “dissonanza” colpisce soprattutto la leadership del Partito Democratico. Il Pd nasce a vocazione “maggioritaria”, innanzitutto. E proprio adesso che lo scenario politico sembra potersi ricomporre verso un assetto bipolare, col ridimensionamento del M5s e il suo avvicinamento tattico alla sinistra, una parte della dirigenza dem punta invece a riformare in senso proporzionalistico la legge elettorale attuale (con la quale peraltro già 2/3 dei seggi sono assegnati con questo metodo). Le spiegazioni possibili sono due, a mio modo di vedere. Quella ufficiale, che è un alibi, è che bisogna tornare al proporzionale per dare maggiore rappresentatività al Parlamento nel momento in cui si decide di ridurre il numero dei parlamentari. Poi c’è la motivazione ufficiosa, ma più realistica: oggi Matteo Salvini è il leader di una coalizione potenziale di centrodestra che raggiunge il 45% dei consensi dell’elettorato, un livello tale da garantirgli una maggioranza assoluta in un futuro Parlamento votato con il sistema attuale. Il passaggio al proporzionale è figlio dunque della demonizzazione completa di Salvini, è lo strumento da utilizzare come extrema ratio per impedirgli di governare. Ma attenzione: manipolare la legge elettorale per non far vincere qualcuno è sempre pericoloso. In questo modo si mina infatti una delle regole fondamentali della convivenza democratica. Il vincente di turno che cambia le regole del gioco per non far vincere l’altro vuol dire destabilizzare il sistema democratico e favorire la divisione del paese. Non stupiamoci poi se i sentimenti anti-establishment si rafforzano nell’elettorato italiano!
Non è scontato, però, stabilire chi saranno i vinti e i vincitori di un sistema totalmente proporzionale, giusto? Cosa accadrebbe agli attori dell’attuale maggioranza M5s-Pd?
Proviamo ad assumere un punto di vista il più razionale possibile. I vertici del Movimento 5 Stelle, oggi, probabilmente non sanno ancora bene cosa vogliono. Tornare al bipolarismo e diventare co-protagonisti di una alleanza di sinistra? Oppure rimanere in un assetto tripolare? Nell’indecisione, potrebbero desiderare un sistema elettorale proporzionale in modo da non legarsi mani e piedi né con la sinistra né con la destra. Con il loro livello attuale di consensi, e con il loro elettorato allevato a suon di atteggiamento “post-ideologico”, i Cinque stelle in caso di nuove elezioni puntano a decidere solo all’ultimo momento se formare un esecutivo con la sinistra o con la destra. Se il Pd si intestasse una riforma elettorale proporzionale, dunque, farebbe loro un grande “regalo”, trasformandoli in un ago della bilancia.
La confusione del momento è aggravata dalle tendenze scissionistiche che sarebbero alimentate da un ritorno al sistema proporzionale. Matteo Renzi, con il divorzio dal Pd, potrebbe voler giocare il ruolo di Ghino di Tacco – per dirla à la Craxi – dell’attuale sistema. Non lo sappiamo con certezza e forse non la sa neanche lui. Però è certo che il proporzionale lo aiuterebbe, perlomeno nel ruolo più probabile di attore che, dall’interno del blocco di centrosinistra, provi a rafforzare la presa di quello schieramento nell’elettorato moderato. Un partito renziano, anche attestandosi su percentuali contenute pari al 5-6%, potrebbe giocare un ruolo decisivo – perfino con l’attuale legge elettorale – in molti collegi uninominali e in alcune zone del Paese, penso soprattutto alla Toscana e al Centro-Nord. Tuttavia, al netto dei vantaggi per singoli attori, è indubbio che la governabilità del Paese sarebbe resa ancora più precaria da una riforma elettorale di stampo proporzionalistico.
La battaglia per una legge elettorale di tipo maggioritario, invece, potrebbe diventare il collante per il nuovo centrodestra?
Oggi sicuramente un sistema elettorale maggioritario converrebbe a Salvini. Sul punto si è allineata, sia per convinzione sia per convenienza, Giorgia Meloni col suo movimento Fratelli d’Italia. Anche in questo schieramento che va ricomponendosi, però, c’è una grossa incognita che è il ruolo di Silvio Berlusconi. Forza Italia nasce nel 1993 con una vocazione esplicitamente maggioritaria – come a vocazione maggioritaria era il Pd di Veltroni fondato alla fine del 2007 – ma oggi Berlusconi potrebbe essere tentato da una svolta più decisamente proporzionalistica. Per almeno due motivi: per pesare di più all’interno di una rinnovata alleanza di centrodestra il cui dominus sarebbe comunque Salvini, e poi per tenere aperta la porta a un gioco di sponda col neoproporzionalista dell’altro schieramento, cioè Renzi.
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